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Giurisprudenza

Giudice ordinario o tributario? Lo decide la natura del credito

La competenza delle Commissioni presuppone il carattere fiscale della lite instaurata fra le parti

La giurisdizione delle Commissioni tributarie presuppone la natura “tributaria” della controversia, con la conseguenza che il contenzioso avente a oggetto crediti non aventi carattere fiscale va devoluto alla cognizione del giudice ordinario.
Questo, in breve, il chiarimento fornito dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza 1864 del 27 gennaio, in un giudizio riguardante la debenza di somme dovute dall’interessato a seguito di un procedimento penale a suo carico.

La vicenda e i giudizi di merito
A seguito di procedimento penale conclusosi con la condanna dell’imputato anche al pagamento della multa, delle spese processuali e di un’ammenda per inammissibilità del ricorso in Cassazione, l’agente della riscossione della provincia di Napoli notificava all’interessato una cartella di pagamento con la quale venivano richiesti oltre 21mila euro a titolo di “Cassa depositi e prestiti, Cassa ammende, Registro multe - Ammende - Sanzioni amministrative e Registro recuperi spese giustizia”.

L’intimato proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale del capoluogo campano, che accoglieva il gravame, annullando l’atto impugnato.
L’Agenzia delle Entrate appellava la pronuncia di primo grado, eccependo che la fattispecie riguardava una materia non rientrante nella giurisdizione delle Commissioni tributarie.

La Commissione regionale, peraltro, con sentenza 155/23/2007, dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione, rilevando che la relativa questione era stata dedotta per la prima volta in appello. A questo punto, l’Agenzia ricorreva dinanzi alla Corte di cassazione, censurando l’anzidetta statuizione in quanto la Ctr avrebbe dovuto riconoscere l’ammissibilità dell’eccezione e decidere nel merito, declinando la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario.

La pronuncia delle sezioni unite
I giudici di legittimità hanno preliminarmente statuito “in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 3 e 57” l’ammissibilità della questione di giurisdizione sollevata dall’ufficio, puntualizzando in proposito che l’eccezione in parola “rientra fra quelle proponibili anche per la prima volta in appello (v., in tal senso, anche C. Cass. 2008/24883)”.

Quanto poi alla questione, di interesse in questa sede, del sollevato difetto di giurisdizione, le sezioni unite - premesso che “la giurisdizione delle Commissioni presuppone la natura tributaria della controversia, essendo stata, fra l’altro, dichiarata l’illegittimità della norma che riservava loro anche la cognizione delle sanzioni comunque irrogate dagli uffici finanziari (Corte cost. 2008/130)”, e rilevato che nel caso de quo si trattava, invece, di crediti “non aventi carattere fiscale” - hanno definito il giudizio riconoscendo nella fattispecie la giurisdizione ordinaria.
La fase di legittimità – i cui oneri, liquidati in 3.200 euro, 200 dei quali per esborsi, oltre le spese prenotate a debito, sono stati addossati al privato soccombente – si è conclusa con la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione delle parti al competente giudice ordinario per la prosecuzione del giudizio.

Considerazioni
La sentenza 1864/2011, intervenendo in ordine ai limiti della giurisdizione tributaria, conferma l’indirizzo secondo il quale il comma 1 dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992 - nella parte in cui prevede che “Appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto… le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari…” - va interpretato nel senso che, laddove si sia in presenza di pretese sanzionatorie non aventi carattere tributario, sussiste non la giurisdizione delle Commissioni tributarie ma quella del giudice ordinario.

Tale interpretazione trova, tra gli altri, un autorevole precedente nella sentenza 130/2008 (non a caso richiamata dalle sezioni unite nella fattispecie in commento) con la quale la Corte costituzionale, intervenendo in tema di giurisdizione su sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, ha a suo tempo dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 2, comma 1, del Dlgs 546/1992, “nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria” (si vedano, al riguardo, i chiarimenti forniti dall’Agenzia con la circolare 56/2008).

I principi espressi dalla Consulta nella sentenza 130/2008, ribaditi in successive pronunce anch’esse sulla definizione dei limiti della giurisdizione tributaria, affermano dunque una regola di portata generale in ordine all’individuazione della competenza giurisdizionale sulle “sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari”.

Analogamente, nella sentenza 238/2009, sempre la Corte costituzionale ha ricordato che “Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la giurisdizione del giudice tributario ‘deve ritenersi imprescindibilmente collegata’ alla ‘natura tributaria del rapporto’ (ordinanze n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006), con la conseguenza che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto dall’art. 102, secondo comma, Cost. (sentenze n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008)”.

In sostanza, come si evince anche dalla sentenza delle sezioni unite in commento, poiché l’ambito della giurisdizione tributaria è delimitato dall’articolo 2 del Dlgs 546/1992, occorre verificare la natura del credito cui si riferisce la pretesa portata all’attenzione del giudice, con il conseguente radicamento della giurisdizione speciale tributaria solo ove il rapporto presupposto abbia, per l’appunto, natura “tributaria”.
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