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Giurisprudenza

Impossibile sanare le fatturazioni per operazioni inesistenti

Profili di differenziazione con la giurisprudenza europea

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Secondo la Corte di cassazione, non è possibile, per chi emette fatture per operazioni inesistenti, evitare il pagamento dell'intera Iva indebitamente fatturata, neppure procedendo all'emissione di una nota di credito che azzeri l'operazione; invece, per il destinatario delle fatturazioni relative alle suddette operazioni, hanno pieno valore le note di credito ricevute, per cui egli non può detrarsi l'imposta indebitamente indicata in fattura.
Questo è il succo della recente sentenza n. 12353, depositata il 10 giugno 2005, che conferma un orientamento della giurisprudenza italiana consolidato da tempo.

In campo europeo, invece, la situazione appare alquanto diversa.
Infatti, la sentenza della Cassazione italiana appare diversamente orientata rispetto alla giurisprudenza comunitaria che, in casi analoghi, ha statuito sulla liceità dell'emissione di note di credito che regolarizzino l'imposta indebitamente fatturata, sia per il soggetto che ha emesso le fatture, sia per chi le ha ricevute.
In proposito, appare illuminante la causa C-454/98 che ha portato all'emissione, da parte della Corte di giustizia Ue, della sentenza del 19 settembre 2000, che espressamente dichiara:

  1. allorché colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali, il principio della neutralità dell'imposta sul valore aggiunto richiede che l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso la fattura
  2. spetta agli Stati membri definire il procedimento in base al quale l'imposta sul valore aggiunto indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, ammesso che questa regolarizzazione non dipende dal potere discrezionale dell'Amministrazione fiscale.

Per giungere a tali determinazioni, la Corte di Giustizia ha percorso un cammino interessante, che vale la pena ricostruire con attenzione per le possibili conseguenze nei diritti interni dei singoli Stati membri.
La questione era stata sottoposta ai giudici comunitari dall'omologo tedesco delle Commissioni tributarie italiane, cioè dal Bundesfinanzhof, e verteva su tre questioni pregiudiziali inerenti l'articolo 21, punto 1, lettera c) della sesta direttiva Cee (direttiva 17 maggio 1977, 77/388/Cee), che così stabilisce: "L'imposta sul valore aggiunto è dovuta in regime interno... da chiunque indichi l'imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci...".

Le tre questioni pregiudiziali evidenziate dal remittente la causa erano le seguenti:
"1) Se il diritto comunitario imponga che sia consentita la rettifica di un'imposta già indebitamente fatturata nell'ambito del procedimento di accertamento d'imposta, oppure sia sufficiente che gli Stati membri ammettano una rettifica in un successivo procedimento secondo equità (per cosiddette ragioni tecniche).
2) Se la rettifica di un'imposta indebitamente fatturata presupponga obbligatoriamente che colui che emette una fattura dimostri la sua buona fede oppure una rettifica di una fattura sia ammessa anche in altri casi (eventualmente quali).
3) In base a quali presupposti colui che emette una fattura agisca in buona fede
".

Ebbene, la Corte europea, esaminando in primo luogo il secondo degli argomenti sottoposti alla sua attenzione, ha statuito che "allorché l'IVA non è stata indicata indebitamente in buona fede, ma in maniera abusiva da colui che emette la fattura poiché quest'ultimo sa sia che non è un soggetto passivo, sia che la cessione di beni o la prestazione di servizi cui si riferisce la fattura non è stata eseguita, il principio di neutralità dell'IVA non richiederebbe che sia offerta una possibilità di regolarizzazione dell'IVA indebitamente fatturata... Occorre in secondo luogo constatare che la sesta direttiva non prevede alcuna disposizione relativa alla regolarizzazione, da parte di chi emette la fattura, dell'IVA indebitamente fatturata... Alla luce di queste considerazioni, spetta in via di principio agli Stati membri determinare le condizioni in cui l'IVA indebitamente fatturata possa essere regolarizzata... Al riguardo, occorre ricordare che i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell'art. 22, n. 8, della sesta direttiva per assicurare l'esatta riscossione dell'imposta ed evitare le frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine; essi non possono quindi essere utilizzati in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell'IVA, il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell'IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia".
Concludendo, "occorre quindi risolvere la questione nel senso che, allorché colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali, il principio della neutralità dell'IVA richiede che l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso tale fattura".

Passando, poi, a esaminare la prima delle tre questioni sottoposte alla sua attenzione, e cioè in base a quale procedimento la regolarizzazione dell'Iva indebitamente fatturata debba aver luogo, la Corte, dopo aver rilevato che, una volta eliminato il rischio di perdite di entrate fiscali, la regolarizzazione di cui si sta discutendo non può essere rimessa al potere discrezionale dell'Amministrazione fiscale poiché, dalla soluzione fornita alla questione precedente, risulta in maniera chiara che il principio di neutralità dell'Iva richiede che possa procedersi alla regolarizzazione stessa, conclude che "spetta agli Stati membri definire il procedimento in base l'IVA indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, ammesso che questa regolarizzazione non dipende dal potere discrezionale dell'amministrazione fiscale".

Stante la soluzione prospettata alle prime due questioni prospettatele, la Corte ha ritenuto assorbito il pronunciamento sulla terza questione.
Fin qui, la giurisprudenza comunitaria.

Tornando, invece, al pronunciamento della Corte di cassazione italiana, si evidenzia come questa ritenga che la fattura portante fatturazioni inesistenti non possa essere rettificata con note di credito a storno.
Infatti, secondo la suprema Corte, l'articolo 26 del Dpr 633/72 "suppone di necessità che l'operazione per la quale sia stata emessa fattura e da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte... in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa sia una operazione vera e non già... una operazione del tutto insussistente perché simulata in modo assoluto".
In altre parole, la disposizione dell'articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72, (secondo cui "se viene emessa fattura per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura"), obbliga e vincola l'emittente della fattura al pagamento dell'intero ammontare dell'imposta esposta in fattura, senza che possa essere invocata, a difesa dell'emittente, la carenza di uno dei principi generali dell'imposta, cioè l'effettuazione dell'operazione.

Dal punto di vista del cessionario, cioè di colui che riceve la fattura portante fatturazioni per operazioni inesistenti, l'ordinamento interno prevede che egli non possa esercitare il diritto alla detrazione dell'imposta perché in completa assenza del presupposto oggettivo (l'effettuazione della relativa operazione), in base ai principi generali regolatori della detrazione sanciti dall'articolo 19 del Dpr 633/72, mentre, secondo quanto affermato dai giudici, "va riconosciuta la validità delle note di credito ricevute".

Traendo le opportune conclusioni da quanto fin qui affermato, avremo che il contribuente che emette fatture per operazioni inesistenti:

  • è obbligato a versare l'intera imposta indicata in fattura, anche se ha provveduto a rettificare l'operazione emettendo, ai sensi dell'articolo 26 del Dpr 633/72, una "nota di credito"
  • ai sensi dell'articolo 13 del Dlgs n. 471/1997, è punito con una sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell'imposta non versata
  • è soggetto alle sanzioni penali previste dal Dlgs n. 74/2000.

Il contribuente che, invece, riceve fatture per operazioni inesistenti:

  • non può portare in detrazione l'imposta indicata in fattura ai sensi dell'articolo 19 del Dpr 633/72 e, qualora riceva una "nota di credito", deve corrispondere quella eventualmente ivi annotata
  • oltre a dover corrispondere l'imposta indebitamente detratta, è soggetto a una sanzione amministrativa che va dal 100 per cento al 200 per cento dell'imposta portata indebitamente in detrazione, ai sensi dell'articolo 5 del Dlgs n. 471/1997
  • è, al pari dell'emittente la fattura, soggetto alle sanzioni penali previste dal Dlgs n. 74/2000.


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