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Giurisprudenza

Indennità suppletiva di clientela: accantonamenti indeducibili

Manca il requisito imprescindibile di certezza richiesto dalla normativa per i componenti negativi del reddito

Gli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela, effettuati in adempimento degli obblighi imposti dagli accordi economici collettivi previsti per gli agenti e i rappresentanti di commercio, sono indeducibili dal reddito d'impresa della casa mandante.
A confermare la correttezza di tale tesi è intervenuta recentemente anche la Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza n. 33/20/2011, depositata l'8 febbraio.

Tale indirizzo era stato espresso anche dalla circolare 42/2007, che aveva recepito il consolidato orientamento della Corte di cassazione.
L'Amministrazione finanziaria era tornata infatti a occuparsi della questione concernente la deducibilità degli accantonamenti effettuati per la (eventuale) corresponsione dell'indennità suppletiva di clientela e della indennità meritocratica all'atto di cessazione del rapporto di agenzia, ritenendo, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, non più sostenibile la tesi interpretativa già contenuta nella risoluzione 59/2004.

Il documento di prassi chiariva infatti che, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 4 dell'articolo 105 del Tuir (nella formulazione vigente dal 1° gennaio 2004), l'accantonamento ai fondi per indennità di cessazione del rapporto di agenzia, valorizzato nelle sue diverse componenti (indennità di risoluzione, indennità suppletiva e, se ne ricorrono i presupposti, indennità meritocratica), era riconosciuto fiscalmente deducibile nei limiti dell'importo massimo previsto dall'articolo 1751, terzo comma, del codice civile.
Inoltre, poiché le disposizioni contenute nei commi 1 e 4 dell'articolo 105 erano identiche a quelle già contenute nei commi 1 e 3 dell'articolo 70 (nella formulazione vigente fino al 31 dicembre 2003), la stessa risoluzione 59/2004 aveva rilevanza anche in relazione alle controversie pendenti sulla questione della deducibilità degli accantonamenti in argomento.

La posizione allora assunta era peraltro in sintonia con il previgente orientamento della Corte suprema (cfr Cassazione, 10221/2003), in base al quale "l'articolo 70, comma 3 del D.P.R. n. 917/1986... si riferisce alle indennità percepite per la cessazione del rapporto di agenzia delle persone fisiche, tra le quali rientra l'indennità suppletiva di clientela. In contrario non vale rilevare che dal contratto collettivo che disciplina detta indennità suppletiva risulta che essa non viene corrisposta sempre ma soltanto nelle ipotesi di scioglimento di un contratto a tempo indeterminato per fatto non imputabile all'agente. La natura aleatoria dell'indennità, infatti, non consentiva all'Ufficio di contestare in radice la legittimità dell'accantonamento, ma solo di determinare il quantum di quest'ultimo sulla base di criteri statistici che tenessero conto delle probabilità di cessazione del rapporto di agenzia per fatto imputabile all'agente".

Nello stesso anno, comunque, la Cassazione si era, a dire il vero, già espressa anche in senso opposto, statuendo che "l'indennità suppletiva di clientela non ha natura previdenziale e, soprattutto, è caratterizzata dalla mera eventualità dell'obbligo del preponente alla sua corresponsione, condizionata... alla ricorrenza dell'ipotesi che il contratto di agenzia si sciolga ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all'agente", con la conseguenza che l'indennità suppletiva di clientela assumeva rilevanza fiscale, ai fini della deducibilità dal reddito di impresa, solo nell'esercizio in cui effettivamente veniva erogata (cfr sentenza 7690/2003).

Come detto, la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 24443/2005, 24973/2006, 1910/2007) ha poi invece definitivamente affermato l'indeducibilità dei predetti accantonamenti, sul presupposto che l'indennità suppletiva di clientela rappresenta un costo meramente eventuale sia nell'an che nel quantum, come tale non accantonabile fiscalmente e, quindi, non deducibile dal reddito d'impresa, manifestando, invece, la qualità di componente negativo deducibile solo nell'esercizio in cui venga concretamente ed effettivamente corrisposta.

Inoltre, le citate pronunce della Cassazione (in particolare, la sentenza 24973/2006) ritengono che il consentire la deducibilità di tali accantonamenti:
  • "urta contro il chiaro ed univoco disposto normativo richiamato per il quale, come detto, la "natura aleatoria" dell'erogazione in questione esclude la possibilità di considerare come "maturata" nell'anno una qualche quota della stessa"
  • non trova conforto nella "funzione" ("sostituire il mancato reddito derivante dalla cessazione del rapporto") che si assume svolta dall'indennità de qua, atteso che il problema giuridico è dato sempre e solo dalla individuazione, anche al fine di determinare l'esercizio (fiscale) di competenza, del momento di "maturazione" dell'emolumento e tale momento può coincidere unicamente con il sorgere del diritto, quindi con la cessazione del rapporto.

Conseguentemente le somme accantonate ai predetti fondi possono essere dedotte solo nell'esercizio in cui vengono effettivamente corrisposte.

Il documento di prassi del 2007 contemplava, del resto, a ulteriore "garanzia" del contribuente, anche la possibilità per il contribuente che avesse dedotto gli accantonamenti in base alla previgente interpretazione, di rettificare la dichiarazione ai sensi dell'articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria, essendo anche prevista la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso.

In conclusione, gli accantonamenti operati dalle società ai fini dell'indennità suppletiva di clientela, riconosciuta agli agenti e ai rappresentanti di commercio in caso di scioglimento anticipato del contratto per iniziativa della società, sono deducibili solo nell'esercizio in cui l'indennità viene concretamente corrisposta.
L'accantonamento operato dal datore di lavoro, anche se giustificabile sotto il profilo civilistico, in quanto rientrante nel prudente apprezzamento dell'imprenditore, non assume infatti rilevanza a fini fiscali, difettando quel requisito imprescindibile di certezza richiesto dalla normativa ai fini della deducibilità dei componenti negativi del reddito.
Visto, del resto, il carattere di eventualità dell'indennità in parola essa non è inseribile tra i fondi di accantonamento a fini fiscali, che, come noto, costituiscono un numerus clausus, insuscettibile di ampliamento a discrezione del contribuente.

Come detto, la Ctp di Firenze, con la sentenza citata, ha ulteriormente confermato tale impostazione, affermando in particolare che "l'indennità suppletiva di clientela, prevista dagli accordi economici collettivi che disciplinano i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, in quanto connotata dall'incertezza dell'obbligo del preponente alla sua corresponsione, costituisce, in pendenza del rapporto di agenzia, un costo meramente eventuale, sia nell'an che nel quantum. Ne consegue che tale indennità non è accantonabile fiscalmente e quindi non è deducibile dal reddito di impresa …. Manifestando invece la qualità di componente negativo deducibile solo nell'esercizio in cui venga concretamente corrisposta". 

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