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Giurisprudenza

Un giudizio “immeritato”

La Commissione non può limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento in presenza di vizi sostanziali, ma deve anche rideterminare l’imposta

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Nel caso in cui l’avviso di accertamento presenti dei vizi sostanziali, il giudice di merito non può semplicemente annullare l’atto, ma è tenuto a riesaminare la pretesa tributaria entro i limiti posti dalle domande dalle parti.
Quanto precede è contenuto in una sentenza emanata dalla Corte di cassazione, sezione tributaria (la n. 15825 del 12 luglio 2006), con la quale viene affermato che il processo tributario è qualificabile tra quelli di “impugnazione-merito” e non tra quelli di “impugnazione-annullamento”, in quanto è finalizzato non all’eliminazione dell’atto impugnato, ma a emettere una decisione sostitutiva dell’accertamento già emesso.

In fatto, l’ufficio finanziario aveva accertato sinteticamente a carico del contribuente il reddito imponibile, ai fini Irpef e Ilor, per il possesso di una autovettura; l’accertamento era di seguito impugnato.
I giudici di prime cure accoglievano il ricorso del contribuente ritenendo nullo l’accertamento sintetico, attesa la irretroattività dell’applicazione dei decreti ministeriali 10/9/1992 e 19/11/1992, con una sentenza poi confermata dalla Commissione tributaria regionale.

Il giudice dell’appello, nel respingere l’impugnazione dell’ufficio finanziario, ha ritenuto che la procedura posta in essere era da ritenersi illegittima in quanto l’ufficio, accortosi dell’errore, doveva revocare l’accertamento, emetterne un altro con i dati esatti e con l’indicazione dei tributi e delle relative penalità, notificandolo al contribuente affinché lo stesso avesse potuto valutare l’opportunità di definirlo, ex articolo 15, Dlgs 218 del 1997, o presentare istanza di adesione, ai sensi dell’articolo 2-quater, Dl 564 del 1994, convertito dalla legge 656 del 1994.

L’Amministrazione finanziaria, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c.(1), ha proposto ricorso per cassazione, eccependo che il giudice dell’appello, sulla base di un erroneo e infondato presupposto, secondo cui allo stesso è precluso di procedere ab inizio alla liquidazione delle imposte e delle relative penalità, ha erroneamente ritenuto illegittimo l’accertamento non per vizi propri, ma solo per vizi che sarebbero derivati da una presunta ulteriore attività accertativa (presunta violazione delle disposizioni contenute negli articoli 15, Dlgs 218 del 1997, e 2, Dl 564 del 1994).

Le predette disposizioni prevedono, rispettivamente, le sanzioni applicabili nel caso di rinuncia all’impugnazione dell’avviso di accertamento da parte del contribuente, e le competenze degli organi dell’Amministrazione finanziaria per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio, degli atti illegittimi o infondati.

La Corte di cassazione nel merito ha ritenuto che il processo tributario, di natura specialistica e modellato sul modello del giudizio civile, non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento ma tra i processi di impugnazione-merito, atteso che non è finalizzato alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento emesso dall’ufficio (cfr Cassazione, sentenze 7404/2001 e 4280/2001).

Da qui si ricava che l’impugnazione dinanzi al giudice tributario attribuisce a quest’ultimo non solo la cognizione orientata all’eliminazione dell’atto (“impugnazione-annullamento”) ma anche la cognizione del rapporto tributario (“impugnazione-merito”), in quanto l’impugnazione stessa è finalizzata alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria e implica, per lo stesso, il potere-dovere di quantificare la pretesa tributaria entro i limiti richiesti dalle parti.

La Suprema corte ha ritenuto, altresì, che il giudice che ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali ma di natura sostanziale, non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma è tenuto a esaminare, scendendo nel merito, la pretesa tributaria e, attraverso una motivazione sostitutiva, deve rivalutarla entro i limiti posti dalle istanze di parte. Per la fattispecie in esame, i giudici hanno ritenuto che la rideterminazione operata dall’ufficio finanziario equivalesse a una mera diminuzione della maggiore pretesa tributaria di cui all’atto impugnato, ovvero una riduzione del quantum oggetto della controversia instaurata tra le parti: in tal senso, il processo tributario è finalizzato ad accertare la fondatezza della pretesa tributaria, oltre che la sua legittimità.

Alla luce di quanto precede, la Cassazione ha ravvisato il vizio di omessa pronuncia, ex articolo 112 c.p.c., nel non-esame dell’atto di appello dell’ufficio da parte della Commissione di secondo grado, atteso che il giudice, venendo meno al dovere impostogli da tale norma, non ha emesso nessuna decisione sulla pretesa ridotta dall’ufficio.
Relativamente alla fattispecie in esame, la giurisprudenza di legittimità del resto si è espressa univocamente nel corso degli anni, affermando che per l’ufficio in materia di accertamento non sussiste alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento (mentre sussiste per esso l’onere di provare gli elementi di fatto giustificativi del “quantum” accertato) e che quanto precede non comporta che il giudice tributario debba ritenere congrui in modo automatico i valori dichiarati dal contribuente; per tale motivo, il giudice è tenuto a riformulare un proprio giudizio estimatorio sulla base degli elementi provati o comunque incontroversi (Cassazione, sentenza 16171/2000).

NOTE:
1. Tale disposizione reca il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di statuire su qualcosa che non trova corrispondenza nella domanda.


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