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Giurisprudenza

Il gioco è proprio finito

Tassabili le vincite derivanti da quello d’azzardo anche se realizzate prima della Finanziaria 1994 la cui norma relativa ai proventi illeciti è stata considerata dai giudici di interpretazione autentica

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Le vincite del gioco d’azzardo costituiscono, assimilate a quelle da giochi e scommesse lecite, sempre reddito imponibile, in base alla disposizione interpretativa di cui al quarto comma, articolo 14, della legge 537/1993 (legge finanziaria 1994), che assoggetta a imposta i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo.
Così si sono espressi i giudici della Cassazione in una recente pronuncia (la n. 16504 del 19 luglio 2006), con la quale hanno ribadito un principio oramai pacifico in giurisprudenza ma che, solo recentemente, ha trovato anche la conferma normativa a opera dell’articolo 36, comma 34-bis, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Ma procediamo con ordine.

Fatto
Un ufficio finanziario - sulla base di un processo verbale di constatazione elevato dalla Guardia di finanza, in cui venivano evidenziati incassi di assegni da parte di un soggetto, provenienti da vincite di gioco d’azzardo - emetteva a carico dello stesso avvisi di accertamento per maggior reddito rispetto al dichiarato per le annualità 1991 e 1992.
La Commissione tributaria adita accoglieva le eccezioni del contribuente, trattandosi di proventi ritenuti illeciti e come tali intassabili, in quanto non potevano essere considerati parti di reddito.
La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello dell’ufficio, con la motivazione che l’articolo 14 della legge n. 537/1993, sulla tassabilità dei proventi illeciti, non aveva effetto retroattivo e, comunque, nelle categorie di reddito menzionate dall’articolo 6 del Tuir non rientravano le vincite provenienti dal gioco d’azzardo.

A questo punto, l’ufficio finanziario ricorre per la cassazione della sentenza, lamentando - con unico mezzo - la violazione degli articoli 1, 6 e 81 del Tuir, e dell’articolo 14, comma 4, della legge n. 537/1993, nonché vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, ponendosi i giudici di appello in consapevole contrasto con l’indirizzo della Suprema corte, dal momento che i redditi in oggetto rientravano nella categoria residuale dei redditi diversi, ex articolo 6 del Tuir, alla quale afferiva ogni ipotesi di profitto.

La decisione della Cassazione
Per la Cassazione, il motivo di gravame è fondato.
I giudici di legittimità richiamano un orientamento costante della Corte stessa (cfr, ex multis, sentenze n. 21746/2005 e n. 13335/2003), secondo cui l’articolo 14, comma 4, della legge n. 537/1993, laddove stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del Tuir, devono intendersi ricompresi, se in tali categorie classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo (se non già sottoposti a sequestro o confisca penale) e che i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria, costituisce interpretazione autentica della normativa contenuta nel Dpr n. 917/1986.

Di tali principi, continua la Corte, il giudice di appello non ha dato congrua applicazione, affermando - erroneamente - la natura innovativa e non retroattiva della disposizione dell’articolo 14, comma 4, della legge n. 537/1993 e l’inapplicabilità della stessa ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore.
In conclusione, argomentano in giudici di piazza Cavour, “…non essendo contestata la fattispecie illecita da cui provengono i ricavi accertati (gioco d’azzardo) essa non poteva che trovare allocazione nella categoria similare definita nell’art. 81 del DPR n. 917/1986 (vincite dei giochi e delle scommesse) con conseguente assoggettamento dei relativi redditi a tassazione a sensi dell’art. 83 del decreto del Presidente della Repubblica citato”.

L’intervento normativo
Il principio giuridico ribadito dalla Cassazione nella sentenza in commento è stato recentemente fatto proprio anche dal legislatore, che nella legge 4 agosto 2006, n. 248 – di conversione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 – ha inserito, all’articolo 36, il comma 34-bis che così recita: “In deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono comunque considerati come redditi diversi”.

Considerazioni conclusive
La novella normativa si inserisce nel solco giurisprudenziale già tracciato dalla Corte di cassazione, ampliandone, però, l’ambito di applicazione.
Infatti, il legislatore, per sgombrare il campo da letture normative non conformi alla volontà dello stesso e fornendo, al contempo, una interpretazione “di chiusura” dell’articolo 14 citato, ha previsto che, qualora i proventi illeciti non siano classificabili nelle abituali categorie reddituali di cui all’articolo 6 del Tuir, i medesimi sono comunque inquadrati nella categoria dei redditi diversi, di cui agli articoli 67 e seguenti del Tuir.

Per completezza di trattazione, si ritiene opportuno ricordare la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (la n. 272/47/2005), nella quale i giudici milanesi hanno ritenuto di non poter applicare l’articolo 14 della legge 537/1993 all’attività di meretricio, in quanto attività non illecita ma immorale (cfr, a tal proposito, Marco Denaro “Proventi da prostituzione non tassabili”, in FISCOoggi del 6 febbraio 2006).

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