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Giurisprudenza

Intercettazioni telefoniche: valido elemento probatorio in Ctp

Recuperati 78 mln di euro di imponibile e 19 di Iva evasa: i giudici confermano l'operato di Vicenza 2

È stata l'attività di ricostruzione del magazzino della società e dei passaggi di proprietà dei beni compravenduti, l'esame delle modalità con cui erano condotte le operazioni commerciali, la disamina delle caratteristiche delle società coinvolte, la raccolta di informazioni assunte dalle persone escusse in atti nel corso delle indagini e, soprattutto, l'esito delle intercettazioni telefoniche disposte dall'autorità giudiziaria, a consentire di appurare che una società vicentina ha organizzato e gestito un complesso sistema di frode "carosello".

Fatto
Gli addebiti prendevano le mosse da quanto contestato dalla Guardia di finanza di Venezia a seguito di indagini condotte nell'ambito di un procedimento penale istruito presso la procura della Repubblica di Padova a carico di una nota società operante nel settore del commercio all'ingrosso di apparecchiature ad alto contenuto tecnologico.
In sintesi, la società risultava aver:

  1. partecipato (in veste di broker) all'attuazione di una frode carosello all'Iva
  2. contribuito alla realizzazione di un'evasione dell'Iva sulle operazioni commerciali poste in essere mediante un'applicazione distorta della normativa sui depositi fiscali Iva
  3. ricevuto ed emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

In particolare, per quanto riguarda la fattispecie di cui al punto 1, oggetto di contestazione per l'anno in esame, l'esecuzione della frode in argomento seguiva il seguente schema:

  • una società comunitaria - conduit company (A) effettuava una fornitura di merci intracomunitaria non imponibile a una società fittizia - missing trader(B) di un altro stato dell'Ue
  • la società (B), per il particolare regime dell'Iva intracomunitaria, acquistava le merci senza pagare l'imposta, annotava (o meglio avrebbe dovuto annotare) la fattura contestualmente nel registro delle vendite e degli acquisti Iva in modo da autoliquidare l'imposta e poi, al momento dell'effettuazione di una fornitura nazionale a una terza società (C), denominata broker, emetteva una fattura comprensiva di Iva
  • la società fittizia (B) incassava, così, l'Iva sulle vendite fatte al broker (C) ma non versava come avrebbe dovuto l'Iva all'Erario e, successivamente, scompariva, trasferendo la propria sede o rendendosi di fatto irreperibile
  • il broker (C), in sede di liquidazione periodica e annuale, detraeva l'Iva assolta sugli acquisti effettuati presso B.

Di conseguenza, la perdita per l'erario era pari all'Iva pagata da C a B, che rimaneva nelle casse del broker anziché essere versata all'erario. In realtà il broker, ossia il reale gestore delle società fittizie, è colui che incassava l'Iva non versata, facendo ricadere la responsabilità del mancato assolvimento degli obblighi tributari sulla società fittizia.
Per rendere più difficoltose le indagini degli organi preposti al controllo, anche in casi analoghi, vengono spesso interposte tra le società fittizie (B) e la società broker (C) ulteriori società intermediarie - buffer (D), anch'esse appartenenti all'associazione fraudolenta. Nella pratica, tutta l'operazione è coordinata dalla società broker che immette le merci sul mercato nazionale e fornisce ai soggetti fittiziamente interposti la provvista finanziaria per il pagamento del fornitore comunitario. Pertanto, dato che la reale compravendita avviene tra la società comunitaria e la società nazionale broker (reale acquirente), tutti i passaggi intermedi sono documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, e da qui il nome di cartiere con cui si identificano sia (B) che (D), rispettivamente di primo e di secondo livello.

Nel caso in esame, dunque, l'indagine di polizia giudiziaria ha consentito di constatare l'attiva partecipazione della società, all'interno di un'articolata filiera commerciale diretta a realizzare una frode secondo lo schema sopraesposto, in qualità di broker, ossia di reale gestore e beneficiario del meccanismo fraudolento posto in essere.

Avverso l'avviso di accertamento emesso dall'ufficio di Vicenza 2, il quale ha proceduto al recupero dei costi soggettivamente inesistenti ai fini delle imposte dirette, nonché al recupero dell'Iva relativa, la parte ha proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale chiedendo l'annullamento dell'atto, tra l'altro, per carenza di prova nel rilievo sulla frode Iva e per violazione e falsa applicazione dell'articolo 14 della legge 537/1993 e dell'articolo 109 del Tuir.

La motivazione della sentenza
Con la sentenza n. 28/06/2010, i giudici vicentini hanno respinto analiticamente tutte le eccezioni presentate dalla società, condannandola anche alla rifusione delle spese processuali.
In particolare, la Ctp ha ritenuto che l'avviso di accertamento è partito da ben definiti riscontri di fatto che dimostrano che la società, con il coinvolgimento di altri soggetti economici, anche comunitari, ha organizzato e gestito il sistema di frode carosello praticato. Gli elementi raccolti in sede di verifica dall'organo verbalizzante (capillare ricostruzione del magazzino della società e dei passaggi di proprietà dei beni compravenduti, l'esame delle modalità con cui erano condotte le operazioni commerciali, la rilevazione dei prezzi praticati, la disamina delle caratteristiche delle società coinvolte, la raccolta di informazioni assunte dalle persone escusse in atti nel corso delle indagini) sono stati corroborati dall'esito delle intercettazioni telefoniche disposte dall'autorità giudiziaria su alcune utenze in uso a soggetti aderenti al sodalizio criminoso. Queste intercettazioni, pur riferendosi ad annualità successive, portano alla conclusione logica che la struttura organizzativa fraudolenta fosse operante anche nel 2003, essendo gli stessi soggetti coinvolti e medesimo lo schema dei passaggi commerciali predisposti.

Il giudice tributario ha ritenuto legittimo l'accertamento dell'ufficio ai fini del recupero dell'Iva sulle fatture soggettivamente inesistenti per violazione dell'articolo 19 del Dpr 633/72. Infatti, come più volte ribadito dalla Corte di cassazione (sentenza 3550/2002, 14337/2002, 5717/2007), in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, trattandosi di situazioni fraudolente o abusive, il cessionario che usa il documento fiscale non può recuperare l'Iva, anche se l'imposta è stata assolta dall'emittente ai sensi dell'articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72.

Si evidenzia, inoltre, che la Ctp di Vicenza ha ritenuto legittimo l'accertamento laddove l'ufficio ha proceduto al disconoscimento della deducibilità ai fini delle imposte dirette dei costi soggettivamente inesistenti, sotto un duplice profilo normativo:
" per applicazione dell'articolo 14, comma 4-bis della legge 537/93, secondo cui i costi riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, sono indeducibili
" per applicazione dell'articolo 75 del Tuir (oggi articolo 109), secondo cui i costi sono deducibili solo se rispettano i requisiti di certezza e di inerenza. In questo caso, poiché la documentazione relativa ai costi soggettivamente inesistenti (pagamenti, documenti di trasporto, fatture) è stata appositamente predisposta al fine di mettere in atto il disegno criminoso descritto e nel quale la società ha svolto il ruolo di broker, non risultano rispettati i requisiti previsti per la deducibilità.

Infine, la Commissione ha condiviso un altro rilievo dell'ufficio, che aveva assoggettato a Iva le operazioni commerciali fatturate dalla società come non imponibili ex articolo 41 del Dl 331/1993 in quanto rivolte a un operatore comunitario rivelatosi inesistente, sulla scorta delle informazioni fornite dall'autorità giudiziaria austriaca, consentendo il recupero di circa 4 milioni di euro di imposta sul valore aggiunto.

Osservazioni
La sentenza in commento risulta di particolare interesse, considerate le contrastanti pronunce giurisprudenziali in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, nonché in materia di utilizzazione di intercettazioni telefoniche nell'ambito del processo tributario.
In particolare, nel caso di frodi carosello come sopra descritte, risulta fondamentale dimostrare che la società broker, che effettua operazioni attive reali, sia il reale gestore della catena di operazioni fittizie in acquisto, nonché il beneficiario finale del meccanismo fraudolento. Le intercettazioni, pertanto, hanno rappresentato, nella pronuncia in commento, un elemento fondamentale nella dimostrazione dell'impianto accusatorio. La pronuncia conferma l'indirizzo intrapreso dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 4306/2010, ha statuito che le intercettazioni telefoniche, strumenti istruttori tipici del processo penale, costituiscono indizi utilizzabili dall'ufficio anche nell'accertamento tributario.

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