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Giurisprudenza

Immobile acquistato dal padre.
Senza prova, ok al redditometro

Legittimo l’avviso di accertamento per il recupero delle imposte se il contribuente non dimostra che l’incremento patrimoniale è dovuto all’aiuto economico della famiglia

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Con l’interessante sentenza n. 24586 del 19 novembre, la Cassazione ribadisce il principio per cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo in relazione alle spese per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa, a carico del contribuente – ai sensi dell’articolo 38, sesto comma, del Dpr 600/1973, nel testo vigente ratione temporis – riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. In tale ipotesi, l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

Un contribuente propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Ctr Lombardia che, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, aveva ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento emessi, con i quali recuperava a tassazione (anni 1998, 1999 e 2000) le maggiori imposte relative all’incremento patrimoniale allo stesso imputabile, rappresentato, nello specifico, dall’acquisto di un immobile nel capoluogo lombardo.
Secondo i giudici di appello, il contribuente – che, peraltro, non aveva neanche risposto al questionario inviatogli dall’ufficio, ai sensi dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 – non aveva debitamente dimostrato che l’acquisto dell’immobile era stato effettuato grazie all’aiuto economico fornito dal padre.
Nel ricorso di legittimità, il contribuente lamenta, tra le altre, la contraddittorietà della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, con riferimento all’esame, compiuto dal giudice di appello, degli elementi documentali depositati in atti.

Per la Corte suprema, il ricorso non merita accoglimento.
Infatti, nell’accertamento sintetico da “redditometro”, ex articolo 38 citato, è onere del contribuente dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, il giudice di merito ha correttamente “…ritenuto non provato dalla documentazione prodotta l’assunto…secondo cui l’acquisto dell’immobile era stato effettuato con esborsi da parte del padre…” essendo “…inaccettabile sul piano giuridico di ritenere dimostrata l’assunta liberalità del padre attraverso la copia fotostatica di un assegno privo di data, del quale, peraltro, risulta indimostrata la negoziazione…”.

Peraltro, nel corso del giudizio, è stato rilevato che “…l’ammontare delle rate del mutuo ipotecario è in stridente contrasto con la capacità contributiva emersa nel 2000…”, atteso che è stata ritenuta inidonea, in quanto non provata, l’affermazione del contribuente “…di avere conseguito all’estero redditi, presentando all’estero le proprie dichiarazioni dei redditi e conseguendo sempre all’estero i fondi necessari a saldare il prezzo convenuto per l’acquisto dell’immobile de quo”.

In sostanza, secondo l’assunto della Cassazione, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale – non imponibile o perché già sottoposta a imposta o perché esente – delle somme necessarie per acquisire e/o mantenere il possesso dei beni rilevatori di maggior capacità contributiva (Cassazione, sentenza n. 2015/2014).

Pertanto, il vizio di motivazione può legittimamente ritenersi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio; circostanza, questa, non verificatasi nel caso in esame.

Considerazioni
La sentenza in rassegna (che riguarda il “vecchio redditometro”) si allinea a un orientamento ormai consolidato in tema di “redditometro” (cfr, ex multis, Cassazione, sentenze nn. 22634/2014, 8995/2014 e 6396/2014), nonché alla volontà di contrasto all’evasione fiscale voluta dal legislatore nazionale che – con il dichiarato obiettivo di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di maggiori garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio – con l’articolo 22, comma 1, del Dl 78/2010, ha modificato l’articolo 38, commi dal quarto all’ottavo, del Dpr 600/1973, introducendo il “nuovo redditometro” (applicabile agli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto al 31 maggio 2010).

In particolare, l’articolo 22 del Dl 78/2010, nel modificare il quinto comma dell’articolo 38 del Dpr 600/1973, ha previsto che la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche può essere fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva e che tale contenuto deve essere individuato attraverso l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, e regolato con un apposito decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Infatti, con decreto ministeriale del 24 dicembre 2012, è stato stabilito il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito o del maggior reddito complessivo delle persone fisiche.

In pratica, la riforma della disciplina dell’accertamento da redditometro si fonda sull’assunto della necessaria equivalenza fra le spese sostenute e il reddito, presumendo che, salvo prova contraria del contribuente, l’ammontare delle spese stesse sia finanziato dai redditi del medesimo periodo e che, pertanto, tale ammontare concorra integralmente ai fini della determinazione del reddito dell’anno.

Inoltre, per quanto riguarda il rapporto tra accertamento da redditometro e indagini finanziarie, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, se in fase di contraddittorio continuano a sussistere elementi di incoerenza tra le spese sostenute e il reddito dichiarato – anche con riferimento alle spese per la restituzione di mutui e per i canoni di locazione, in relazione alle rate effettivamente pagate nell’anno – ovvero il contribuente non si presenta, l’ufficio deve valutare l’opportunità di adottare più penetranti poteri di indagine, anche in ragione della significatività dello scostamento percentuale, avvalendosi, per esempio, delle indagini finanziarie, ex articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 (circolare n. 24/2013).

Nella successiva circolare n. 6/E dell’11 marzo 2014, l’Agenzia delle Entrate, adottate le garanzie individuate dal Garante della privacy a tutela degli interessati, ha ribadito che la ricostruzione sintetica del reddito può essere effettuata tenendo conto, oltre che della quota di incremento patrimoniale imputabile al periodo d’imposta e della quota di risparmio formatasi nell’anno, delle “spese certe” (ossia, quelle sostenute, per esempio, per mutuo o canone di locazione, altre spese indicate nelle dichiarazioni per usufruire di deduzioni o detrazioni d’imposta e altre spese per beni e servizi), delle “spese per elementi certi” (in quanto ancorate all’esistenza di elementi oggettivamente riscontrabili; per esempio, i metri quadrati effettivi delle abitazioni, la potenza degli autoveicoli, la lunghezza dei natanti) e del “fitto figurativo”.
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