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Giurisprudenza

Invito disertato, consulente punito.
Non importa come sarebbe andata

Tre gradi di giudizio, tre “sconfitte”, per un’associazione di esperti fiscali che evita di parlare con l’amministrazione e, contestualmente, suggerisce rimedi impraticabili

Il consulente fiscale deve risarcire il proprio cliente quando, sebbene munito d’incarico e della documentazione necessaria, non si presenta all’invito al contraddittorio dell’Agenzia delle Entrate, pur in mancanza di una prova positiva che la presenza all’incontro con l’ufficio avrebbe sortito effetti più favorevoli per il contribuente (Corte di cassazione, sentenza n. 11213 del 9 maggio 2017).
 
Il caso
Il titolare di un’attività commerciale ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale, un’associazione di consulenza fiscale per ottenere la condanna al risarcimento del danno subito per inadempimento dell’incarico professionale conferito.
In particolare ha esposto che, a seguito di invito a comparire dell’Agenzia delle Entrate, l’associazione, pur avendo ricevuto dal cliente la relativa documentazione, non si presentava e si limitava a consigliare l’adesione a un condono fiscale, poi rivelatasi inammissibile.
 
Al contribuente, pertanto, veniva notificato un avviso di accertamento, con importi maggiorati e comprensivo di interessi e di sanzioni, dal quale veniva a conoscenza che il debito non poteva comunque essere oggetto di condono.
 
I giudici di appello, confermando la decisione di primo grado, hanno condannato la consulente al risarcimento del danno subito dal contribuente, ritenendo provato l’inadempimento dell’incarico professionale ricevuto e il danno subito dal cliente, anche in assenza di prova positiva che la partecipazione all’incontro con l’Agenzia delle Entrate avrebbe sortito effetti più favorevoli.
 
La decisione
In sede di legittimità, l’associazione convenuta in giudizio ha lamentato che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere provato l’inadempimento e il danno conseguente, in quanto il contribuente avrebbe dovuto dimostrare di aver fornito alla consulente tutta la documentazione idonea, compresa la procura ad agire per suo conto, e non potrebbe attribuire alla stessa alcuna responsabilità per il fatto contestato, in particolare per la mancata congruità della documentazione fiscale prodotta rispetto agli studi di settore.
Secondo l’associazione ricorrente mancherebbe, inoltre, la necessaria procura scritta conferita dal contribuente per poter gestire il rapporto tributario con l’Agenzia delle Entrate.
 
La Corte di cassazione non ha condiviso i motivi di doglianza e ha confermato la condanna al risarcimento del danno con pagamento anche delle spese del giudizio.
I giudici di legittimità hanno preliminarmente sottolineato che, in tema di responsabilità professionale, la valutazione relativa all’esistenza e all’entità della colpa del professionista è rimessa al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione completa e adeguata (cfr Cassazione, nn. 10966/2004 e 6967/2006).
 
In virtù di tale principio, nel caso in esame è stato rilevato che la sentenza oggetto di ricorso dava atto della prova dell’incarico professionale conferito alla consulente, dell’avvenuta trasmissione della documentazione, della negligente assenza all’incontro con l’Agenzia delle Entrate, della noncuranza per non aver prospettato le conseguenze dell’incontro, nonché della circostanza che il legale della consulente fosse consapevole della responsabilità dei propri assistiti avendo manifestato, in un primo momento, “la volontà delle Associazioni di rimborsare alla cliente sanzioni ed interessi”.
 
La sentenza in esame ripropone la dibattuta questione relativa alla determinazione della responsabilità di un professionista nello svolgimento della sua attività, anche in merito ai rapporti di collaborazione e dialogo con l’amministrazione finanziaria.
La pronuncia è di particolare interesse anche sotto un altro profilo. Nello specifico, le ricorrenti hanno lamentato che la sentenza impugnata non si sia fatta carico della prova che la comparizione della consulente presso l’ufficio avrebbe raggiunto il risultato positivo del mancato accertamento tributario e che la sua prestazione, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, non avrebbe potuto estendersi a evitare l’accertamento.
 
La Corte ha ritenuto infondato il predetto motivo in quanto, sebbene non fosse possibile attendersi dai consulenti che il contribuente evitasse qualunque sanzione, era legittimo pretendere che i professionisti partecipassero all’incontro e negoziassero una sanzione inferiore, senza limitarsi a suggerire erroneamente un condono, poi rivelatosi impossibile per carenza dei presupposti normativi.
Alla luce di questa considerazione è stata respinta l’eccezione dell’associazione consulente, secondo cui la prestazione, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, non avrebbe potuto estendersi a evitare l’accertamento.
 
Invero, in via generale, il consulente fiscale esercita una professione di natura intellettuale, disciplinata dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile e la Corte di cassazione, confermando il proprio precedente orientamento, ha ribadito che “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita” (cfr Cassazione, sentenze nn. 10966/2004, 6967/2006, 9917/2010, 2638/2013 e 3355/2014).
 
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