La vicenda
Le Commissioni tributarie di merito respingevano ricorso e appello, nei cui confronti veniva esperito il giudizio di cassazione con il quale la soccombente censura la sentenza impugnata, tra l’altro, per violazione di legge e omessa motivazione in quanto l’ufficio non aveva dato riscontro alla propria istanza di annullamento dell’atto, azionando invece l’Agente della riscossione all’emissione del titolo esecutivo dopo che l’accertamento era divenuto inoppugnabile.
A tale proposito, poiché l’autotutela tributaria – secondo la disciplina contenuta nell’articolo 2-quater del Dl 564/1994 e nel regolamento di esecuzione approvato con Dm 37/1997 – è espressione di un potere-dovere di ripristino della legalità violata, incidente sul diritto del contribuente, ricade sull’Amministrazione finanziaria l’“obbligo” di dare corso alla relativa istanza fornendo risposta motivata, anche ai sensi dell’articolo 7 della legge 212/2000 (“chiarezza e motivazione degli atti”). Di conseguenza, nella specie sussisterebbero le condizioni per l’annullamento della pretesa fiscale resa illegittima in virtù dell’omissione nel provvedere da parte dell’ente impositore.
Il giudizio della Cassazione
Sostanzialmente, quindi, secondo la sentenza, l’esercizio dell’autotutela tributaria rappresenta per il contribuente un “interesse legittimo” e non un “diritto soggettivo”.
- l’esercizio del sindacato sull’attività di autotutela costituisce procedimento autonomo e ben distinto da quello di impugnazione di un atto impositivo, con cui non interferisce
- in ogni caso non costituisce un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.
In particolare, la sezione tributaria della Cassazione, nelle motivazioni, ha aderito ai principi affermati sul tema dalla sentenza 7388/2007, nella quale le sezioni unite, ribadendo la tesi già espressa con la pronuncia 16776/2005, hanno ritenuto che l’attribuzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di tributi, di qualunque genere e specie, comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devolute al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia, indipendentemente dalla specie di atto impugnato (articolo 12, comma 2, legge 448/2001).
Quindi, la natura discrezionale dell’esercizio dell’autotutela tributaria non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, la cui giurisdizione è ora definita mediante una clausola generale, per il solo fatto che gli atti di cui tale giudice si occupa sono vincolati.
Tale soluzione, che può concernere lesione di interessi legittimi, non incontra un limite nell’articolo 103 della Costituzione, atteso che non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici (Corte costituzionale, sentenze 165/2001, 414/2001 e 240/2006), ferma restando, tuttavia, la necessità di una verifica da parte del giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992, che non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda.
E’ perciò evidente che l’esercizio del potere in questione non costituisce un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti, anche se lo stesso finisce con l’incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla posizione giuridica del contribuente.
In ultima analisi, conclude la sentenza, la contestazione dell’omessa autotutela non apre il giudizio sul merito dell’atto relativamente al quale non sono stati esperiti i necessari rimedi giurisdizionali.