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Giurisprudenza

Giurisdizione tributaria confermata anche per il canone pubblicitario

La Corte costituzionale boccia la questione di legittimità sollevata dalla Commissione provinciale di Genova

sigla di carosello
Il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (Cimp) ha natura tributaria. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 depositata lo scorso 8 maggio, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità - sollevata dalla Ctp di Genova in riferimento all'articolo 102, secondo comma, della Costituzione - della norma secondo cui "Appartengono alla giurisdizione tributaria…le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità" (articolo 2 del Dlgs 546/1992).

La rilevanza di tale pronuncia in materia di canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari risiede nel fatto che la stessa, pur avendo ad oggetto una fattispecie analoga a quella trattata dalla stessa Consulta nella sentenza 64/2008, giunge a conclusioni esattamente opposte rispetto a quest'ultima.

I precedenti della Consulta: le sentenze nn. 64 e 130 del 2008
Con la sentenza 64 del 14 marzo 2008, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, del Dlgs 546/1992 (nel testo modificato dall'articolo 3-bis, comma 1, lettera b) del decreto legge 203/2005), sollevata in riferimento all'articolo 102, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui devolve alla cognizione del giudice speciale tributario, in luogo del giudice ordinario, le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap), di cui all'articolo 63 del Dlgs 446/1997.
Ciò in quanto, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale il Cosap non costituisce obbligazione avente natura tributaria, non è ammissibile - giusta i principi costituzionali in materia di riparto della giurisdizione e delle competenze attribuite e attribuibili ai giudici speciali, con particolare riferimento al divieto di costituzione ex novo - devolvere la cognizione delle controversie inerenti detto canone alle Commissioni tributarie.
Invece, con la sentenza 130 del 14 maggio 2008, il Giudice delle leggi ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del Dlgs 546/1992, sollevata in riferimento all'articolo 102, secondo comma, e alla VI disposizione transitoria della Costituzione.
La norma censurata , infatti, si pone in contrasto con il divieto costituzionale di istituzione di giudici speciali laddove devolve alla giurisdizione tributaria le controversie relative all'irrogazione di sanzioni in materia estranea alla disciplina dei rapporti tributari in virtù di un mero criterio soggettivo associato all'appartenenza all'Amministrazione finanziaria dell'ufficio competente all'irrogazione delle dette sanzioni.

I fatti di causa
Nel corso di un giudizio riguardante l'impugnazione di una ingiunzione di pagamento del Cimp relativamente all'anno 2004, la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato, in riferimento all'articolo 102, secondo comma, della Costituzione (che vieta l'istituzione di giudici speciali), questione di legittimità dell'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del Dlgs 546/1992 nella parte in cui stabilisce che "Appartengono alla giurisdizione tributaria…le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità" previsto dall'articolo 62 del Dlgs 446/1997.
In particolare, i giudici tributari liguri precisano che il Comune resistente ha eccepito che l'ingiunzione di pagamento non rientra nell'elenco degli atti autonomamente impugnabili davanti alle Commissioni tributarie contenuto nell'articolo 19, comma 3, del Dlgs 546/1992, con conseguente inammissibilità del ricorso del contribuente.
Al riguardo, il giudice rimettente precisa che:
  • la controversia portata al suo esame ha ad oggetto non il pagamento dell'imposta sulla pubblicità disciplinata dal capo I del Dlgs 507/1993 (Icp), ma del Cimp, introdotto dall'articolo 62 del Dlgs 446/1997
  • in forza del comma 1 di quest'ultima disposizione, i Comuni hanno la potestà regolamentare "…di escludere l'applicazione, nel proprio territorio, dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa"
  • la regola dell'alternatività tra l'Icp e il Cimp statuita da detta disposizione è spiegabile solo con la diversa natura - rispettivamente, tributaria e patrimoniale - dei prelievi
  • ne deriva che il citato canone costituisce il corrispettivo, in base a tariffa, dell'autorizzazione all'installazione del mezzo pubblicitario e la controversia sul medesimo canone non ha natura tributaria
  • in una analoga ipotesi di controversia non tributaria, la Corte costituzionale, con sentenza 64/2008, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per violazione del secondo comma dell'articolo 102 Cost., dell'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del Dlgs 546/1992 - come modificato dall'articolo 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto legge 203/2005 - nella parte in cui stabilisce che "Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni".

Tanto premesso, il giudice a quo afferma, quanto alla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, che la norma censurata - nell'attribuire alla giurisdizione tributaria controversie aventi natura non tributaria, quali quelle attinenti al canone comunale sulla pubblicità - "fa venire meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario" e, pertanto, víola l'articolo 102, secondo comma, Cost.

Le motivazioni della Consulta
Per la Corte costituzionale la questione prospettata non è fondata in quanto il Cimp ha natura tributaria.
In particolare, per giungere ad affermare l'illegittimità costituzionale della disposizione denunciata, il giudice rimettente muove dalle seguenti due premesse: in base all'evocato parametro costituzionale, la giurisdizione tributaria è legittima solo se rimane circoscritta alle controversie aventi ad oggetto prelievi di natura tributaria; il Cimp non ha questa natura.
Per la Consulta, la prima di tali premesse è corretta per costante giurisprudenza della stessa Corte (ordinanze 395/2007; 427, 94, 35 e 34 del 2006), con la conseguenza che l'attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto dall'articolo 102, secondo comma, Cost. (sentenze 64 e 130 del 2008).
Non è, invece, corretta la seconda delle suddette premesse del giudice a quo, e cioè quella relativa all'asserita natura di prelievo non fiscale del Cimp.

Sull'ambito della giurisdizione tributaria
L'articolo 2 del Dlgs 546/1992 è stato oggetto, negli ultimi anni, delle attenzioni del legislatore nazionale che - per ben due volte - è intervenuto a modificarlo.
Una prima volta, l'articolo 2 del Dlgs 546/1992 - rubricato "Oggetto della giurisdizione tributaria" - è stato oggetto delle modifiche apportate dall'articolo 12 della legge 448/2001 (Finanziaria 2002) che, a decorrere dal 1° gennaio 2002, ha attribuito alla competenza della magistratura tributaria "…i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi ed ogni altro accessorio".
Già questo primo intervento normativo aveva radicalmente mutato l'ambito di cognizione delle Commissioni tributarie, sostituendo al criterio dell'elencazione dei tributi quello, onnicomprensivo, della materia.

Successivamente, l'articolo 3-bis del decreto legge 203/2005 ("collegato fiscale alla Finanziaria 2006"), rubricato "Disposizioni in materia di giustizia tributaria", ha attuato, a decorrere dal 3 dicembre 2005, un'ulteriore riforma del processo tributario intervenendo non solo sull'articolo 2 in trattazione ma anche sugli articoli 7, 12, 22 e 53 del Dlgs 546/1992.
Quest'ultimo intervento legislativo ha attribuito alla competenza delle Commissioni tributarie tutti i tributi di ogni genere e specie "comunque denominati" e, per l'effetto, tutte le tipologie lato sensu impositive di prestazioni patrimoniali imposte, scaturenti dalla legge, tese a colpire manifestazioni di capacità contributiva.
A seguito delle novità normative surrichiamate, la cognizione del giudice tributario si estende, oltre che ai tributi di ogni genere e specie, anche al canone comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni, introdotto dall'articolo 62 del Dlgs 446/1997.

Dalla nuova formulazione del novellato articolo 2 del Dlgs 546/1992 si evince che la giurisdizione delle Commissioni tributarie, oltre a tutti i tributi "comunque denominati", si estende anche a tipologie impositive (canoni e/o tariffe) che non solo rientrano nella competenza esclusiva degli enti locali ma che, addirittura, sono prive della connotazione "fiscale".
Tuttavia, precisa la Consulta, in linea con la sopra ricordata giurisprudenza di questa Corte, la legittimità costituzionale dell'estensione della giurisdizione tributaria alle controversie concernenti i prelievi specificamente indicati nella lettera b) del comma 1 del citato articolo 3-bis è subordinata all'effettiva natura tributaria delle controversie medesime e, quindi, dei prelievi che ne costituiscono l'oggetto. Ne consegue che "non ha alcun rilievo, al riguardo, la denominazione usata dal legislatore, occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo".

Sulla natura giuridica del Cimp
Ora, continua la Corte costituzionale, per valutare se, in concreto, il Cimp sia o meno un tributo, occorre "…interpretarne la disciplina sostanziale alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per qualificare come tributarie alcune entrate: criteri che consistono nella doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti, e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005)".
Al riguardo, la Consulta prende atto che "in mancanza di una giurisprudenza di legittimità sulla natura del CIMP, questa Corte deve necessariamente procedere ad un autonomo esame delle caratteristiche del prelievo, al fine di individuarne la natura; e ciò diversamente da quanto fatto, con la sentenza n. 64 del 2008, in relazione al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del d.lgs. n. 446 del 1997 (COSAP), sulla cui natura di corrispettivo privatistico si era più volte espressa la Corte di cassazione".
Al riguardo e in via preliminare, la Corte precisa che per accertare la sussistenza di dette caratteristiche non rilevano né la formale denominazione del prelievo (nomen iuris) né la regola dell'alternatività tra l'Icp e il Cimp stabilita dal comma 1 dell'articolo 62 del Dlgs 446/1997.
Quanto, poi, all'assunto del rimettente, secondo cui dall'alternatività tra Icp e Cimp deriverebbe necessariamente la natura non fiscale di quest'ultimo, la Corte costituzionale osserva "…che nulla osta a che un prelievo tributario sia sostituito da un prelievo della stessa natura, come dimostrato dai numerosi esempi di tributi surrogatori esistenti nell'ordinamento".

Sulle analogie tra Icp e Cimp
Nel merito della disciplina giuridica del Cimp, la Consulta ne evidenzia "…l'evidente continuità tra detta disciplina e quella dell'imposta che esso sostituisce quando il Comune opti per la sua istituzione…".
Tale analogia si sostanzia in due elementi.
Un primo elemento è costituito dall'analogo presupposto impositivo consistente nella diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico.
Al riguardo, la Corte non ha dubbi in ordine alla circostanza che "…la mera 'incidenza' dell'iniziativa pubblicitaria sull'arredo urbano o sull'ambiente, richiesta per l'applicazione del canone, è del tutto omologa alla diffusione di messaggi pubblicitari prevista per l'applicazione dell'imposta comunale sulla pubblicità; con la significativa conseguenza che non sono ipotizzabili attività pubblicitarie che costituiscano presupposto solo di detta imposta e non anche del CIMP".
Ne deriva che l'obbligo di pagare il Cimp trova diretto fondamento nella legge ovvero per il solo fatto dell'installazione dei mezzi pubblicitari, con l'unica differenza - rilevante ai soli fini procedimentali - che tale installazione, per essere considerata legittima, deve essere preceduta, per l'Icp da un'apposita dichiarazione del contribuente e, per il Cimp, dall'autorizzazione del Comune.
Dal comune presupposto oggettivo che caratterizza i due suddetti prelievi discende, altresí, che essi sono dovuti indipendentemente dal fatto dell'occupazione di beni pubblici e, quindi, dalla possibilità di instaurare una correlazione tra tali prelievi e l'uso dei beni stessi. In altre parole, per la Consulta "…né l'imposta né il canone possono essere qualificati come controprestazione dell'uso di aree pubbliche; uso, questo, che costituisce, invece, la giustificazione del COSAP o, in alternativa, il presupposto della TOSAP (tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche)".

Un secondo elemento di analogia è rappresentato dal fatto che il Comune, al fine di applicare sia l'Icp che il Cimp, deve adottare un apposito regolamento che ha sostanzialmente lo stesso contenuto per ambedue i prelievi, quanto agli elementi strutturali e procedimentali che li caratterizzano.
In particolare, il regolamento deve precisare, tra le altre, le modalità di effettuazione della pubblicità, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione nonché la tariffa da applicarsi. Tali elementi sono previsti non solo dagli articoli 3 e 4 del Dlgs 507/1997 (che disciplinano l'Icp) ma anche dall'articolo 62 del Dlgs 446/1997 (che disciplina il Cimp).
Dal complesso di tali disposizioni, continua la Consulta, "…risulta evidente che il legislatore ha fissato, per la redazione dei regolamenti dei due prelievi, criteri affini, anche se non identici. Appare particolarmente significativo, al riguardo, che la tariffa del CIMP sia parametrata a quella dell'imposta, nel senso che la prima non può superare di più di un quarto la seconda. Ne deriva che l'importo del canone, analogamente a quello dell'imposta, non è determinato in funzione del criterio della copertura del costo di un eventuale servizio prestato dal Comune a favore di chi installi il mezzo pubblicitario. Ciò conferma l'impossibilità di configurare un rapporto di corrispettività contrattuale".

La Consulta poi conclude affermando che i sottolineati tratti di continuità tra la disciplina del Cimp e quella dell'Icp evidenziano che il canone costituisce - seppure con diverso nomen iuris - un prelievo della stessa natura dell'imposta e presenta, perciò, tutte le caratteristiche del tributo.

Sulle differenze tra il Cimp e la Tosap/Cosap
La Corte costituzionale si sofferma anche sulle differenze che contraddistinguono il Cimp dalla Tosap/Cosap, con interessanti argomentazioni.
Infatti, il Cimp, contrariamente alla Tosap/Cosap "…è connesso a un regime non concessorio - tale, cioè, da attribuire al concessionario diritti di cui altrimenti non sarebbe titolare - ma autorizzatorio, in senso proprio, delle iniziative pubblicitarie incidenti sull'arredo urbano o sull'ambiente…".
Ciò comporta "…che l'autore delle suddette iniziative è già titolare del diritto a esercitarle e che la previa autorizzazione, avendo la funzione di realizzare un controllo preventivo, non costituisce una controprestazione del Comune rispetto al pagamento del canone".

Ma vi è di più nel senso che "…una controprestazione rispetto al CIMP non potrebbe essere individuata neppure nell'uso <dell'arredo urbano> o <dell'ambiente>, perché il Comune, nella specie, non è titolare di diritti propri su di essi, idonei ad essere scambiati sul mercato con atti di autonomia privata, ma è solo ente esponenziale dei relativi interessi pubblici e può vantare diritti solo sui singoli beni che compongono <l'arredo urbano> e <l'ambiente>, in quanto tali beni appartengano al demanio o al patrimonio indisponibile o disponibile del Comune stesso".

In ordine al Cosap, poi, "…il pagamento del canone costituisce, cioè, la controprestazione dell'uso, legittimo od abusivo, del bene comunale e la natura non tributaria del COSAP non muta per il fatto che, riguardo alla particolare ipotesi di occupazione abusiva di beni comunali, la legge preveda l'obbligo per l'autore di tale illecito di corrispondere al Comune, oltre alle sanzioni amministrative, un'indennità predeterminata, commisurata al canone che sarebbe stato fissato ove la concessione fosse stata rilasciata. Tale previsione costituisce, infatti, una disposizione non di diritto tributario, ma di diritto privato speciale,…".

Per quanto attiene al Cimp, invece, "…al pagamento del canone non corrisponde…alcuna controprestazione da parte del Comune, perché né il consenso all'incidenza della pubblicità sull'arredo urbano o sull'ambiente, né il rilascio di autorizzazioni alle iniziative pubblicitarie possono qualificarsi come corrispettivi contrattuali a carico del Comune".

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