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Giurisprudenza

La gestione volta a evadere l’Iva
inchioda l’ex amministratore della Spa

A lui è imputabile il reato, perché determinato dalla sua pregressa condotta, non avendo accantonato le somme necessarie per il pagamento del debito d’imposta

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Risponde del reato di omesso versamento Iva (articolo 10-ter del Dlgs 74/2000) l’amministratore di una società fallita solo se viene dimostrato, anche mediante i passaggi di cassa (amministratore, liquidatore, curatore) che, proprio nella sua qualità sociale, al fine di evadere le imposte indirette, non ha versato l’Iva – dichiarata superiore a 50mila euro – entro il termine del 27 dicembre previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.
Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n. 39082 del 23 settembre.


I fatti
Il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il sequestro preventivo di immobili e autoveicoli nei confronti dell’amministratore di una società per azioni dichiarata fallita, che veniva accusato del delitto di omesso versamento Iva (articolo 10-ter, Dlgs 74/2000), in concorso con il liquidatore della stessa Spa (articolo 110 del codice penale).
In particolare, e in concorso con il liquidatore (in carica dal 26 aprile al 5 ottobre 2010), ometteva di versare la somma di oltre 216mila euro, dovuta a titolo di Iva, in base alla dichiarazione relativa all’anno 2009.
 
Il tribunale evidenzia che:
  • il pagamento dell’Iva relativa al 2009 doveva essere effettuato entro il termine del 27 dicembre 2010 (data in cui la società era già fallita)
  • l’amministratore della società ha rivestito la carica fino al 27 aprile 2010, e che, pertanto, il reato era stato determinato dalla sua pregressa condotta, non avendo accantonato le somme per il pagamento del debito Iva
  • che nessun rilievo poteva avere lo stato di insolvenza sotto il profilo dell’elemento psicologico, in quanto tale stato era stato provocato proprio dal medesimo imputato.
Il difensore di fiducia dell’ex amministratore ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, chiedendone l’annullamento sia per violazione dell’articolo 10-ter, Dlgs 74/2000, in quanto il reato è stato integrato il 27 dicembre 2010, quando la società era stata già dichiarata fallita, sia per manifesta illogicità della motivazione, laddove non erano stati ammessi documenti idonei a dimostrare che l’assistito non avrebbe potuto provvedere al pagamento, in vece del curatore, non essendo la Spa mai entrata nella disponibilità delle somme incassate a titolo Iva nel 2009, essendo già “in sofferenza” e avendo avuto la revoca dei fidi.
 
La Corte, pur accogliendo il ricorso, ha precisato che “si tratta di un reato proprio, riferibile al destinatario dell’obbligo, titolare della posizione di garanzia; peraltro poiché è un reato omissivo istantaneo sottoposto all’adempimento di un obbligo entro un termine, è a tale momento che deve aversi riferimento per determinare il fatto consumativo…”. Di conseguenza, l’amministratore ne avrebbe potuto rispondere, in presenza di “… specifici elementi probatori, raccolti durante le indagini … dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’Iva…” e che chiarivano, nel tempo, “quale fosse lo stato della cassa (amministratore, liquidatore, curatore fallimentare)…”.
 
Osservazioni
L’articolo 10-ter, Dlgs 74/2000 sanziona chiunque, essendovi tenuto, non versa l’imposta sul valore aggiunto, dichiarata a debito e dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (cfr Cassazione 38619/2010).
 
Dalla lettura della norma emerge che, per la consumazione del reato, non rileva un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta, dovuta in base alla dichiarazione, si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento.
A tale data, infatti, il ricorrente non era più amministratore della società e quindi non gli si sarebbe potuta ascrivere nessuna condotta criminosa.
 
Va precisato, però, che l’amministratore di una Spa è tenuto a incassare somme a titolo di Iva (delle quali non ha la libera disponibilità), dovendo poi provvedere o al versamento periodico o ad accantonarle. Se non vi adempie, fornisce un contributo causale alla commissione del fatto previsto come reato, creandone materialmente i presupposti (cfr Cassazione 12268/2013). E ciò sia se l’ Iva è stata incassata ma non versata o accantonata, sia se l’Iva non è stata incassata per lo stato di insolvenza che lo stesso amministratore ha contribuito a provocare (senza poter invocare a propria giustificazione la forza maggiore).
 
Sul piano penale non rileva, infatti, la circostanza che l’omissione possa essere determinata dal grave stato di insolvenza: l’amministratore, non avendo versato periodicamente l’Iva e non essendosi premurato di accantonare la relativa somma (seppure in ritardo rispetto alle scadenze fiscali periodiche), si è volontariamente messo nella condizione di non poter più adempiere al proprio obbligo tributario entro il termine fissato ex lege.
E in tal modo non ha colto neppure la seconda possibilità, concessagli dal legislatore, di un periodo di tempo ulteriore (fino al 27 dicembre dell’anno successivo) rispetto al termine previsto dalla normativa tributaria al fine di adempiere all’obbligo di versamento (esistente, periodicamente, fin dall’anno precedente) ed evitare, così, la sanzione penale.
 
Sanzione che, comunque, non può essere comminata, in quanto il provvedimento del giudice del riesame non ha evidenziato specifici elementi probatori dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’Iva, si è limitato a farvi cenno generico (senza fornire indicazioni sull’eventuale residuo di cassa trovato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente per l’esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore, il cui pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio).
 
Sul piano probatorio, la Corte, inoltre, ha evidenziato che dalla suddetta ordinanza non risultava chiaro se l’omissione del versamento alla scadenza potesse essere ricondotta all’ex amministratore, al liquidatore (non risultando se quest’ultimo avesse trovato in cassa le somme destinate al versamento annuale dell’Iva) o a tutti e due che, in tal modo, avrebbero determinato il curatore all’omissione del versamento, traendolo in errore con inganno (ex articolo 48 cp).
Di conseguenza, i giudici di legittimità, anche se hanno annullano il provvedimento che disponeva il sequestro per mancanza di prove sufficienti, “fanno salve le future determinazioni dell’autorità giudiziaria”, concludendo che sarebbe paradossale se il fallimento del debitore d’imposta evitasse la sanzione penale (eventualmente connessa all’omissione del versamento da parte di altro soggetto, attraverso l’imputazione ex articolo 48 cp) diversamente da quello che accade per il debitore in bonis (che, ad esempio, abbia solo versato con ritardo danaro acquisito in conto dell’Erario).
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