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Giurisprudenza

Un giudizio in ottemperanza alle regole

Il ricorso ex articolo 70, Dlgs n. 546/92, è possibile unicamente quando la vicenda ha trovato definitiva risoluzione giurisdizionale

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La sentenza n. 290 del 3 ottobre 2006 della Commissione tributaria regionale di Roma, sezione 1, costituisce una delle prime applicazione giurisprudenziale del principio di non rilevanza del “giudicato ultrattivo” nel giudizio di ottemperanza, di cui all’articolo 70 del Dlgs n. 546/92.
I giudici hanno, infatti, statuito che non giova al contribuente depositare in atti una copia di una sentenza passata in giudicato per un anno di imposta allorché lo stesso contribuente chieda, viceversa, l’ottemperanza per un diverso periodo d’imposta, che non ha trovato ancora una definitiva risoluzione giurisdizionale.

La pronuncia ha precisato che è inconcepibile che il giudizio d’ottemperanza possa avere a oggetto provvedimenti degli uffici finanziari relativi a un periodo d’imposta diverso da quello investito da una sentenza passata in giudicato, pur alla presenza dei medesimi presupposti fattuali.
Giova osservare che le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 13916 del 16 giugno 2006, in ossequio al principio di effettività della tutela, hanno fissato, a seguito dell’ordinanza n. 20035 del 17 ottobre 2005 della sezione quinta della stessa Corte, precisi requisiti per la rilevanza del giudicato esterno nel processo tributario.

La sentenza n. 13916/2006 citata ha risolto il contrasto sorto in seno alle diverse sezioni della Corte, in ordine alla:

  • rilevabilità e/o deducibilità del giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di legittimità
  • efficacia di giudicato esterno, in materia tributaria, dell’accertamento definitivo contenuto in decisione resa tra le stesse parti ma relative ad annualità diverse dello stesso tributo o tributi diversi, pur in presenza dei medesimi presupposti fattuali.

Le Sezioni unite, infatti, hanno precisato che è da escludersi che il giudicato relativo a un singolo periodo d’imposta sia idoneo a fare stato per i successivi in via generalizzata. Ciò in ossequio alla ritenuta autonomia dei rapporti d’imposta (articolo 7 del Tuir) che, tuttavia, non va eccessivamente enfatizzata; infatti, la disposizione di cui all’articolo 7 del Tuir, la quale riguarda le sole imposte sui redditi e non ogni fattispecie di imposta periodica, trova significative deroghe sul piano normativo (ad esempio, il riporto delle perdite, il riporto dei crediti d’imposta, la rettifica delle rimanenze).

Non a ogni statuizione della sentenza può riconoscersi siffatta idoneità, bensì solo a quelle che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza. Le differenti liti fiscali per poter beneficiare di destini incrociati, alla luce della natura di impugnazione - merito del processo tributario, devono avere fondamentali in comune come qualificazioni giuridiche (ad esempio, ente commerciale o non commerciale, soggetto residente o soggetto non residente), categoria e rendita catastale, spettanza di un’esenzione o agevolazione pluriennale (ad esempio, una volta accertato con sentenza passata in giudicato che spetti al contribuente il diritto all’esenzione per un segmento dell’arco temporale di estensione dell’esenzione fiscale, tale sentenza avrà necessariamente efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale eventualmente si dibatta della spettanza del diritto per un altro segmento del medesimo arco temporale), ovvero stesse voci di raccordo tra più anni che consentono di trattare come un unicum processuale anche giudizi relativi allo stesso tributo per altri periodi di imposta.

L’istituto de quo è previsto a esclusiva tutela del contribuente, dato che l’Amministrazione finanziaria, per portare a esecuzione una sentenza ormai passata in giudicato, ovvero una sentenza ancora in disputandum, può procedere direttamente con le forme dell’esecuzione esattoriale, ossia mediante iscrizione a ruolo e successiva notifica della cartella esattoriale. Una caratteristica particolare del giudizio di ottemperanza è che è previsto unicamente per il caso di sentenze ormai passate in giudicato e, pertanto, a esso il contribuente non potrà ricorrere in caso di sentenza favorevole ma non ancora consolidata, ovvero impugnata dall’Amministrazione finanziaria.

A tale principio fa, peraltro, eccezione il caso in cui la sentenza, benché non ancora divenuta incontrovertibile, sia comunque passata in giudicato limitatamente ad alcuni punti, a causa di mancata specifica impugnazione in sede di appello o di ricorso per Cassazione (“giudicato interno”); il giudizio di ottemperanza, in tal caso, è ammissibile per la sola parte ormai coperta da giudicato. L’articolo 70 del Dlgs n. 546/1992, che detta la disciplina del giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie passate in giudicato, non limita l’iniziativa delle parti alla sola ipotesi di pronuncia definitiva esaustiva dell’intera controversia, bensì consente l’attuazione coattiva anche di singole parti o capi autonomi della sentenza, rispetto ai quali si sia formato il giudicato interno, l’esistenza del quale va accertata dal giudice dell’ottemperanza – nell’ambito dei suoi poteri di verifica dei presupposti processuali della domanda - anche in assenza della relativa certificazione di cancelleria o segreteria (Cassazione, sentenza n. 358 del 14 gennaio 2004).

Per instaurare il giudizio d’ottemperanza non è sufficiente l’esecutività, intesa come espressione e conseguenza immediata dell’operatività della pronuncia anche prima della formazione del giudicato formale, ma occorre che la sentenza ineseguita sia passata in giudicato formale, ai sensi dell’articolo 324 del Cpc, o sia intervenuto giudicato interno.
Si rammenta che il ricorso in ottemperanza, da indirizzare al presidente della Commissione tributaria, deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che giustificano il giudizio di ottemperanza; tale sommaria esposizione non costituisce una censura ma un’allegazione. Esso va depositato, in doppio originale, presso la segreteria della Commissione provinciale se la sentenza passata in giudicato è stata da essa pronunciata; in ogni altro caso (quindi anche nel caso di decisioni o sentenze provenienti dalla Commissione tributaria centrale e dalla Corte di cassazione), va depositato presso la segreteria della Commissione tributaria regionale. Al ricorso deve essere allegata, a pena di inammissibilità, la sentenza passata in giudicato.

Il giudice dell’ottemperanza non può definire questioni che non rientrino tra quelle già disciplinate dal giudicato; esso non può attribuire al ricorrente utilità maggiori e ulteriori rispetto a quelle già previste dal giudicato. L’originaria statuizione resa nel giudizio cognitorio non può essere completata o integrata nel processo di ottemperanza.

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