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Giurisprudenza

Iva operazioni intracomunitarie,
la norma polacca non è in linea

In generale, le cessioni devono essere esenti nello Stato membro di partenza del trasporto dei beni, mentre gli acquisti dovrebbero essere tassati nel Paese Ue di arrivo

corte ue

A parere della Corte di giustizi Ue, letta alla luce dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale, contrasta con la disciplina unionale una norma nazionale che consente di tassare un acquisto intracomunitario a fronte di una cessione intracomunitaria trattata come non esente.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 41 della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva, nonché del principio di proporzionalità e di neutralità fiscale.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione tributaria polacca in merito alla determinazione del rimborso relativo all’Iva versata in eccedenza.

La società, registrata ai fini Iva in Polonia, ha sede nei Paesi Bassi, e le sue attività sono soggette all’imposta sul valore aggiunto in tale Stato membro.
La fattispecie riguarda delle operazioni a catena relative agli stessi beni, concluse da almeno tre operatori. I beni sono stati trasportati direttamente a partire dal primo operatore della catena, situato in uno Stato membro, all’ultimo, situato in un altro Stato membro. La società ha svolto il ruolo di intermediario tra il fornitore e il destinatario.
Più in particolare, ha acquistato beni da un’altra compagine, con sede in Polonia, indicando il suo numero di identificazione Iva polacco. Le cessioni dalla seconda alla prima società sono state qualificate come cessioni nazionali ed è stata loro applicata l’aliquota Iva del 23% relativa a tale tipo di cessione. Per contro, la prima ha considerato le proprie cessioni destinate ai suoi clienti, in altri Stati membri, come cessioni intracomunitarie di beni, soggette in Polonia a un’aliquota Iva pari allo 0%, il che ha comportato la richiesta di rimborsi d’imposta a suo favore.

La questione è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione:
se, in sostanza, l’articolo 41 della direttiva IVA, letto alla luce dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale, debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un acquisto intracomunitario di beni è considerato come effettuato nel territorio di tale Stato membro, allorché tale acquisto, che costituisce la prima operazione di una catena di operazioni successive, è stato erroneamente qualificato come operazione nazionale dai soggetti passivi coinvolti, i quali hanno indicato a tal fine il loro numero di identificazione IVA attribuito da tale Stato membro, e l’operazione successiva, che è stata erroneamente qualificata come operazione intracomunitaria, è stata assoggettata a IVA in quanto acquisto intracomunitario di beni da parte degli acquirenti nello Stato membro di arrivo del trasporto di beni”.

Le valutazioni della Corte Ue
La Corte Ue osserva, in via preliminare, che nelle ipotesi in cui operazioni che formano una catena di due cessioni successive hanno dato luogo a un solo trasporto intracomunitario, secondo una giurisprudenza costante, tale trasporto può essere imputato a una sola delle due cessioni, essendo tale cessione l’unica a essere esentata, nello Stato membro di partenza del trasporto dei beni, in quanto cessione intracomunitaria.
Per determinare a quale delle due cessioni debba essere imputato il trasporto intracomunitario, occorre procedere a una valutazione globale di tutte le circostanze particolari del caso di specie.
A tal fine, va appurato se l’articolo 41 della direttiva Iva sia applicabile, qualora lo Stato membro che si fonda su tale disposizione per assoggettare a Iva un acquisto intracomunitario di beni, in quanto Stato membro di identificazione, sia quello di partenza del trasporto dei beni.
Inoltre, ai fini dell’interpretazione della disposizione di tale articolo, occorre esaminare le conseguenze dell’assoggettamento a Iva dei beni nello Stato membro di arrivo del trasporto, da parte dei rispettivi acquirenti, in occasione della seconda cessione realizzata nell’ambito della catena di operazioni successive.
Infine, è necessario esaminare la circostanza che, malgrado la riqualificazione operata dall’amministrazione finanziaria, il soggetto passivo avente la qualità di venditore in occasione della prima cessione della catena di operazioni successive in questione, vale a dire la seconda società, resti tenuto a fatturare l’Iva con aliquota normale, mentre l’acquirente, vale a dire la prima, non possa detrarre l’Iva versata a monte.

La Corte Ue osserva che, ai sensi dell’articolo 40 della direttiva Iva, è considerato luogo d’acquisto intracomunitario di beni quello in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente.
Tuttavia, qualora l’acquirente non dimostri che tale acquisto è stato assoggettato a Iva, in conformità con l’articolo 40, il luogo di un acquisto intracomunitario di beni, ai sensi dell’articolo 41, primo comma, della direttiva Iva, si considera situato nel territorio dello Stato membro di identificazione.
L’articolo 41, secondo comma, aggiunge che, se, in applicazione dell’articolo 40, l’acquisto è soggetto all’Iva nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni, dopo essere stato assoggettato all’imposta in applicazione del primo comma, la base imponibile è debitamente ridotta nello Stato membro di identificazione.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte.
Per quanto riguarda la questione se l’articolo 41 della direttiva Iva sia applicabile, nell’ipotesi in cui lo Stato membro che si fonda su tale disposizione, in quanto Stato membro di identificazione, sia quello di partenza del trasporto dei beni, occorre rilevare, in primo luogo, che una tale ipotesi è prevista nel tenore letterale dell’articolo 41.
Inoltre, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 41, la prima società sostiene che un acquisto intracomunitario di beni, ai sensi dell’articolo 20 della direttiva, presuppone che il soggetto passivo deve aver agito con un numero di identificazione Iva attribuito da uno Stato membro diverso da quello di partenza del trasporto dei beni.
Ai sensi dell’articolo 20, si considera “acquisto intracomunitario di beni” l’acquisizione del potere di disporre, come proprietario, di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso da quello di partenza della spedizione o del trasporto del bene.
Ebbene, dall’articolo 20 non si può dedurre che la determinazione del carattere intracomunitario o meno di un’operazione dipenda dall’utilizzo di un numero di identificazione Iva specifico. Pertanto, il fatto che, nel caso di specie, la prima società abbia utilizzato il numero di identificazione Iva dello Stato membro di partenza del trasporto dei beni non esclude, di per sé, il carattere intracomunitario dell’operazione e l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva.
Inoltre, per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dall’articolo 41, la Corte ha dichiarato che tale disposizione mira, da un lato, a garantire l’assoggettamento a imposta di un determinato acquisto intracomunitario e, dall’altro, a evitare la doppia imposizione per il medesimo acquisto.
Orbene, questi due obiettivi possono essere effettivamente perseguiti dallo Stato membro di identificazione qualora quest’ultimo sia anche lo Stato membro di partenza del trasporto dei beni.
Quindi, l’articolo 41 è applicabile nell’ipotesi in cui lo Stato membro che si fonda su tale disposizione per assoggettare all’Iva un acquisto intracomunitario di beni, in quanto Stato membro di identificazione, sia lo Stato membro di partenza del trasporto dei beni.

Per quanto riguarda il secondo elemento, vale a dire l’assoggettamento a Iva dell’acquisto inizialmente qualificato come intracomunitario nello Stato membro di arrivo dei beni,  ai sensi del primo comma dell’articolo 41, la norma riguardante il luogo di un acquisto intracomunitario di beni, prevista da tale disposizione, è pertinente solo qualora l’acquirente non dimostri che tale acquisto è stato assoggettato a Iva, coerentemente con l’articolo 40 della direttiva.

Il giudice a quo si interroga, in tale contesto, sull’incidenza dell’assoggettamento all’Iva da parte dei rispettivi acquirenti, nello Stato membro di arrivo del trasporto dei beni, della seconda cessione della catena di operazioni successive, vale a dire quella che è stata erroneamente qualificata come acquisto intracomunitario di beni.
A tal riguardo, l’acquirente, di cui all’articolo 41, primo comma, della direttiva Iva, è colui che ha realizzato l’acquisto intracomunitario di beni che, in base a tale disposizione, si considera situato nel territorio dello Stato membro di identificazione.
Poiché la controversia in esame riguarda l’assoggettamento a imposta della prima cessione della catena di operazioni successive in questione, ne consegue che la prima società deve essere considerata l’acquirente ai sensi di tale disposizione. Per contro, l’imposta versata dai suoi clienti, all’atto della seconda cessione della stessa catena, si riferisce a un’operazione distinta.
Pertanto, il fatto che i clienti abbiano assoggettato a Iva gli acquisti di beni qualificati a torto come acquisti intracomunitari nello Stato membro di arrivo beni è irrilevante ai fini della valutazione dell’applicabilità dell’articolo 41.
 
Tuttavia, al fine di fornire al giudice del rinvio una risposta utile, che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito, occorre esaminare la rilevanza del fatto che, secondo tale giudice, nonostante la riqualificazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, della prima cessione della catena di operazioni successive, in sostituzione della sua qualificazione iniziale come operazione nazionale, il venditore, vale a dire la seconda società, resti tenuto a fatturare l’Iva al tasso normale, mentre l’acquirente, ossia la prima società, non possa detrarre l’Iva pagata a monte. A tal proposito, la formulazione dell’articolo 41 non consente, di per sé, di determinare se un fatto del genere sia rilevante ai fini dell’applicabilità di tale disposizione.

Per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 41, in base al regime generale della direttiva Iva, le cessioni intracomunitarie sono, in linea di principio, esenti nello Stato membro di partenza del trasporto dei beni, mentre gli acquisti intracomunitari sono tassati nello Stato membro di arrivo del trasporto, avendo così un acquisto intracomunitario di beni come corollario una cessione intracomunitaria esente.
Nel caso di specie, benché l’amministrazione finanziaria abbia riqualificato, sulla base degli accertamenti di fatto da essa effettuati, la cessione effettuata dalla seconda alla prima società, come operazione intracomunitaria, la seconda società resta tenuta a riscuotere l’Iva con aliquota normale. Essendo, pertanto, tale operazione soggetta all’imposta in Polonia, si deve considerare che la cessione intracomunitaria di beni dalla seconda alla prima società è trattata come non esente.
Non essendovi esenzione della cessione intracomunitaria di beni nello Stato membro di partenza del trasporto dei beni, non può sussistere il rischio di evasione fiscale, cosicché l’assoggettamento di tale operazione in tale Stato membro, sulla base della regola enunciata all’articolo 41 della direttiva Iva è contrario agli obiettivi perseguiti da tale disposizione.
In tale contesto, anche se gli Stati membri possano adottare provvedimenti per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi, tali provvedimenti non devono, in linea con il principio di proporzionalità, eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi così perseguiti, e non possono, pertanto, essere utilizzati in modo da mettere in discussione la neutralità dell’Iva, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’imposta istituito dal diritto dell’Unione.
Pertanto, l’applicazione della regola enunciata all’articolo 41 a un acquisto intracomunitario di beni risultante da una cessione intracomunitaria di beni non esente comporta un’imposizione supplementare che non è conforme ai principi di proporzionalità e di neutralità fiscale.

Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 41 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un acquisto intracomunitario di beni è considerato effettuato nel territorio di tale Stato membro, allorché tale acquisto, che costituisce la prima operazione di una catena di operazioni successive, è stato erroneamente qualificato come operazione nazionale dai soggetti passivi coinvolti, i quali hanno utilizzato il loro numero di identificazione Iva attribuito da tale Stato membro, e l’operazione successiva, che è stata erroneamente qualificata come operazione intracomunitaria, è stata assoggettata a Iva in quanto acquisto intracomunitario di beni a opera degli acquirenti dei beni nello Stato membro di arrivo del trasporto dei beni. Tale disposizione, letta alla luce dei principi di proporzionalità e di neutralità fiscale, osta tuttavia a una normativa siffatta di uno Stato membro, qualora l’acquisto intracomunitario di beni, che è considerato effettuato nel territorio di tale Stato membro, sia risultante da una cessione intracomunitaria di beni che non è stata trattata come operazione esente in detto Stato membro.

Data sentenza
7 luglio 2022
Numero sentenza
causa C‑696/20
Nome delle parti
B.
contro
Dyrektor Izby Skarbowej w W.

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