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Giurisprudenza

Irregolarità delle scritture contabili,
legittimo l’avviso a società e soci

In presenza di una serie di elementi indiziari forniti dall’ufficio la Ctr non doveva annullare integralmente l’avviso di accertamento ma casomai rideterminare l’imposta dovuta

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Se le omissioni o le false o inesatte indicazioni sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l'attendibilità anche degli altri dati contabili, i giudici di secondo grado non possono ritenere illegittimo l’avviso a carico della società e poi quello a carico dei soci per il solo fatto che non erano state rilevate delle irregolarità nelle scritture contabili e l’ufficio aveva applicato delle percentuali di ricarico errate. Con l’ordinanza n. 28747/2022 la Cassazione respinge la tesi della Ctr che aveva ritenuto illegittimo l’avviso dell’ufficio.

La vicenda processuale nasce dalla notifica, effettuata dall’Agenzia delle Entrate, di un avviso di accertamento a carico di una Snc per recuperare l’Ilor 1996. Di conseguenza, l’Ufficio procedeva alla notifica, nei confronti dei due soci, di distinti atti impositivi ai fini dell’Irpef.
La Ctp di Brindisi, a seguito di autonomi ricorsi presentati dalle parti private, emetteva sentenze di accoglimento dei medesimi gravami e la Ctr della Puglia – sezione staccata di Lecce – ne confermava l’impianto motivazionale rigettando gli appelli proposti dall’Ufficio impositore.
Nel merito, i giudici di seconde cure ritenevano illegittimo l’avviso a carico della società e poi quello a carico dei soci in quanto il primo era stato effettuato in assenza di rilevate irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, non tenendo conto dell'attività industriale esercitata dalla Società ed utilizzando un’analisi delle percentuali di ricarico ritenuta errata.

L’Agenzia delle entrate quindi ricorre in Cassazione sulla base di tre motivazioni.

In sintesi, i motivi di censura, così come prospettati dall’Ufficio, si fondavano su una serie di plurimi errori in cui era incorsa la Ctr Puglia fra cui quello di avere ritenuto inappropriata la metodologia seguita dall’Agenzia per l'applicazione della percentuale di ricarico poiché estranea all'attività industriale svolta dalla società.
I giudici di legittimità, con l’ordinanza n.28747 del 4 ottobre scorso, hanno accolto i motivi di impugnazione e rinviato la decisione della controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia - sezione staccata di Lecce - in diversa composizione.

Nello specifico, la Cassazione ha richiamato la costante giurisprudenza della Suprema corte (Cassazione n. 33604/2019 e, in precedenza, Cassazione n. 30803/2017, n. 33604/2019, n. 7025/2018) in base alla quale «in tema di rettifica dei redditi d'impresa, il discrimine tra l'accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la "incompletezza, falsità od inesattezza" degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l'Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell'esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all'art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, "le omissioni o le false od inesatte indicazioni" sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l'attendibilità - e dunque l'utilizzabilità, ai fini dell'accertamento - anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l'amministrazione finanziaria può "prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti" ed è legittimata a determinare l'imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.».

Nel caso di specie, la Cassazione ha evidenziato che i giudici di secondo grado avevano fatto malgoverno dei principi di diritto anzidetti avendo, da un lato, applicato all'accertamento societario, oggetto di impugnazione di tipo analitico-induttivo, la normativa relativa all'accertamento induttivo puro e per avere ritenuto illegittimo, in presenza di contabilità regolare, l'atto impositivo laddove, invece, l'Ufficio aveva fornito tutta una serie di elementi indiziari (quali l'anomalo valore del costo del venduto, lo squilibrio del costo economico del venduto, l'ingente valore attribuito alle rimanenze finali) idonei a spostare sulla contribuente l'onere della prova.
Inoltre, il giudice di appello aveva errato nell'annullare integralmente l'avviso di accertamento laddove, al contrario, secondo gli insegnamenti della Corte, avrebbe dovuto procedere all'esame nel merito della pretesa impositiva rideterminando, se del caso, l'imposta dovuta (Cassazione n.13034/2012).

In conclusione, il discrimine tra l'accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la "incompletezza, falsità od inesattezza" degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l'Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell'esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all'articolo 2729 codice civile.
Nel secondo caso, invece, le omissioni o le false od inesatte indicazioni sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l'attendibilità anche degli altri dati contabili, sicché l'amministrazione finanziaria può prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l'imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex articoli 2727 e 2729 codice civile.

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