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Giurisprudenza

Induttivo o analitico-induttivo,
la motivazione non lo specifica

Risulta, però, in ogni caso, delineato il fatto costitutivo della pretesa impositiva, tanto da consentire al contribuente di esercitare nel modo più efficace il suo diritto di difesa

L’imprecisa qualificazione del tipo di accertamento condotto è del tutto irrilevante ai fini della completezza e idoneità della motivazione dell’atto impositivo.

È quanto chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 7644 del 28 marzo 2018, che ha ritenuto correttamente motivato e, quindi, valido, l’avviso che, in una parte, richiama il secondo comma dell’articolo 39, Dpr 600/1973 (accertamento induttivo), per poi fare riferimento, in un’altra parte dello stesso avviso, al primo comma dello stesso articolo 39 (accertamento analitico – induttivo).


La vicenda processuale
Con distinti ricorsi, una società in nome collettivo – operante nel settore della compravendita immobiliare – e i relativi soci, hanno impugnato l’avviso di accertamento emesso, per l’anno 2003, dall’Agenzia delle entrate ai fini Irpeg, Irap e Iva nei confronti della società e i conseguenti avvisi emessi nei confronti dei soci ai fini Irpef.
Gli atti impositivi avevano accertato maggiori ricavi sulla base di quanto emerso dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza che attestava una diffusa evasione, riscontrata dall’esame delle fatture di vendita di importo inferiore ai prezzi correnti di mercato, dei mutui richiesti e dei contratti di assicurazione, i cui importi erano in palese contrasto con le perizie estimative dalle quali risultava un valore commerciale superiore da attribuire agli immobili compravenduti.
 
Le impugnazioni, solo in parte accolte in primo grado, hanno poi trovato integrale accoglimento innanzi alla Commissione tributaria regionale, che ha parzialmente riformato le sentenze della provinciale.
Avverso le decisioni di secondo grado l’Agenzia delle entrate ha proposto separati ricorsi per cassazione.
 
La decisione della Corte
Preliminarmente, il giudice di legittimità ha riunito i tre ricorsi proposti dall’Agenzia, derivanti da impugnazioni che, pur proposte separatamente dalla società in nome collettivo e dai relativi soci e mai riunite nei gradi di merito, sono state di fatto contestualmente trattate e decise nelle medesime udienze, garantendo l’osservanza delle condizioni previste dalla sentenza della Cassazione 3830 del 2010, ai fini della realizzazione del “simultaneus processum”.
Con la 3830/2010, la Cassazione, infatti, si è pronunciata in materia di controversie aventi a oggetto gli avvisi di accertamento nei confronti delle società di persone e dei relativi soci, fornendo ulteriori precisazioni su alcuni principi affermati dalle sezioni unite (sentenza 14815/2008), sul litisconsorzio necessario, precisando, in proposito, che, nel processo di cassazione, non va dichiarata la nullità dei giudizi decisi separatamente nel merito qualora:
1. vi sia la piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto sia dell’atto impositivo notificato alle altre parti, che delle difese processuali svolte dalle stesse
2. sussista l’identità oggettiva della causa petendi dei ricorsi
3. i ricorsi siano stati proposti simultaneamente avverso l’avviso di accertamento “unitario” costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci
4. vi sia l’identità sostanziale delle difese espresse in giudizio dalla società e dai soci
5. i processi vengano trattati simultaneamente innanzi ai giudici di merito
6. vi sia l’identità sostanziale delle decisioni adottate dai giudici di merito.
 
Passando a esaminare il merito della vicenda, la Cassazione ha anzitutto accolto i primi due motivi di impugnazione proposti dall’Agenzia delle entrate ex articoli 360, primo comma, nn. 3 e 5, del codice di procedura civile, per aver la Ctr affermato: “Quanto alla forma, non è assolutamente chiaro in forza di quale comma dell’art. 39 DPR 600/73 sia avvenuto l’accertamento, dal momento che in una parte dell’avviso contestato l’Ufficio cita il 2° comma (che qualifica l’accertamento come induttivo) per poi fare riferimento, in un’altra parte, al 1° comma che si riferisce all’accertamento analitico - induttivo non sembra questa dissonanza di scarso rilievo alla Commissione, dal momento che dalla stessa si potrebbe far discendere quanto meno una motivazione carente se non proprio inesistente”.
 
Secondo l’Agenzia delle entrate, la Ctr, così decidendo, è incorsa anzitutto nel vizio di falsa applicazione – ex articolo 360, primo comma, n. 3 – degli articoli 42, secondo comma, Dpr 600/1973 e 39, 40 e 41-bis, Dpr 600/1973, ma anche nel vizio di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio – ex articolo 360, primo comma, n. 5 – per non aver compiutamente argomentato le ragioni che avrebbero determinato l’inidoneità della motivazione dell’avviso di accertamento.
La Corte suprema, pur ribadendo la non secondarietà del ruolo della motivazione nell’atto impositivo, così come emerge dall’intero sistema normativo e, in particolare, dall’articolo 7 dello Statuto del contribuente, ove prevede che “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati …indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”, esclude un’interpretazione formalistica del requisito della motivazione.
Difatti, secondo la Cassazione, la motivazione dell’atto impositivo consente al giudice di valutare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, esercitando un sindacato sul rapporto tributario sotteso e non una valutazione sulla correttezza formale dell’atto.
 
Ciò premesso, il giudice di legittimità ha ritenuto corretta la motivazione che ben delineasse i presupposti di fatto posti a fondamento della pretesa impositiva che, nel caso di specie, consistono nelle presunzioni estratte dal processo verbale di costatazione della Guardia di finanza.
A supporto del proprio convincimento, la Corte ha richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali (cfr Cassazione, 24278/2014 e 19477/2016) in cui si escludeva che il mutamento della linea difensiva, adottata dell’ufficio finanziario nel corso di un giudizio – dichiarando nel ricorso in appello di aver proceduto con metodo induttivo, laddove, invece, l’atto di accertamento si fondava sul metodo analitico extracontabile – comportasse una immutatio libelli, tardiva e non consentita, se non mutano i presupposti di fatto sui quali si basano le due valutazioni.
 
Con la conseguenza che, secondo la sentenza in commento “…risulta del tutto irrilevante, ai fini della completezza ed idoneità della motivazione dell’avviso di accertamento, la specifica indicazione del tipo di accertamento condotto, in quanto, nella fattispecie, risultava in ogni caso delineato il fatto costitutivo della pretesa, sì da consentire al contribuente di esercitare nel modo più efficace il proprio diritto di difesa”.
 
Appurata la correttezza della motivazione, la Corte suprema ha altresì accolto gli ulteriori motivi di impugnazione proposti dall’Agenzia delle entrate, cassando le sentenze impugnate e rinviando la causa alla Commissione tributaria regionale, ritenendo che l’ufficio abbia legittimamente proceduto alla rideterminazione induttiva del reddito della contribuente, basandosi sugli elementi presuntivi estratti dalla documentazione extracontabile rilevata dalla Guardia di finanza.
Secondo la Cassazione è errata la motivazione delle sentenze della Commissione tributaria regionale laddove, nel ritenere gli avvisi di accertamento supportati da meri elementi indiziari, hanno violato il principio, più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, 24778/2015, 15027/2014 e 23115/2013) che, in caso di accertamento induttivo, stabilisce l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, tenuto a dimostrare l’insussistenza del maggior reddito accertato, senza che in ciò egli possa essere sostituito da un apprezzamento discrezionale operato d’ufficio dal giudice.
 
Ha concluso la Corte suprema ritenendo che: “Nel caso di specie, la Ctr ha, invece, erroneamente, respinto l’appello dell’ufficio, ritenendolo non supportato da validi elementi probatori, in quanto meramente indiziari, ed ha violato il principio per cui, sussistendo i presupposti per l’accertamento induttivo, il contribuente avrebbe dovuto dimostrare i fatti costitutivi delle eccezioni sollevate”.
 
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