Irrilevanza Iva dei servizi tra casa madre e stabile organizzazione
Con la sentenza del 23 marzo (causa C-210/04) l’organismo comunitario ha affermato che "un centro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non deve essere considerato un soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni".
Inoltre è stato precisato, contestualmente, che il riferimento all’articolo 7, paragrafi 2 e 3 della Convenzione contro le doppie imposizioni, in vigore con il Regno Unito e l’Irlanda del Nord, non è pertinente alle questioni riguardanti l’Iva. La pronuncia conclude il procedimento, sulla questione pregiudiziale interpretativa sollevata dalla Corte di Cassazione italiana con l’ordinanza del 18 febbraio 2004, che ha visto contrapposti il ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate, e la Fce Bank plc del Regno Unito.
Le origini della controversia
La Fce It, sede secondaria italiana della Fce Bank del Regno Unito, ha fruito di servizi di consulenza, gestione, formazione del personale, trattamento di dati e fornitura e gestione di software, prestati dalla casa madre. Avvalendosi del sistema di autofatturazione, la sede secondaria ha provveduto all’emissione della relativa fattura e al versamento dell’Iva. Poiché la stabile organizzazione italiana pone in essere soltanto operazioni finanziarie esenti, si è reso, necessario per il recupero dell’imposta versata, presentare all’Agenzia delle Entrate italiana apposita istanza di rimborso. Alla richiesta della Fce It, l’Amministrazione fiscale italiana ha opposto un silenzio-rifiuto. La Fce It ha impugnato il rigetto dell’istanza di fronte al giudice tributario italiano e, sia in prima istanza che in appello, si è vista riconoscere il diritto invocato.
Il ricorso alla Corte di Cassazione
Il ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate, soccombente nei due gradi di merito, ha proposto ricorso alla suprema Corte di Cassazione affermando che le prestazioni rese dalla casa madre avrebbero dovuto essere assoggettate a Iva in quanto, essendo la stabile organizzazione italiana un soggetto autonomo, i pagamenti per esse effettuati (alla casa madre) sarebbero un corrispettivo che costituisce base imponibile. Il cardine della tesi italiana è rappresentato dall’idea che la stabile organizzazione sia, ai fini fiscali, un soggetto autonomo anche nei confronti della casa madre. La Fce Bank, al contrario, ha sostenuto che i due enti costituiscono un solo soggetto passivo in quanto la stabile organizzazione italiana (Fce It), priva di personalità giuridica, è "un mero punto di collegamento ai fini dell’assoggettamento ad Iva delle attività relative all’oggetto sociale" e che, di conseguenza, l’Iva per le prestazioni oggetto della controversia non è esigibile in quanto si tratterebbe unicamente della ripartizione, fra le articolazioni dello stesso soggetto passivo, dei costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività.
Le questioni pregiudiziali presentate alla Corte di giustizia europea
La Corte di Cassazione adita ha deciso di sospendere il giudizio e di porre, con la citata ordinanza del 18 febbraio 2006, una questione pregiudiziale interpretativa per sapere se, ai sensi degli articoli 2, n. 1 e 9, n. 1 della sesta direttiva: la filiale di una società con sede in altro Stato (dell’Unione Europea o Extra Ue) ed avente le caratteristiche di una unità produttiva, possa essere considerata soggetto autonomo rispetto alla casa madre e, conseguentemente, se le prestazioni di servizi rese da una entità all’altra siano assoggettabili ad Iva; la quantificazione delle prestazioni possa avvenire secondo il principio dell’arm’s length previsto dall’articolo 7, paragrafi 2 e 3 della vigente Convenzione contro le doppie imposizione con il Regno Unito e Irlanda del Nord; il riaddebito dei costi dei servizi resi alla filiale possa, e in quale misura, considerarsi corrispettivo dei servizi prestati, ai sensi dell’articolo 2 della sesta direttiva, indipendentemente dalla misura del riaddebito e dal conseguimento di un utile d’impresa; sussista un contrasto fra la prassi amministrativa nazionale di un Paese che ritenga imponibili le prestazioni di servizi intercorrenti fra casa madre e la sua stabile organizzazione (ritenendoli due soggetti giuridici distinti) ed il diritto di stabilimento sancito all’articolo 43 del Trattato CE.
Le posizioni di Commissione e Amministrazione finanziaria italiana
Secondo la Commissione le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto alla propria stabile organizzazione localizzata in un altro Stato membro e non dotata di una propria autonomia giuridica, non devono essere considerate operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto. L’Amministrazione finanziaria italiana, invece, ha sostenuto che, dal punto di vista fiscale e in particolare nell’applicazione dell’Iva, la stabile organizzazione goda di una propria soggettività separata rispetto alla casa madre. Secondo l’Autorità fiscale italiana, infatti, la stabile organizzazione, in quanto costituita da fattori umani e patrimoniali è sempre un centro di imputazione di rapporti giuridici nonché di diritti e obblighi in materia di Iva. A tale interpretazione non sono di ostacolo, peraltro, le difficoltà che si possono presentare, per effetto dell’appartenenza alla stessa entità giuridica, nel caso di esecuzione forzata collegata all’operazione imponibile.
La posizione della Corte di Giustizia Ue
La Corte di Giustizia ha ritenuto che il legislatore europeo, nel definire "soggetti passivi" le persone che esercitano un’attività economica "in modo indipendente" (articolo 4 della sesta direttiva), abbia escluso dal campo dell’imposizione le persone vincolate, al proprio datore di lavoro, da un rapporto giuridico che imponga subordinazione per quanto riguarda, in particolare "le condizioni di lavoro e di retribuzione e la responsabilità del datore di lavoro (v. sentenza 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karageorgou e a., Racc. pag. I-13295, punto 35).".
Imponibilità della prestazione
Secondo il giudice europeo, infatti, la prestazione è imponibile soltanto quando viene resa nell’ambito di un rapporto giuridico fra soggetti distinti che svolgono attività economica indipendente. L’autonomia dell’attività è caratterizzata dal rischio economico che è sopportato dai singoli soggetti. Nel caso della controversia la Corte di Giustizia ha ritenuto che il rischio dell’attività non gravi sulla succursale italiana della banca (che non dispone di un fondo di dotazione) bensì, integralmente, sulla casa madre britannica. L’articolo 9, n. 1 della sesta direttiva, peraltro, nel caso in esame non può trovare applicazione in quanto si tratta di una disposizione mirata a individuare il soggetto passivo nel caso di transazioni effettuate tra la succursale e i terzi.Le operazioni tra casa madre e stabile organizzazioneIn sostanza, il principio in base al quale la stabile organizzazione assoggetta a imposta le operazioni con i terzi (entrambi soggetti autonomi) non può essere traslato alle operazioni intercorrenti tra la medesima stabile organizzazione e la propria casa madre (in quanto si tratta del medesimo soggetto passivo). La mancanza di indipendenza tra i due soggetti rende, inoltre, irrilevante l’esistenza di accordi sulla ripartizione dei costi e l’eventuale valutazione sulla natura del riaddebito dei medesimi.
La Convenzione dell’Ocse
Non pertinente è stato definito, dalla Corte di Giustizia, anche il richiamo alla Convenzione Ocse in quanto, quest’ultima, disciplina la fiscalità diretta e non quella indiretta. Rilevata la predetta incompatibilità della prassi amministrativa italiana (che considera anche ai fini Iva, che una stabile organizzazione costituisca, sempre, un soggetto giuridicamente autonomo) con la sesta direttiva il giudice comunitario ha ritenuto superfluo pronunciarsi su un eventuale violazione dell’articolo 43 del Trattato CE.
Le conclusioni
In conclusione, la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha ritenuto che un rapporto giuridico nell’ambito del quale possa avvenire uno scambio di reciproche prestazioni (articolo 2 sesta direttiva) presuppone l’indipendenza fra i due soggetti e che quest’ultima sia rinvenibile soltanto qualora entrambi (quindi anche la succursale) sopportino autonomamente il rischio connesso allo svolgimento della propria attività economica.