Non spetta alcun rimborso alla controllante inglese sugli interessi corrisposti dalla controllata italiana, se non dimostra che quest’ultima abbia versato la prevista ritenuta all'Erario nostrano. Chi agisce per conseguire la restituzione di somme, deve provare di averle realmente corrisposte.
L’ufficio svolgeva, nel 2009, una verifica nei confronti di una srl e accertava l'omesso versamento di ritenute con riferimento all'anno d'imposta 2006.
In concreto, la società aveva ottenuto un finanziamento dalla sua controllante con sede nel Regno Unito, per effetto del quale le era stato messo a disposizione un conto corrente dedicato. In relazione al 2006 erano maturati interessi passivi per l'importo di 105.883,61 euro, che avrebbero dovuto essere assoggettati a imposizione nella misura del 12,5% (articolo 26, comma 5, Dpr n. 600/1973, Paese estero in white list) in favore del Fisco italiano. Si assumeva invece che gli interessi fossero stati versati per intero dalla società italiana alla controllante estera, senza operare alcuna trattenuta e versamento. Non si verteva, sempre a parere dell’ufficio, in un'ipotesi di esenzione dalla trattenuta e dal versamento, poiché la società estera, nella prima parte del 2006, non possedeva una partecipazione qualificata nella società italiana da almeno un anno, avendola acquisita il 23 marzo 2005 (cfr articolo 26-quater, Dpr n. 600/1973).
L’ufficio notificava l’avviso di accertamento alla società italiana – sostituto d’imposta – mentre la controllante presentava istanza di rimborso delle somme versate dalla controllata italiana a seguito della quale l’ufficio opponeva il silenzio-rifiuto.
La società controllata italiana e la controllante inglese proponevano impugnazione avverso il provvedimento di rigetto implicito dell'istanza di rimborso innanzi alla Ctp di Pescara, la quale rigettava il ricorso “sul presupposto che la ricorrente non aveva dato prova di essere stata beneficiaria degli interessi e che tali interessi siano stati assoggettati ad imposizione nel Regno Unito”. Le due società proponevano appello, il quale veniva accolto dalla Ctr Abruzzo con riforma dell’impugnata sentenza. L’Agenzia delle entrate ha spiegato ricorso per cassazione, articolato su quattro motivi, ai quali hanno replicato le società con controricorso.
In estrema sintesi, il ricorso erariale sosteneva che né la società inglese né quella italiana potessero vantare titolo a conseguire il domandato rimborso.
La Cassazione, con sentenza n. 14817 dello scorso 26 maggio, ha accolto il ricorso dell’ufficio e, decidendo nel merito, ha rigettato l’originaria impugnazione delle società controricorrenti.
I giudici di legittimità, in via preliminare, hanno rilevato la sussistenza di una “motivazione apparente” contenuta nella sentenza della Ctr, in quanto quei giudici si erano limitati a una “…stringata affermazione contenuta nella decisione…dunque assolutamente inidonea a dare conto delle valutazioni sulle argomentazioni proposte dall'Ufficio, in merito all'insufficienza probatoria della documentazione allegata dalle controparti”.
Tale assunto deve collegarsi, secondo la Cassazione, al dato di fatto, intangibile e indiscusso, in base al quale la società italiana - avendo versato ogni somma richiesta in conseguenza dell'omessa effettuazione della trattenuta sugli interessi - ha prestato acquiescenza all'accertamento tributario ab origine.
Con ciò, ritenendo fondato l’ulteriore motivo di ricorso erariale per cui, nei confronti del soggetto che abbia ricevuto la notificazione di un atto impositivo, non lo abbia contestato e anzi ne abbia onorato ogni pagamento richiesto, l’atto impositivo diviene di regola definitivo e intangibile.
La società italiana, pertanto, non aveva alcun titolo per richiedere il rimborso delle somme versate.
Con i restanti motivi di ricorso l'Agenzia delle entrate ha censurato la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Ctr per non aver rilevato che la controllante non possedeva i requisiti per poter domandare il rimborso delle somme versate, a titolo di trattenuta sugli interessi, dalla sua controllata italiana sotto il profilo della violazione dell’onere della prova, da parte della società inglese, di essere il “beneficiario effettivo” del versamento degli interessi.
La Cassazione ha ritenuto altrettanto fondati le ulteriori doglianze dell’ufficio, in ragione del fatto che “gli interessi maturati (sul conto corrente di finanziamento) sono stati corrisposti alla controllante inglese al lordo delle ritenute. La società britannica, dunque, non è stata incisa dal prelievo fiscale e quindi non ha diritto al rimborso; la stessa non è rimasta incisa in alcun modo, né direttamente, né indirettamente, dal Fisco italiano e solo la società italiana ha subito le ritenute”.
La questione è che la controllante ha domandato al Fisco italiano il rimborso di somme che essa non ha provato di aver versato all'erario indirettamente; fermo restando che è pacifico che non lo abbia fatto direttamente poiché il versamento era stato effettuato dalla società italiana a seguito del ricevimento dell'avviso di accertamento.
Costituisce un principio generale che chi agisce per conseguire un rimborso ovvero la restituzione di somme che afferma di avere corrisposto debba dimostrare di averle versate.
Una valutazione differente dovrebbe proporsi nell'ipotesi in cui la società italiana avesse provveduto a operare e versare le trattenute, come previsto dalla legge, poiché in questo caso la società inglese avrebbe ricevuto una minor somma a titolo di interessi, e avrebbe subito un pregiudizio economico suscettibile di restituzione al ricorrere delle condizioni di legge.
Del pari la società inglese disporrebbe di un titolo per conseguire la restituzione delle somme qualora avesse rimborsato alla società italiana gli oneri sopportati ma, anche a tal proposito, deve rilevarsi che la società inglese non ha provato di avervi provveduto.
Quanto alla società italiana occorre rilevare che, pacificamente, non ha operato le trattenute dovute per legge e non le ha versate all'Erario.
Solo a seguito della notificazione dell’avviso di accertamento ha proceduto a onorare il proprio debito, prestando acquiescenza all’atto impositivo, divenuto incontestabile, e non aveva alcun titolo per promuovere un'azione di rimborso.
In definitiva, nel caso in esame, il sostituito di imposta non residente (società controllante inglese) non può chiedere a rimborso la ritenuta se non dimostra che la stessa sia stata operata e versata all'Erario dal sostituto, nella specie la società italiana.
Interessi alla controllante inglese,
senza ritenuta, niente rimborso
La controllata residente colta in flagrante dall’Agenzia ha pagato l’imposta solo dopo essere stata accertata, pertanto, la capogruppo britannica ha incassato le somme senza decurtazioni
