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Giurisprudenza

Imprese associate a tempo:
impraticabile il reverse charge

È da considerarsi soggetto passivo ai fini dell’Iva l’imprenditore che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone individualmente il relativo rischio

immagine di una sveglia
Non risponde a tale nozione l’associazione temporanea d’imprese, che designa un raggruppamento di più aziende, le quali, per aggiudicarsi un appalto, presentano un’offerta unitaria; non ravvisandosi un unitario soggetto passivo, non è consentito all’associazione di valersi del metodo del reverse charge ai fini dell’assolvimento dell’Iva.
A fornire questi principi è stata la Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle entrate, con la sentenza 30354 del 23 novembre 2018.

I fatti di causa
Un’associazione temporanea di imprese, subappaltatrice nell’ambito di attività di costruzioni, chiedeva il rimborso del credito Iva maturato per effetto dell’applicazione del meccanismo del reverse charge, che aveva influito sul calcolo dell’aliquota media, generando l’eccedenza d’imposta oggetto della richiesta.
L’Agenzia delle entrate opponeva diniego all’istanza di rimborso; seguiva l’impugnazione del provvedimento di rigetto.
 
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e quella regionale respingeva l’appello dell’ufficio, ritenendo che l’associazione temporanea di imprese (Ati) avesse la veste giuridica di società e, comunque, di un soggetto autonomamente rilevante ai fini Iva.
Secondo i giudici di secondo grado, inoltre, le considerazioni relative al tipo di Ati su cui aveva fatto leva l’Agenzia erano state introdotte soltanto in sede di appello e dovevano, pertanto, ritenersi “nuove”.
L’atto di diniego, infine, non era stato, secondo la Ctr, adeguatamente motivato, perché basato su meri riferimenti normativi richiamati per relationem.
 
Contro la pronuncia della Commissione tributaria regionale ha presentato ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, deducendo violazione degli articoli 21 e 57 del Dlgs 546/1992, nonché degli articoli 30 e 17, comma 6, lettera a), del Dpr 633/1972, in combinazione con l’articolo 37 del Dlgs 163/2006.
La controparte ha replicato con controricorso, eccependo l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso dell’ufficio per la mancata specifica indicazione e l’omissione di deposito degli atti e dei documenti alla base dell’impugnazione.
 
Ragioni della decisione
I giudici di legittimità hanno preliminarmente reputato infondata l’eccezione d’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso proposto dall’ufficio.
Come precisato dalla Corte, nel ricorso sono indicati esattamente gli atti rilevanti su cui esso si fonda, ossia il provvedimento di diniego a fronte della richiesta di rimborso e l’atto di appello dell’Agenzia; quanto all’eccezione relativa all’asserito omesso deposito degli atti, la Corte, richiamando il proprio precedente indirizzo, rammenta che, ai fini della procedibilità dei ricorsi per cassazione in materia tributaria, è sufficiente che i ricorrenti producano – come in effetti è accaduto nella fattispecie in esame – l’istanza di trasmissione dei fascicoli d’ufficio, vistata dalla cancelleria del giudice che ha emesso la pronuncia oggetto di impugnazione (la Ctr, in questo caso). Difatti, i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti al termine del processo (articolo 25, comma 2, Dlgs 546/1992); non sussiste, inoltre, in capo alla parte ricorrente, l’obbligo di produrre la copia degli atti e dei documenti su cui i ricorsi si fondano (cfr Cassazione, 22726/2011).
 
È fondato, ad avviso dei giudici di legittimità, il primo motivo di ricorso dell’ufficio. L’Agenzia ha lamentato la violazione dell’articolo 57 del Dlgs 546/1992, per avere la Ctr ritenuto come “nuova” la considerazione svolta in appello circa la mancanza di un’autonoma soggettività dell’Ati.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/1992, sono precluse in appello esclusivamente le nuove eccezioni in senso tecnico, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa e il conseguente ampliamento del tema della decisione. Ebbene, questo tipo di fattispecie non appare ravvisabile in caso di rifiuto o rigetto di un’istanza di rimborso, essendo la pretesa avanzata dal contribuente, e in relazione a essa la contestazione dell’ufficio si traduce in una mera argomentazione difensiva (tra le varie, cfr Cassazione, 23587/2016).
 
La Corte reputa fondato anche il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia, con il quale l’ufficio ha eccepito la violazione dell’articolo 21 del Dlgs 546/92, avendo la Commissione tributaria regionale ritenuto inadeguata la motivazione del provvedimento di diniego che, al contrario, secondo i giudici della Cassazione, è da ritenersi abbondantemente motivato e integralmente esplicativo.
 
Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, connessi, l’Agenzia ha dedotto la violazione degli articoli 30 e 17, comma 6, lettera a), del Dpr 633/1972, in combinazione con l’articolo 37 del Dlgs 163/2006, laddove i giudici d’appello hanno ritenuto provata la natura di società dell’associazione temporanea di imprese.
Nel merito – sostengono i giudici della Cassazione – la censura dell’ufficio è fondata. La Corte evidenzia come l’articolo 9 della direttiva n. 2006/112 definisce i «soggetti passivi» quali persone che esercitano un’attività economica «in modo indipendente». Nel caso in esame, l’associazione temporanea di imprese sarebbe qualificabile come autonomo soggetto passivo laddove le imprese in essa confluite non esercitassero la propria attività economica in modo indipendente, ossia non sopportassero individualmente il rischio concernente la propria attività.
 
Come precisato dalla sentenza della Cassazione, “Il raggruppamento temporaneo è volto alla collaborazione delle imprese raggruppate per ottenere l’aggiudicazione di un appalto mediante la presentazione di un’offerta unitaria da parte di soggetti che conservano la propria indipendenza giuridica; e, a tale scopo, è previsto il conferimento di un mandato collettivo speciale gratuito, a norma dell’articolo 37, comma 14, del Dlgs n. 163/2006, secondo cui «Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario»”.
Si tratta, quindi, di un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale. Il predetto mandato non determina un autonomo centro d’imputazione giuridica né la formazione di un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono (cfr Cassazione, 3808/2016 e 24883/2015); l’istituto prevede la creazione di un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare, senza l’obbligo di assumere vincoli societari.
La sentenza della Corte sottolinea che “Ciascuna impresa riunita non svolge attività in comune, ma, nell’ambito della propria parte dei lavori, agisce autonomamente e intrattiene direttamente i propri rapporti con terzi (banche, fornitori, personale ecc...), di modo che le imprese associate conservano la propria individualità...”.
 
Nell’ambito delle Ati si distingue poi tra quelle orizzontali, tra imprese che svolgono attività omogenee, portatrici di uguali competenze, che si riuniscono al fine di suddividere i lavori oggetto dell’appalto, e quelle verticali, ove, invece, manca omogeneità tra le attività delle associate; in queste ultime, l’impresa mandataria che svolge l’attività principale si identifica come capogruppo.
Nelle Ati di tipo orizzontale, ogni impresa è responsabile solidalmente nei confronti della stazione appaltante, mentre in quelle verticali le mandanti rispondono ciascuna per le prestazioni assunte e la mandataria risponde in via solidale con ciascuna delle imprese mandanti in relazione alle rispettive prestazioni secondarie.
In conclusione, pertanto, la configurazione come associazione temporanea di imprese, sia verticale sia orizzontale, esclude la configurabilità di un unico soggetto passivo.
In conseguenza di ciò – statuisce la Corte – non è possibile l’applicazione del meccanismo del reverse charge, in base all’articolo 17, comma 6, lettera a), del Dpr 633/1972, nel testo vigente all’epoca dei fatti, secondo cui “Le disposizioni di cui al quinto comma (in tema di reverse charge, appunto) si applicano anche: a) alle prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori”. E ciò perché l’Ati non può essere considerata come soggetto subappaltatore unico.
 
In conclusione, la Corte ribadisce che, in tema di Iva, poiché soggetto passivo è l’imprenditore che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone individualmente il relativo rischio, non risponde a tale nozione l’Ati; quest’ultima identifica, infatti, un raggruppamento di più imprese che, per aggiudicarsi un appalto, presentano un’offerta unitaria, conservando la propria indipendenza giuridica, a prescindere dalla configurazione del raggruppamento come orizzontale (svolgimento di attività omogenee) o verticale (attività disomogenee).
Non ravvisandosi un unitario soggetto passivo, non è consentito all’Ati di valersi del metodo del reverse charge ai fini dell’assolvimento dell’Iva.
 
Il ricorso dell’ufficio va, dunque, accolto e la sentenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.
 
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