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Giurisprudenza

Il giudice esecutivo non può cassare
la misura del sequestro preventivo

La manifestazione dell’assenso alla cancellazione, formulata congiuntamente tra le parti in causa, è irrilevante e non idonea a far venire meno la valenza di un provvedimento giudiziario

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La Corte d’appello di Roma, con un’ordinanza del 20 febbraio 2023, sostiene che il sequestro preventivo – conservativo – non convertito in pignoramento, non può essere cancellato per ordine del giudice dell’esecuzione, quanto piuttosto, per pronuncia del giudice di volontaria giurisdizione o per accordo tra le parti, che rinunzierebbero alla tutela preventiva delle ragioni esecutive

Evoluzione processuale
La vicenda trae origine dalla contestazione avverso la trascrizione di un sequestro preventivo – conservativo – chiedendo l’ordine a cancellare rivolto al Conservatore.
L’istanza di revoca del provvedimento avviene congiuntamente tra le parti in causa e trova il suo presupposto proprio sull’accordo tra le stesse.

La Corte d’appello si sofferma sulla questione, affermando che l’istanza, ancorché congiunta, configurante accordo tra le parti, non è idonea a far venire meno l’esecutività di un provvedimento giudiziario, “la cui valenza giurisdizionale non è rimessa alla disponibilità delle parti, ovvero alla discrezione del giudice, che possono piuttosto impattare sugli effetti del titolo annullandoli ma non sulla sua valenza esecutiva presupposta”.
L’individuazione del bene sul quale far rivalere la cautela attraverso il sequestro è il frutto di una scelta voluta e consapevole delle parti, che possono a monte trascrivere il sequestro e parimenti a valle liberarlo.
Ciò considerato, tenuto conto dell’esclusione della revoca dell’esecutività del provvedimento cautelare in capo all’autorità giudiziaria, la Corte ritiene utile suggerire due soluzioni alternative, che possono consentire la valutazione in merito al sequestro nei suoi effetti.

Ex articolo 2668 del codice civile: applicazione o cancellazione
A parere dell’organo giudicante, che ha dichiarato il ricorso inammissibile, l’applicazione dell’articolo 2668 cc appare la soluzione più corretta: un’ipotesi esclusa dalla circolare dell’Agenzia del territorio n. 5 del 18 maggio 2004, che piuttosto prevede la possibilità di procedere alla cancellazione delle trascrizioni delle domande giudiziali indicate negli articoli 2652 e 2653 cc, sulla base del consenso espresso dalle parti interessate.
La diversa natura giuridica della trascrizione del sequestro conservativo rispetto alla domanda giudiziale giustifica, secondo l’interpretazione dell’ufficio, “l’inapplicabilità, al provvedimento di cancellazione, della norma contenuta nell’art. 2668 c.c.” rimanendo del tutto irrilevante l’espressione dell’assenso alla cancellazione formulato dal soggetto interessato.
La circolare rimarca il dato, che l’efficacia costitutiva della trascrizione del sequestro giustifica il potere di disporre la cancellazione dai registri immobiliari del sequestro conservativo esclusivamente in capo al giudice che è tenuto alla valutazione degli interessi di tutti i soggetti coinvolti, sottraendolo al mero consenso del creditore sequestrante e/o procedente.

Il Collegio ritiene, invece, che tale principio non sia applicabile alle ipotesi di sequestro non convertito in pignoramento, nelle quali è del tutto assente un interesse pubblico e il giudice autorizza e non dispone il sequestro (rappresenta un’ipotesi di deroga al principio generale che precluderebbe prima di una sentenza esecutiva di vincolare beni altrui alla futura ed eventuale tutela esecutiva), ex articoli 670 e seguenti del codice di procedura civile.
Lo stesso articolo 675 cpc fa perdere l’efficacia al sequestro non eseguito nel termine di trenta giorni, senza alcun necessario intervento del giudice, che ancora una volta non appare interessato alle vicende precedenti il giudizio esecutivo. La perdita di efficacia, poi, può essere derivata medio tempore da un accordo delle parti sul piano sostanziale.

Pertanto, a giudizio della Corte d’appello non vi è ragione di escludere che le stesse parti, libere di concordare la cancellazione della domanda – pendente o meno il giudizio – possano liberamente rinunciare alla tutela preventiva delle ragioni esecutive costituita dal sequestro.
Non appare dirimente la pronuncia della Cassazione, sentenza n. 5796/1993, che non ha tenuto conto dell’ipotesi in cui le parti siano d’accordo nel chiedere la cancellazione, non pendente un giudizio esecutivo, soffermandosi invece sulle valutazioni del caso di opposizione all’esecuzione: “Al pignoramento immobiliare non è applicabile la cosiddetta cancellazione “consentita dalle parti” indicata dall’art. 2668 cod. civ., la quale riguarda il solo pignoramento speciale mobiliare. Pertanto, per conseguire l’effetto della cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare, nel sistema vigente, gli elementi alternativamente richiesti sono due soltanto: a) l’annotazione della sentenza che riconosca al terzo di essere proprietario del bene esecutato da data anteriore alla trascrizione del pignoramento; b) l’annotazione dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione dispone la cancellazione della stessa trascrizione ai sensi del primo comma dell’art. 562 cod. proc. civ..”.

Ugualmente la Corte di cassazione con l’ordinanza 27545/2017, che ha esaminato la fattispecie, ma sempre nell’ambito di un giudizio esecutivo, affermando: “in conformità ai principi di buona fede e correttezza, per consentire la liberazione del bene immobile dagli effetti pregiudizievoli del pignoramento, il creditore che è stato soddisfatto deve rinunciare agli atti esecutivi senza  necessità di alcuna sollecitazione del debitore ed entro un termine ragionevolmente contenuto, avendo riguardo allo stato della procedura pendente nonché ad eventuali motivi di urgenza allo stesso noti: ne deriva che il ritardo ingiustificato comporta la responsabilità risarcitoria  del creditore nei confronti del debitore che sia stato conseguentemente danneggiato”.

Diversamente opinando, non essendovi un giudice dell’esecuzione che possa intervenire – come nelle sentenze sopra richiamate della Cassazione – le parti sarebbero aggravate di proporre un ricorso congiunto di volontaria giurisdizione, per ottenere da un giudice della cognizione quello stesso provvedimento che dovrebbe essere emesso da un giudice della esecuzione, laddove vi fosse una procedura esecutiva.

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