Con sentenza n. 21810 del 5 dicembre, la Corte di cassazione ha stabilito che è legittimo l’accertamento induttivo nei confronti di un’impresa che presenta per anni bilanci in perdita ma ha un ottimo andamento aziendale, confermato dalla consistenza degli acquisti di beni destinati alla rivendita e dagli oneri sostenuti per il personale dipendente.
Il fatto
La vicenda è quella di una società a responsabilità limitata destinataria di un avviso di accertamento con il quale vengono rilevati induttivamente maggiori ricavi Irpeg, Irap e Iva. L’ente impositore rilevava nella motivazione che la situazione reddituale della contribuente era costantemente in perdita negli ultimi cinque esercizi, situazione che, tuttavia, era incompatibile con l’ottimo andamento aziendale, caratterizzato da un consistente numero di acquisti di beni e di ingenti oneri per il personale dipendente. L’accertamento induttivo era quindi legittimo, secondo l’ufficio, in presenza di comportamenti contrari ai canoni dell’economia e in assenza di spiegazioni verosimili su scelte imprenditoriali non in linea con i ricavi.
I giudici di merito, considerato che l’appellante non aveva fornito alcun elemento probatorio di segno contrario, hanno ritenuto legittimo il comportamento del fisco e, così, la vicenda è approdata in Cassazione dove la società ha sostenuto, in asserita violazione degli articolo 39 del Dpr 600/1973 e 62-sexies del Dl 331/1993, che l’Amministrazione finanziaria non poteva procedere ad accertamento induttivo per difetto dei necessari presupposti, dal momento che le scritture contabili erano corrette, non contestate e gli elementi di presunzione contraddittori. Il ricarico, peraltro, non poteva essere “arbitrariamente” innalzato dall’ufficio in mancanza di accesso o verifica presso la sede societaria. In sostanza, l’accertamento non rappresenterebbe la reale situazione reddituale.
La decisione
Nel respingere il ricorso del contribuente, la Corte di cassazione conferma il principio espresso in analoghe sentenze, secondo cui la regolarità delle scritture contabili non cancella le gravi anomalie tra ricavi e oneri per il personale.
Infatti, la presenza di contabilità formalmente regolare, non impedisce l’accertamento in rettifica, che presuppone appunto scritture regolarmente tenute, tuttavia contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cassazione 8015/1996 e 8494/1998), che possono essere costituite da studi di settore, collegabili, ai sensi dell’articolo 62-sexies del Dl 331/1993, a gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati, le dimensioni e il giro d’affari dell’azienda, di modo che in base a un processo logico analitico induttivo possa fondatamente dubitarsi della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cassazione 19626/2012 e 26635/2009).
Perciò è legittimo l’accertamento induttivo in presenza di “una condotta commerciale anomala”, a meno che il contribuente non dimostri l’effettiva sussistenza delle perdite dichiarate. In questi casi, infatti, all’ufficio è consentito “dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell'onere della prova al carico del contribuente”.
In mancanza di documentate spiegazioni, l’irragionevolezza economica del comportamento del contribuente che, per esempio, affermi per più anni di essere finito in perdita o di avere sostenuto costi sproporzionati ai ricavi, rappresenta un fatto sintomatico di possibili violazioni all’obbligo della dichiarazione (Cassazione 1821/2001, 7680/2002 e 20422/2005), perché, non essendo conforme a logica ed esperienza impostare o proseguire l’attività secondo criteri o malgrado risultati poco vantaggiosi o addirittura dannosi, fa presumere che l’interessato abbia, in realtà, incassato più di quanto indicato nella denuncia dei redditi (Cassazione 26919/2006).
Peraltro, costituendo l’omessa dichiarazione di ricavi infrazione talmente grave da consentire la ricostruzione induttiva del reddito, ne discende che, in presenza di situazioni capaci di far ipotizzare un’omissione del genere, l’ufficio può procedere a rettifica della dichiarazione ai sensi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, perché in contrasto con criteri di ragionevolezza, specie sotto il profilo dell’antieconomicità della gestione di impresa (Cassazione 15250/2012), toccando al contribuente il compito di fornire giustificazioni tali da superare le presunzioni dell’Amministrazione (Cassazione 21536/2007).
In definitiva, una volta che l’ufficio abbia specificato gli indici di ricchezza dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il provvedimento di rettifica del reddito è di per sé legittimo, non essendo necessario che sia stato preceduto dal riscontro analitico della congruenza e della verosimiglianza dei singoli cespiti di reddito dichiarati dal contribuente (Cassazione 13976/2000 e 24532/2007).
Gravi anomalie tra costi e ricavi.
Legittimo l’accertamento alla Srl
In presenza di comportamenti contrari ai canoni dell’economia e, in assenza di spiegazioni verosimili sulle scelte imprenditoriali, inutile invocare la carenza di presupposti
