Gli eurogiudici ritengono in contrasto con il diritto unionale una disciplina nazionale che limita il diritto al rimborso del contribuente in seguito a una pronuncia della Corte di giustizia europea che dichiari l’incompatibilità del prelievo di imposta con il diritto Ue. Questo il principio espresso con la sentenza di oggi, 8 giugno 2023 della Corte di giustizia dell’Unione europea, causa C-322/2022.
La fattispecie e la questione pregiudiziale
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione di alcuni principi del diritto dell’Unione, in particolare dei principi di leale cooperazione, equivalenza ed effettività, nel contesto del diritto degli individui al versamento di interessi in occasione del rimborso, da parte di uno Stato membro, di un’imposta riscossa in violazione del diritto dell’Unione.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un fondo di investimento con sede negli Stati Uniti d’America all’amministrazione finanziaria polacca in ordine alla limitazione e negazione del versamento di interessi su eccedenze riscosse, a titolo di imposta, in violazione del diritto dell’Unione.
Al riguardo, è sorta una controversia approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione con cui si chiede di conoscere se i principi di effettività e di leale cooperazione nonché il principio di equivalenza, sanciti dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nonché qualsiasi altro principio rilevante previsto dal diritto dell’Unione, ostino ad una disposizione nazionale, secondo la quale gli interessi sui tributi versati in eccesso dal sostituto d’imposta in violazione del diritto dell’Unione non sono dovuti al contribuente per il periodo successivo al termine di 30 giorni, decorrente dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale [dell’Unione europea] della sentenza della Corte che dichiara l’incompatibilità del prelievo dell’imposta con il diritto dell’Unione, nel caso in cui la domanda diretta a far constatare tale eccedenza sia stata presentata dal contribuente dopo la scadenza di tale termine, e le disposizioni di diritto nazionale in materia di riscossione delle imposte siano risultati incompatibili con il diritto dell’Unione.
Le valutazioni della Corte Ue
Con la sua questione, il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se i principi di equivalenza ed effettività, letti in combinato disposto con il principio di leale cooperazione, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, quando una domanda di rimborso di un’eccedenza fiscale è presentata oltre 30 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea di una sentenza della Corte da cui deriva la constatazione della contrarietà del tributo al diritto dell’Unione, limita la decorrenza degli interessi sull’eccedenza dovuti al contribuente interessato al trentesimo giorno successivo a tale pubblicazione, o addirittura esclude qualsiasi interesse nel caso in cui tale eccedenza sia stata versata dal contribuente dopo il trentesimo giorno.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in forza del principio di leale cooperazione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, Tue, gli Stati membri devono eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto dell’Unione e stabilire modalità procedurali, per i ricorsi diretti a garantire la tutela dei diritti spettanti alle persone in forza di quest’ultimo, che non siano meno favorevoli di quelli che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
Inoltre ogni contribuente al quale un’autorità nazionale abbia imposto il pagamento di una tassa, di un dazio, di un’imposta o di un altro prelievo non dovuti in quanto in violazione del diritto dell’Unione, ha il diritto, in forza di quest’ultimo, di ottenere, da parte dello Stato membro interessato, non solo il rimborso della somma di denaro indebitamente percepita, ma anche il versamento di interessi diretti a compensare l’indisponibilità di quest’ultima.
I diritti al rimborso delle somme di denaro di cui uno Stato membro ha imposto il pagamento ad un contribuente in violazione del diritto dell’Unione, e al versamento di interessi su tali somme, costituiscono l’espressione del principio generale di ripetizione dell’indebito.
La circostanza che il versamento di una tassa, di un dazio, di un’imposta o di un altro prelievo sia stato imposto da un’autorità nazionale «in violazione del diritto dell’Unione» fonda e giustifica tali diritti.
Tale violazione può avere ad oggetto qualsiasi norma del diritto dell’Unione, che si tratti di una disposizione del diritto primario o derivato, oppure di un principio generale del diritto dell’Unione.
Per quanto riguarda la natura di tale violazione, la Corte ha dichiarato che i diritti al rimborso dell’indebito e al versamento di interessi che i contribuenti traggono dal diritto dell’Unione costituiscono l’espressione di un principio generale, la cui applicazione non è limitata ad alcune violazioni di tale diritto o esclusa in presenza di altre.
Da ciò deriva che tali diritti possono essere invocati non solo nel caso in cui un’autorità nazionale abbia imposto a un contribuente di pagare un importo di denaro sulla base di un atto dell’Unione che risulti viziato da illegittimità, ma anche in altre ipotesi, in particolare nel caso in cui il pagamento sia stato imposto sulla base di una normativa nazionale contraria a una disposizione del diritto primario o derivato dell’Unione, o ancora nel caso in cui tale autorità abbia imposto il pagamento applicando erroneamente, alla luce del diritto dell’Unione, un atto dell’Unione o una normativa nazionale che assicura l’esecuzione o il recepimento di un tale atto.
Pertanto, i principi del diritto dell’Unione relativi ai diritti dei contribuenti di ottenere il rimborso di importi di denaro, il cui pagamento sia stato loro richiesto da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione, nonché il versamento di interessi su tali importi di denaro devono essere interpretati nel senso che essi si applicano, in via generale e fatte salve le modalità in base alle quali tali diritti devono essere esercitati in un determinato caso di specie, quando da una sentenza della Corte o da quella di un giudice nazionale emerge che il pagamento di un tributo tramite prelievo alla fonte è stato imposto da un’autorità nazionale in base a un’interpretazione erronea del diritto dell’Unione, oppure a un’applicazione erronea di tale diritto.
Il diritto al versamento di interessi di tale sentenza, mira a compensare l’indisponibilità dell’importo di denaro di cui il contribuente è stato indebitamente privato. Tale compensazione può avvenire, in base alle modalità previste dalla normativa applicabile dell’Unione o, in mancanza di una tale normativa, in linea con quelle che si applicano in virtù del diritto nazionale.
In mancanza di una disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso di imposte presentate agli Stati membri e, in particolare, in materia di versamento di interessi di mora su imposte indebitamente riscosse, spetta all’ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro stabilire le modalità secondo le quali gli interessi devono essere versati in caso di rimborso di imposte riscosse in violazione del diritto dell’Unione. Tali modalità, da un lato, non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna e, dall’altro, non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.
In particolare, tali modalità di versamento di interessi non devono privare il contribuente di un risarcimento adeguato per la perdita ad esso cagionata, il che presuppone che gli interessi che gli sono versati coprano l’intero periodo compreso tra la data in cui egli ha versato la somma di denaro e la data in cui quest’ultima gli è stata rimborsata.
Ne consegue che il diritto dell’Unione osta ad una norma che non risponda a tale obbligo e che, quindi, non consenta l’esercizio effettivo dei diritti al rimborso e al versamento di interessi garantiti da tale diritto.
Nella controversia in esame, l’articolo 78, paragrafo 5, del codice tributario nazionale prevede, in linea di principio, il pagamento di interessi sull’eccedenza che decorrono fino alla data di rimborso di quest’ultima e, in tal modo, soddisfa, ‘prima facie’, la disposizione del diritto dell’Unione relativa alla ripetizione dell’indebito.
Tuttavia, tale disposizione nonché l’interpretazione che ne dà l’amministrazione tributaria polacca hanno l’effetto, nel caso in cui la domanda di rimborso sia presentata più di 30 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della sentenza della Corte da cui deriva la constatazione della contrarietà del tributo al diritto dell’Unione, di limitare nel tempo la decorrenza degli interessi o addirittura, eventualmente, di escluderli del tutto.
La limitazione temporale della decorrenza degli interessi, che si deduce direttamente dal testo dell’articolo 78, paragrafo 5, del codice tributario, si applica quando l’eccedenza si verifica prima della scadenza del trentesimo giorno successivo alla pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, della sentenza della Corte da cui deriva la constatazione che l’imposta viola il diritto dell’Unione, e la domanda di rimborso è presentata successivamente a tale data. Il motivo addotto per giustificare tale limitazione è l’intento di evitare che i contribuenti differiscano le loro domande di rimborso dell’eccedenza riscossa allo scopo di beneficiare di interessi più consistenti.
In relazione all’esclusione di qualsiasi interesse, che deriva dall’interpretazione dell’articolo 78, paragrafo 5, del codice tributario da parte dell’amministrazione tributaria polacca, essa si produce, nel caso in cui l’eccedenza sia stata riscossa dopo il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della sentenza della Corte, da cui deriva la constatazione che l’imposta viola il diritto dell’Unione. La ragione addotta per giustificare tale esclusione è che il contribuente può opporsi alla riscossione dell’eccedenza, avvalendosi della sentenza della Corte.
In tale contesto, la Corte è stata chiamata a verificare se e in che misura tale meccanismo di limitazione e, se del caso, di esclusione degli interessi violi la disposizione del diritto dell’Unione, secondo cui il contribuente che subisce un’eccedenza fiscale in violazione del diritto dell’Unione ha diritto, oltre al rimborso di tale eccedenza da parte dello Stato membro interessato, al pagamento, da parte di tale Stato membro, di interessi su tale eccedenza, calcolati fino alla data del rimborso di quest’ultima.
A tal proposito, le domande di rimborso di eccedenze e di pagamento di interessi su tali eccedenze sono soggette alle norme procedurali nazionali, che possono imporre al richiedente di agire con ragionevole diligenza al fine di evitare il danno o limitarne la portata.
Tuttavia, tali modalità devono essere in linea con il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività.
In relazione al principio di effettività, per quanto riguarda, in primo luogo, l’esame del meccanismo di limitazione nel tempo della decorrenza degli interessi alla luce di detto principio, anche supponendo che il deposito di una domanda di rimborso entro 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della sentenza della Corte, da cui risulti la constatazione della contrarietà del tributo al diritto dell’Unione, possa essere considerato un obbligo esigibile del contribuente che ha partecipato alla controversia in occasione della quale tale sentenza della Corte è stata pronunciata, un tale deposito non può essere ragionevolmente richiesto a qualsiasi altro contribuente che, non essendo parte in tale controversia, possa non essere informato della pronuncia della sentenza della Corte entro un termine così breve.
Tale ultimo contribuente, senza con ciò commettere alcuna negligenza, può venire a conoscenza del fatto che l’imposizione da lui subita violava il diritto dell’Unione solo dopo la scadenza del termine dei 30 giorni successivi a tale pubblicazione.
Inoltre, anche per quanto riguarda il contribuente parte della controversia che ha dato luogo a tale sentenza il quale, in linea di principio, è a conoscenza di quest’ultima sin dal giorno della sua pronuncia, non ci si può sempre attendere dallo stesso che presenti una domanda di rimborso entro 30 giorni dalla pubblicazione di tale sentenza nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Infatti, quando la constatazione della contrarietà del tributo al diritto dell’Unione dipende dal risultato di verifiche che, nella sua sentenza, la Corte chiede al giudice del rinvio di operare, un periodo ampiamente superiore alla scadenza di tale termine di 30 giorni può trascorrere prima che tale tributo si riveli contrario al diritto dell’Unione, sulla base delle considerazioni contenute nella sentenza della Corte. Ciò vale a maggior ragione quando tale giudice, in sede di esecuzione della sentenza della Corte, non proceda esso stesso alle verifiche richieste, ma rinvii all’amministrazione tributaria, affinché essa proceda a ciò.
Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’esame, alla luce del principio di effettività, del meccanismo di esclusione di qualsiasi interesse sull’eccedenza applicato quando tale eccedenza sorge dopo la scadenza del termine dei 30 giorni successivi alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della sentenza della Corte, si osserva che la circostanza che un tributo applicato da uno Stato membro si riveli contrario al diritto dell’Unione alla luce di una sentenza della Corte non implica che un contribuente possa concretamente impedire il versamento dell’imposta.
Infatti, non è escluso che un’imposta continui ad essere prelevata, in violazione del diritto dell’Unione, successivamente alla pronuncia e alla pubblicazione di una tale sentenza nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Anche in questo caso ciò può verificarsi, a maggior ragione, quando la constatazione della contrarietà dell’imposizione al diritto dell’Unione dipende dal risultato di valutazioni e verifiche che la Corte, nella sua sentenza, invita il giudice del rinvio ad operare e alle quali quest’ultimo chiede, a sua volta, all’amministrazione finanziaria di procedere.
Tale difficoltà del contribuente ad impedire il pagamento dell’imposta è ulteriormente accresciuta quando tale pagamento incombe, come nel caso in esame, a un terzo «sostituto d’imposta» personalmente responsabile della riscossione dell’imposta e del suo versamento all’Erario, e tale sostituto d’imposta informa il contribuente solo a posteriori del prelievo effettuato, con uno sfasamento temporale.
Per quanto riguarda la considerazione relativa allo sfasamento temporale nell’informazione del contribuente da parte del sostituto d’imposta, si sottolinea che, anche ipotizzando che il differimento applicabile nel caso di specie si estenda, al massimo, per un mese e sette giorni a decorrere dal prelievo e non –su un periodo che decorre fino alla fine del terzo mese dell’anno successivo a quello del versamento, circostanza che spetterà al giudice del rinvio, se del caso, verificare, risulta chiaramente che tale differimento di un mese e sette giorni può comportare che il contribuente sia informato del prelievo solo dopo la scadenza del termine previsto dall’articolo 78, paragrafo 5, del codice tributario.
Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che il principio di effettività, in combinato disposto con il principio di leale cooperazione, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, quando una domanda di rimborso di un’eccedenza fiscale è presentata oltre 30 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea di una sentenza della Corte da cui deriva la constatazione della contrarietà del tributo al diritto dell’Unione, limita la decorrenza degli interessi sull’eccedenza dovuti al contribuente interessato al trentesimo giorno successivo a tale pubblicazione, o addirittura esclude qualsiasi interesse nel caso in cui tale eccedenza sia stata versata dal contribuente dopo il trentesimo giorno.
Data sentenza:
8 giugno 2023
Numero sentenza
Causa C 322/2022
Nome delle parti
E.
Contro
Dyrektor Izby Administracji Skarbowej we Wrocławiu,
Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)