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Giurisprudenza

Iva ordinaria per il gas metano a uso domestico promiscuo

Per l’applicazione dell’aliquota ridotta, il combustibile oggetto della fornitura va impiegato solo per la cottura cibi e la produzione di acqua calda, non anche per il riscaldamento

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E’ illegittima, per violazione di norme comunitarie, l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10 per cento alle forniture di gas metano a uso domestico promiscuo (cottura cibi e produzione di acqua calda, nonché riscaldamento).
Questo è quanto stabilito dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 20220 del 18/9/2006.
La normativa nazionale di riferimento è rappresentata dal numero 127-bis) della tabella A, parte terza, allegata al Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, che prevede l’assoggettamento all’aliquota del 10 per cento delle “somministrazione di gas metano usato come combustibile per usi domestici di cottura cibi e per produzione di acqua calda di cui alla Tariffa T1, prevista dal provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi (CIP) n. 37 del 26 giugno 1986”.

In base a tale disposizione, per usufruire dell’agevolazione in parola, è necessaria la compresenza di due condizioni, quali l’uso domestico e le finalità di cottura cibi e produzione di acqua calda di cui alla tariffa T1.
In ordine alla prima delle due condizioni, è possibile ravvisare l’uso domestico nel caso in cui la somministrazione avvenga nei confronti di soggetti che impiegano il gas metano nella propria abitazione privata, a carattere familiare o collettivo (includendo, quindi, tra le altre, caserme, scuole, asili, case di riposo, conventi), e non l’utilizzano, invece, nell’esercizio d’impresa o per effettuare prestazioni di servizi (circolare n. 82 del 7/4/1999 del ministero delle Finanze).

L’uso domestico del gas è, tuttavia, un requisito necessario, ma non sufficiente ai fini dell’assoggettamento ad aliquota ridotta delle operazioni in argomento.
E’, infatti, indispensabile che il combustibile oggetto della fornitura sia impiegato nell’uso di cottura cibi e produzione di acqua calda, di cui alla tariffa T1, prevista dal provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi (Cip) n. 37 del 26 giugno 1986.
Nel caso, quindi, di impieghi del gas metano diversi da quelli sopramenzionati, quali quelli per riscaldamento (tariffa T2), si applicherà alla fornitura l’aliquota ordinaria del 20 per cento.

Le difficoltà sorgono, tuttavia, nel caso in cui il gas metano venga utilizzato in modo promiscuo, senza cioè che sia possibile distinguere, a causa della mancanza di impianti separati e conseguentemente di distinti contatori, la quota di gas impiegata per la cottura di cibi e la produzione di acqua calda e quella, invece, utilizzata per il riscaldamento.
La normativa attualmente vigente non ha, infatti, previsto alcun criterio di forfetizzazione, in ordine alla determinazione delle due diverse quote, in ragione dell’impossibilità di quantificare in modo certo e oggettivo la parte di gas metano destinata alla cottura di cibi e alla produzione di acqua calda, sia attraverso la formulazione di stime relative alla tipologia di impiego del gas metano, sia facendo riferimento al periodo temporale di utilizzo degli impianti di riscaldamento.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, l’impossibilità della quantificazione è legata al fatto che i limiti massimi relativi al periodo annuale di esercizio degli impianti di riscaldamento, previsti dalla normativa di settore, possono essere comunque derogati, in maniera generalizzata dai sindaci e in presenza di particolari situazioni climatiche dai singoli utenti.

Alla luce di questi elementi, il ministero delle Finanze (circolare n. 226/E del 3 dicembre 1999, risoluzione n. 97 del 29 aprile 2003) ha previsto che le forniture di gas metano utilizzato per usi domestici promiscui devono essere assoggettate all’aliquota ordinaria, in virtù del principio di ordine generale in base al quale la legge speciale (aliquota 10 per cento) deroga a quella generale (aliquota 20 per cento) soltanto quando siano individuati i presupposti per la sua applicazione.
L’applicazione di questa interpretazione della normativa vigente in materia di aliquote Iva, concernenti la fornitura promiscua di gas metano a uso domestico è alla base della controversia sottoposta al giudizio della Cassazione nella sentenza in esame.

Infatti, il ricorso innanzi alla Suprema corte è stato avanzato da una società fornitrice di gas metano a uso domestico, avverso la sentenza del giudice di pace che, risolvendo la questione sottoposta al suo esame secondo equità, aveva stabilito che per le forniture promiscue di gas metano a uso domestico, avvenute nel periodo in cui il riscaldamento degli ambienti non era autorizzato, doveva essere applicata l’aliquota del 10 per cento.

Al riguardo, i giudici, nel sottolineare preliminarmente come nell’applicazione del regime tariffario o dell’imposta rilevano il tipo di utenza o dell’impianto, che è unico e permanente, non stagionale, e non le modalità di concreta fruizione del servizio, così come stabilito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 142 del 6 aprile 1993, hanno statuito che il giudice di pace, avendo affermato l’esclusività dell’analisi delle accennate modalità di fruizione di servizio, ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva ridotta del 10 per cento alle operazioni in argomento, è incorso nella “violazione delle norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie”.

Difatti, la direttiva n. 92/77/Cee, che modifica la direttiva n. 77/388/Cee, consente agli Stati membri di assoggettare ad aliquota ridotta le forniture di gas naturale previa osservanza di una particolare procedura, volta a consentire la valutazione della sussistenza di eventuali rischi di distorsione di concorrenza da parte della Commissione europea.
In particolare, gli Stati membri che intendono prevedere tale aliquota ridotta devono informare preventivamente la Commissione, la quale valuta in ordine alla sussistenza dei predetti rischi di distorsione della concorrenza e si esprime al riguardo, sia esplicitamente sia in maniera implicita, considerandosi in quest’ultimo caso non esistenti i rischi di distorsione di concorrenza qualora la Commissione non si pronunci entro i tre mesi successivi al ricevimento dell’informazione.

In attuazione e a seguito delle sopra riportate disposizioni comunitarie, il legislatore nazionale, pur essendo già prevista precedentemente una normativa agevolativa per le forniture di gas metano per uso domestico, ha riformulato la disciplina relativa alle citate operazioni, introducendo, con l’articolo 36, comma 3, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, il già più volte menzionato numero 127-bis) della tabella A, parte terza, allegata al Dpr 633 del 1972, che prevede espressamente l’applicazione dell’aliquota agevolata esclusivamente alle somministrazioni di gas metano usato come combustibile per usi domestici di cottura cibi e per produzione di acqua calda.

Il legislatore, quindi, ha ottemperato ai sopramenzionati obblighi procedurali previsti dalla direttiva n. 92/77/Cee, legittimandone, di conseguenza, il contenuto, soltanto in relazione alla predetta innovazione normativa.
Sulla scorta di queste considerazioni, i giudici della Suprema corte hanno statuito che il principio affermato dal giudice di pace in ordine a un’estensione dell’aliquota Iva del 10 per cento a fattispecie diverse e ulteriori rispetto a quanto previsto dal numero 127-bis) della tabella A, parte terza, allegata al Dpr n. 633 del 1972, deve ritenersi in contrasto con la citata direttiva n. 92/77/Cee, considerando, di conseguenza, fondata la posizione della ricorrente società fornitrice di gas metano.


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