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Giurisprudenza

Giudizio di ottemperanza inammissibile senza costituzione in mora

L'atto non assurge a presupposto necessario solo se è prevista dalla legge la scadenza del termine per il pagamento da parte dell'ufficio

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Il ricorso in ottemperanza(1), di cui all'articolo 70 del Dlgs 546/92, non preceduto dall'atto di costituzione in mora dell'ufficio, è inammissibile. Tale assunto è stato precisato dalla sentenza n. 199 del 18 dicembre 2006, pronunciata dalla Ctr di Roma, sezione 2, nelle vesti di giudice dell'ottemperanza. L'iter della pronuncia si può così riassumere: "Il ricorrente infatti non ha prodotto l'atto di costituzione in mora dell'ufficio, né ha fatto alcun accenno a tale atto nel suo ricorso. E' peraltro infondato l'assunto del ricorrente secondo il quale il termine per adempiere sarebbe in questo caso prescritto dall'art. 68 comma 2 del D. L.vo n. 546/92; invero la norma richiamata si riferisce solo all'ipotesi in cui l'accoglimento del ricorso comporta una eccedenza del tributo corrisposto rispetto a quello stabilito nella sentenza (con obbligo di pagamento automatico entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza), mentre nel caso di specie non vi è stato alcun tributo pagato in eccedenza dalla ricorrente, avendo la sentenza annullato una cartella di pagamento con la quale si chiedeva il pagamento di somme asseritamente dovute e non versate. La previa messa in mora del debitore ed il conseguente infruttuoso decorso del termine di 30 giorni dalla notifica dell'atto costituisce, ai sensi dell'art. 70 comma 2 d. lgs. 546/92, espressa condizione di proponibilità del ricorso stesso. La sua mancanza ne determina di conseguenza l'inammissibilità".

Solo se la scadenza del termine è prevista dalla legge (come, ad esempio, all'articolo 68, secondo comma, del Dlgs 546/92), l'atto di messa in mora, da effettuarsi necessariamente tramite ufficiale giudiziario(Ctr Lazio, sentenza n. 15 del 5/2/2003), non assurge a presupposto necessario per l'ammissibilità del ricorso de quo.

Il ricorso per ottemperanza, che ha la funzione di strumento di chiusura del sistema giurisdizionale tributario, è esperibile finché dura l'azione di giudicato (10 anni), ex articolo 2953 del Codice civile, e va preceduto dalla notifica di un atto di messa in mora dell'ufficio inadempiente. Salvo le eccezioni di cui all'articolo 12, deve essere proposto con l'assistenza di un difensore.

Il ricorso in ottemperanza, da indirizzare al presidente della Commissione tributaria, deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che giustificano il giudizio di ottemperanza; tale sommaria esposizione non costituisce una censura, ma un'allegazione.
Esso va depositato, in doppio originale, presso la segreteria della Commissione provinciale, se la sentenza passata in giudicato è stata da essa pronunciata; in ogni altro caso (quindi anche nel caso di decisioni o sentenze provenienti dalla Commissione tributaria centrale e dalla Corte di cassazione), va depositato presso la segreteria della Commissione tributaria regionale.

L'inammissibilità deve essere dichiarata dal collegio e non dal solo presidente della sezione, poiché l'articolo 70 non richiama le disposizioni di cui agli articoli 27 e 28 del Dlgs 546/92. Al ricorso deve essere allegata, a pena di inammissibilità, la sentenza passata in giudicato. Il segretario ha l'obbligo di comunicare all'ufficio, senza indugio, uno dei due originali del ricorso depositato dal contribuente, in ossequio al principio del contraddittorio. L'ufficio deve trasmettere le proprie osservazioni, aventi una finalità collaborativa, entro il termine ordinatorio di venti giorni. La presentazione facoltativa delle osservazioni può essere accompagnata o sostituita da una vera e propria costituzione in giudizio da parte dell'Amministrazione finanziaria, che può avvenire fino alla data fissata per la camera di consiglio.

La trattazione avviene sempre in camera di consiglio; non è possibile la discussione in pubblica udienza, anche su concorde domanda delle parti. In camera di consiglio, è ammessa la presenza delle parti e il loro intervento attivo. E' possibile che il giudizio si protragga per diverse camere di consiglio, in considerazione di esigenze istruttorie. La Commissione tributaria adita, non vincolata alle richieste del ricorrente, precisa i necessari provvedimenti attuativi con sentenza. Sono applicabili gli istituti della sospensione, interruzione ed estinzione del processo, mentre si pongono in contrasto con la natura del giudizio di ottemperanza l'incidente di sospensione dell'atto impugnato e la conciliazione giudiziale.

Il giudizio di ottemperanza non è un giudizio autonomo; esso risulta strettamente connesso con il giudizio principale, di cui costituisce uno sviluppo sia pure solo eventuale, tanto è vero che si connatura per essere essenzialmente costituito dall'attuazione del giudicato inerente al giudizio principale. La giurisdizione del giudice tributario in sede di ottemperanza va intesa come "giurisdizione esclusiva di merito".

Esclusiva, perché la competenza è attribuita dalla legge esclusivamente alla Commissione tributaria, in presenza dei presupposti, che, come detto, riguardano l'esistenza di un giudicato e il suo mancato adempimento da parte dell'Amministrazione.

E' una giurisdizione di merito in quanto l'indagine del giudice si fa particolarmente pregnante, fino a coinvolgere l'esame dell'intera attività amministrativa connessa all'esecuzione del giudicato, e si spinge al punto di consentire l'esercizio di poteri sostitutivi. In sostanza, il giudizio di ottemperanza, più che alle usuali categorie del giudizio di esecuzione o di cognizione, va considerato come procedimento sui generis, che si proietta nella fase di realizzazione concreta della sentenza da eseguire.

Il giudice dell'ottemperanza deve limitarsi a dare attuazione agli obblighi risultanti dalla sentenza passata in giudicato, senza estendere il giudizio di ottemperanza agli aspetti dell'atto del tutto diversi da quelli toccati dal giudicato (Cassazione, sentenza n. 13681 del 24 giugno 2005). Il potere del giudice dell'ottemperanza deve essere comunque esercitato entro i limiti, insuperabili, fissati dall'oggetto della controversia definita col giudicato; non può essere attribuito un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello contenuto nella sentenza da eseguire (cfr Cassazione, sentenza n. 22188 del 24 novembre 2004).

In sede di ottemperanza, il giudice può solo enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato, ma non può attribuire un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cassazione, sentenza n. 22188 del 24 novembre 2004). Il giudice dell'ottemperanza non può svolgere alcuna attività ermeneutica che integri, ampliandolo, il contenuto del comando contenuto nel giudicato, ma dovrà attuare l'assetto di interessi determinato con la pronuncia di cui si chiede l'esecuzione, individuandolo, attenendosi "agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenuto conto della relativa motivazione" (comma 7 dell'articolo 70, Dlgs n. 546 del 1992).

La funzione tipica ed essenziale del giudizio di ottemperanza è di adeguare la realtà giuridica e materiale a un preciso giudicato. Quindi, non può essere integrato o modificato il contenuto della sentenza alla quale il Fisco deve dare esecuzione E' inconcepibile(2) che il giudizio d'ottemperanza possa avere a oggetto provvedimenti degli uffici finanziari relativi a un periodo d'imposta diverso da quello investito da una sentenza passata in giudicato, pur alla presenza dei medesimi presupposti fattuali (Ctr Roma, sentenza n. 290 del 3 ottobre 2006).


NOTE:
1) Angelo Buscema, "Giudizio di ottemperanza. Aspetti procedimentali e impugnabilità della sentenza" in FISCOoggi del 15 settembre 2003.

2) Angelo Buscema , "Un giudizio in ottemperanza alle regole" in FISCOoggi del 7 novembre 2006

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