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Giurisprudenza

Giudice “sensibile” alle dichiarazioni di terzi

Costituiscono presunzioni rimesse al suo apprezzamento attraverso cui è legittimo risalire al “fatto ignoto”

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Il valore probatorio delle dichiarazioni di terzi "è rimesso esclusivamente al giudice di merito…fermo restando che anche un solo indizio può fondare una valida presunzione specie allorché si tratti, come nel caso concreto, dell’acquisizione di un elemento non specificatamente smentito da puntuali e credibili contestazioni". La Corte di cassazione, con la sentenza n. 450 depositata lo scorso 11 gennaio, è tornata, così, ad affermare un principio di diritto già ribadito in precedenti occasioni.

In base a tale orientamento, che si ha modo di ritenere costante, "in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della cosiddetta “parità delle armi”, di cui all'art. 111 della Costituzione, atteso che - in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 - anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio" (cfr Cassazione, sentenze 16032/2005, 4269/2002, 3526/2002, 903/2002).

La materia del contendere sottoposta al giudice di legittimità
Per l’anno d’imposta 1989 venne contestato a un società la deduzione di costi derivanti da operazioni commerciali ritenute inesistenti.
In particolare, l’inesistenza delle operazioni venne desunta dalle dichiarazioni di terzi rese alla Guardia di finanza nell’ambito di un’indagine fiscale.
Dopo alterne vicende processuali, primo grado favorevole al contribuente ribaltato in appello, la controversia è approdata dinanzi alla Corte di cassazione.

Nel corso del giudizio di legittimità, il contribuente ha sostenuto la tesi dell’illegittimità della sentenza di appello in quanto fondata su "…dichiarazione rese da terzi alla guardia di finanza che non hanno, nel processo tributario, altra valenza che quella di mero indizio; e che i caratteri di gravità, precisione e concordanza sono valutati dal giudice, nel complesso delle altre risultanze probatorie, al fine di decidere circa la fondatezza o infondatezza della pretesa fiscale".

La sentenza 450/2008
Come anticipato, secondo la Suprema corte, in buona sostanza, la dichiarazione di terzo costituisce una presunzione rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, attraverso la quale è legittimo che lo stesso possa risalire, in assenza di altre prove, a un fatto ignoto (articolo 2727 Cc).
Diretta conseguenza di tale principio è l’inversione dell’onere della prova.
Per la Cassazione, infatti, la dichiarazione di terzo, che il giudice di merito abbia ritenuto fonte di sufficiente convincimento, potrà essere vinta laddove il contribuente dimostri l’inefficacia o l’insussistenza dei fatti su cui la stessa si fonda (articolo 2967, secondo comma, Cc).

Brevi riflessioni
La sentenza in commento rappresenta un’ulteriore conferma della giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione delle dichiarazioni di terzi, ovvero di quel filone giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni di terzo, pur non rappresentando delle “fonti di prova” in senso proprio, rappresentano, piuttosto, un indizio ovvero un “ausilio” all'accertamento fiscale.
In quest’ottica, vanno respinte le eccezioni di parte tendenti a escluderne la rilevanza processuale, atteso il divieto di carattere generale dell’inammissibilità nel processo tributario del giuramento e della prova testimoniale (articolo 7, Dlgs 546/1992).

Diversamente, la giurisprudenza di legittimità appare meno perentoria nell’ipotesi di dichiarazione di terzo prodotta in giudizio attraverso un atto notorio.
Se per un verso, infatti, la Cassazione, con la sentenza 703/2007 (per un commento G. Antico in FISCOoggi del 27/3/2007) ha affermato l’irrilevanza processuale delle autocertificazioni, con la successiva pronuncia 11221/2007, per lo stesso giudice di legittimità "…nel processo tributario, come è ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente - fermo il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 - con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va del pari necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale - beninteso, con il medesimo valore probatorio - dando così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione, per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa".
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