In tema di plafond Iva, che costituisce una modalità di assolvimento dell’imposta per le operazioni imponibili poste in essere dall’esportatore abituale, la non imponibilità degli acquisti effettuati discende direttamente dalle cessioni all’esportazione e dalle operazioni a esse assimilate. Ne deriva che il mutamento della natura di queste ultime, anche se sopravvenuto, incide sull’entità del plafond, comportando il ritorno al regime ordinario di assolvimento dell’imposta. Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 30801 del 19 ottobre 2022, affrontando un profilo inedito della disciplina delle dichiarazioni d’intento, ovvero quello che la stessa Cassazione definisce come lo “splafonamento postumo”.
La vicenda esaminata dalla Corte di cassazione
Nella sentenza in commento la Cassazione si è occupata delle conseguenze dello “splafonamento”, cioè dell’effettuazione da parte di esportatori abituali di acquisti non imponibili oltre il limite del plafond; la particolarità della vicenda risiede nel fatto che lo “splafonamento” si era realizzato a posteriori, successivamente all’operazione da cui era sorto il credito.
Una società attiva nel settore della cantieristica navale aveva costituito il plafond Iva, di cui all’articolo 8, comma 1 lettera a), del Dpr n. 633/1972 (decreto Iva), con fatture emesse in relazione a un appalto per la costruzione di un’imbarcazione, stipulato con una società con sede nel Regno Unito (all’epoca, ancora membro Ue).
Trattandosi di cessione intracomunitaria, le operazioni – oltre a contribuire al plafond – erano state fatturate come “non imponibili”, ai sensi dell’articolo 41 del Dl n. 331/1993. Successivamente, tuttavia, l’appaltante aveva ceduto il contratto ad altra società, che aveva comunicato al costruttore italiano la volontà di destinare l’imbarcazione a fini privati.
A questo punto, poiché l’operazione era divenuta territorialmente rilevante in Italia, la società costruttrice addebitava (con delle note di variazione) l’Iva in relazione alle fatture di acconto e nella fattura relativa al saldo, lasciando però inalterato il plafond per gli acconti fatturati in precedenza.
Poiché, tuttavia, tali operazioni “non più non imponibili” non avrebbero potuto contribuire al plafond, con due avvisi di accertamento (l’altro è oggetto della sentenza n. 30800) l’Agenzia delle entrate ha recuperato l’Iva non applicata sugli acquisti effettuati in sospensione d’imposta.
Gli esportatori abituali e il plafond Iva
Per meglio comprendere i termini della questione, è necessario qualche breve cenno al tema del plafond Iva.
Agli esportatori abituali – cioè a quei soggetti che in un dato periodo di tempo hanno effettuato esportazioni per almeno il 10% del loro volume d’affari – l’articolo 8, comma 2, del decreto Iva concede il diritto di acquistare, nell’anno successivo (anno solare o 12 mesi: rispettivamente plafond “fisso” e “mobile”), la stessa quantità di beni (a eccezione di fabbricati e aree edificabili) senza pagamento di Iva. La ratio di tale disciplina, che può riguardare, oltre che le esportazioni, anche le cessioni interne agli esportatori abituali, si fonda sulla presunzione che vi sia continuità nelle esportazioni di un’impresa, e sull’esigenza di evitare che vi siano soggetti (appunto, gli esportatori abituali) che, comprando “con Iva” e vendendo “senza Iva”, siano fisiologicamente a credito nei confronti dell’Erario.
Tali operatori, che intendono acquistare o importare senza applicazione dell’imposta, sono tenuti, a seguito del Dlgs n. 175/201414, intervenuto sulla disciplina di dettaglio di cui al Dl n. 746/83, a trasmettere telematicamente e preventivamente all’Agenzia delle entrate la “dichiarazione d’intento” tramite il “Modello DI”. Sino alle modifiche del Dl n. 34/2019 l’esportatore era inoltre tenuto a consegnare al proprio fornitore il Modello DI, unitamente alla ricevuta telematica di presentazione. Tale adempimento è stato soppresso, ma gli estremi della dichiarazione vanno obbligatoriamente indicati in fattura.
L’esportatore può avvalersi della facoltà di acquistare senza Iva nei limiti del plafond, ma – come riconosciuto dall’Agenzia delle entrate – può anche ritrattare la dichiarazione o decidere di non utilizzarla per alcuni dei suoi acquisti, che saranno soggetti a tassazione in via ordinaria (così la risposta a consulenza giuridica n. 954-6/2018, con richiamo di prassi precedente).
Il meccanismo, com’è intuibile, può prestarsi a operazioni fraudolente da parte di chi, pur qualificandosi come esportatore abituale, non abbia i requisiti per acquistare beni senza Iva che poi rivende con Iva omettendo di riversarla al Fisco. A tal fine i commi 1079 e seguenti della legge di bilancio per il 2021, attuati con il provvedimento del 28 ottobre 2021, prevedono specifiche procedure di individuazione del rischio, di invalidazione delle dichiarazioni già presentate e di inibizione dal rilascio di quelle future.
La particolare cautela che connota queste operazioni si manifesta anche negli obblighi a carico del fornitore. Questi, se applica il regime agevolativo in assenza della dichiarazione d’intento, è soggetto al pagamento dell’imposta e di una sanzione dal 100% al 200% (articolo 7, comma 3, del Dlgs n. 471/1997) e, secondo la Cassazione, può rispondere, qualora sia dimostrato il suo coinvolgimento nella frode, anche qualora la dichiarazione esistente non sia veritiera. Vi è poi l’ulteriore sanzione dal 100% al 200% dell’imposta, di cui al comma 4-bis, modificato più volte e da ultimo dal Dl n. 34/2019, per chi vende applicando il beneficio fiscale senza aver previamente verificato l’esistenza della dichiarazione d’intento (vi è a tal fine, sul sito internet dell’Agenzia, un apposito applicativo).
La decisione della Cassazione
La sentenza di appello, che aveva ritenuto il plafond già formatosi non suscettibile di revisione, anche in virtù del “legittimo affidamento” del contribuente, è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate sulla base di un unico motivo, fondato sull’interpretazione delle numerose norme che regolano la detrazione Iva, le lettere d’intento, la non imponibilità delle cessioni e il trattamento sanzionatorio.
Secondo la ricorrente, la Commissione regionale avrebbe dovuto considerare che il beneficio concesso a coloro che effettuano cessioni all’esportazione postula che le operazioni a valle costituiscano delle effettive esportazioni o cessioni intracomunitarie effettuate verso altri soggetti passivi. Tuttavia, poiché la cessione intracomunitaria realizzata originariamente dalla contribuente non si era effettivamente perfezionata, per la sopravvenuta intenzione della committente di adibire la nave acquistata a uso personale dei soci, tali operazioni non potevano confluire nel plafond degli acquisti interni “senza imposta”.
Dopo un’approfondita descrizione del sistema del plafond, di cui si è dato brevemente conto nel precedente paragrafo, la Cassazione ricorda che il beneficio è subordinato ai “rigorosi presupposti” costituiti dalla qualifica di esportatore abituali, dalla presentazione della dichiarazione d’intento e dal rispetto “quantitativo” del plafond.
La non imponibilità degli acquisti effettuati dall’esportatore abituale discende dalle cessioni all’esportazione e dalle operazioni assimilate da esso compiute, che ne costituiscono al contempo presupposto e limite quantitativo.
La riduzione del plafond, anche se per ragioni sopravvenute, incide sul limite di compensabilità dell’imposta e pertanto obbliga l’importatore abituale al pagamento dell’Iva “di rivalsa”.
In conclusione, ciò che rileva è la riduzione dell’importo da compensare (mediante l’acquisto “senza Iva”), e non una presunta retroattività delle vicende (nel caso di specie, il mutamento di destinazione della barca da costruire), che hanno inciso sull’operazione. Pertanto, non rilevano elementi quali la conoscenza o conoscibilità del sopravvenuto mutamento della natura dell’operazione, né l’elemento soggettivo della buona fede, né l’aspettativa maturata in capo al contribuente.
Iva, lo “splafonamento postumo”
fa perdere la non imponibilità
La cessione intracomunitaria non perfezionata per la successiva decisione del committente di destinare il bene a uso personale dei soci non può confluire nel plafond degli acquisti senza imposta
