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Giurisprudenza

Giudizio di ottemperanza: impugnabilità in cassazione dell'ordinanza conclusiva

Il provvedimento che utilizza la formula della "presa d'atto", affermando che gli interessi sono stati liquidati in conformità alla sentenza passata in giudicato, è contestabile, ma solo per violazione di legge

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La suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 3435 del 3 febbraio 2005 (depositata il 21 febbraio), ha statuito che:

  1. l'ordinanza con cui il Collegio, ai sensi dell'articolo 70, comma 8, del Dlgs n. 546/1992, dichiara chiuso il procedimento di ottemperanza(1) ha contenuto decisorio ed è perciò suscettibile di ricorso per cassazione nella parte in cui pronuncia un giudizio di conformità fra il decisum e la sua attuazione (nella specie, respingendo le argomentazioni del contribuente che chiedeva gli venissero corrisposti gli interessi in misura diversa rispetto a quanto disposto dal commissario ad acta). In particolare, il giudice dell'ottemperanza che utilizza la formula impropria della "presa d'atto", affermando che gli interessi sono stati liquidati in conformità al disposto della sentenza passata in giudicato, prende posizione (e quindi decide) sulla questione della corretta esecuzione del giudicato; esso, pertanto, pone in essere un provvedimento (ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza) che appare suscettibile di impugnazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione, ma soltanto per violazione di legge
  2. ove la sentenza passata in giudicato disponga genericamente la corresponsione degli interessi "come per legge", è inammissibile il ricorso per cassazione con cui il contribuente impugni l'ordinanza conclusiva del giudizio di ottemperanza, lamentando che gli siano stati corrisposti interessi inferiori al dovuto. L'affermazione del giudizio cognitorio che gli interessi vanno liquidati "come per legge" senza specificare quale si presta a equivoci, e, precisamente, pone in essere una motivazione apparente. Non è possibile, a tal riguardo, richiedere nell'ambito del giudizio di legittimità un giudizio integrativo, per la cui formulazione, peraltro, occorrerebbe anche una puntuale ricognizione dei tempi della vicenda, assolutamente incompatibile con il giudizio di legittimità(2).

Osservazioni
L'ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza è impugnabile in cassazione ex articolo 111 della Costituzione, laddove si tratti di un provvedimento che ha carattere decisorio in quanto diretto a risolvere il conflitto di interesse tra le parti; essa va considerata, in tal caso, sentenza in senso sostanziale contro la quale è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge ex articolo 111 della Costituzione.

L'ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 della Costituzione, qualora non assuma, nel contenuto e nella disciplina, il carattere della decisorietà; essa, in tal caso, spiega il suo effetto all'interno del processo, concludendo la chiusura del giudizio di ottemperanza.

L'ordinanza di chiusura che pronunci sul diritto al rimborso delle spese processuali del giudizio di ottemperanza oppure sulla determinazione del compenso del Commissario ad acta, trattandosi di statuizione su diritti, per la cui impugnazione la legge tributaria non prevede altro rimedio, è impugnabile, alla luce di precisi orientamenti del giudice di legittimità (sentenza n. 00481 del 15/01/2003 della sezione 3 della Corte di cassazione), da ultimo confermati dalla sentenza in rassegna, con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione; l'ordinanza di chiusura, in tali casi, assume, malgrado la formula adottata, contenuto decisorio.

È giurisprudenza costante che, ai fini dell'ammissibilità ex articolo 111 citato del ricorso per cassazione contro un provvedimento giurisdizionale, è necessario che questo abbia carattere decisorio, e cioè sia idoneo a produrre, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale o processuale, sì che la sua ingiustizia comporterebbe per la parte un pregiudizio definitivo e irreparabile se non fosse assicurato il controllo di legittimità della Corte di cassazione.
Pertanto, contro l'ordinanza della commissione tributaria regionale che ha dichiarato inammissibile l'istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza di secondo grado, non è esperibile ricorso per cassazione ex articolo 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento in materia cautelare privo di contenuto decisorio sulla risoluzione della controversia e destinato a restare assorbito dalla sentenza definitiva (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 4733 del 12/04/2000).

Si rammenta che il ricorso straordinario per cassazione(3) ha un ambito più limitato di quello previsto dal codice di procedura civile, poiché la disposizione di cui all'articolo 111 Costituzione, nel sanzionare la totale assenza di motivazione ovvero la motivazione soltanto apparente di un provvedimento giurisdizionale, non ne consente per converso l'impugnazione sotto il profilo della contraddittorietà (Cassazione, sentenza n. 3719/98).
Si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però una approfondita disamina logica e giuridica.
Si ha motivazione insufficiente nell'ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico, che ha indotto il giudice alla formulazione del proprio convincimento, ovvero in mancanza di criteri idonei a sorreggere e a individuare con chiarezza la ratio decidendum.
Si ha motivazione contraddittoria quando essa è incoerente e contiene argomentazioni contrastanti tra loro in modo da elidersi a vicenda.

Nel processo tributario si ha, per consolidata giurisprudenza, motivazione apparente (Cassazione, sentenza n. 4552 del 28/03/2001) se la pronuncia impugnata:

  1. richiama quella precedente, in modo del tutto apodittico o acritico, senza dimostrare di avere esaminato o confutato i motivi di gravame
  2. si risolve in una mera formulazione di clausole di stile, le quali non consentono assolutamente di individuare la ratio decidendi della pronuncia sulle distinte questioni sollevate
  3. non effettua alcuna valutazione critica né delle argomentazioni svolte dal precedente giudice né delle censure proposte dal ricorrente
  4. si limita a contenere sia alcuni brani testuali della sentenza di primo grado sia la sintesi dei motivi di appello, omettendo qualsiasi autonoma valutazione delle argomentazioni, svolte dalla pronuncia di primo grado, in relazione alle censure proposte
  5. rende impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo.

NOTE:
1 Massimo Cancedda, "Sindacato ampio davanti alla Corte di cassazione" in FISCOoggi del 10 febbraio 2005.

2 Angelo Buscema, "I limiti del giudizio di legittimità e l'autosufficienza del ricorso per cassazione" in FISCOoggi del 20 gennaio 2005.

3 Con la sentenza n. 7801 del 23/04/2004, la suprema Corte di cassazione ha configurato la censurabilità in cassazione, ex articolo 111 della Costituzione, della cosiddetta radicale mancanza di motivazione della sentenza di ottemperanza di cui all'articolo 70 del Dlgs n. 546/92; in particolare, per il giudice di legittimità, è meramente apparente quella motivazione del giudice di ottemperanza che si limiti ad affermare che per ottemperanza si intende "la piena e completa soddisfazione dell'interessato e non già la mera intenzione dell'A.F. di adeguarsi alla sentenza", senza osservare in merito all'adempimento effettuato, prima dello scadere dei trenta giorni dalla diffida ad adempiere e del deposito del ricorso per ottemperanza, a favore del contribuente, con lo strumento del procedimento in conto sospeso, e già evidenziato dall'ufficio adempiente in sede di osservazioni nell'ambito del giudizio di ottemperanza. Vd. Angelo Buscema, "La motivazione apparente è censurabile in cassazione" in FISCOoggi del 4 agosto 2004.

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