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Giurisprudenza

Iva: “a tempo” le fatture su pc.
Senza cartaceo, salta la detrazione

Contabilità e registrazioni digitali hanno validità limitata. In caso di verifiche, solo la stampa fa fede. Se c’è eccedenza d’imposta, possibile, però, chiedere il rimborso

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La Cassazione, con la sentenza n. 3107 del 12 febbraio 2014, ha chiarito che, ai fini della detraibilità dell’Iva, non è sufficiente la registrazione delle fatture, seppur correttamente numerate, all’interno del computer aziendale, ma devono essere stampabili in qualsiasi momento in caso di controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria.
 
Il fatto
A seguito della verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza nei confronti di una società marchigiana, è emersa l’irregolare tenuta delle scritture contabili, per omessa fatturazione di somme relative all’attività svolta dall’azienda e per indebita detrazione Iva sugli acquisti, da cui, successivamente, l’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento, chiedendo anche il pagamento di sanzioni e interessi.
 
Contro la pretesa del Fisco, la contribuente ha presentato ricorso alla magistratura tributaria che, sia in primo sia in secondo grado, ha accolto la tesi difensiva, annullando l’avviso di accertamento.
In particolare, la Ctr ha chiarito che “la ripresa fiscale relativa all’omessa fatturazione era ingiustificata” e, riguardo alla detraibilità delle imposte indirette, ha riconosciuto la mera omissione di trascrizione delle fatture di vendita nei registri contabili.
Per i giudici di secondo grado, la Guardia di finanza, in sede di verifica, aveva rinvenuto le fatture in perfetto stato cronologico “salvate” all’interno di un pc e ciò avrebbe “consentito all’Ufficio di avere elementi probatori per dimostrare la veridicità del volume d’affari … o comunque l’esistenza di attività evasiva”.
Pertanto, anche in appello veniva ribadito quanto affermato in primo grado, condannando la società alle sole sanzioni per violazione meramente formale.
 
Avverso la sentenza della Ctr, l’Agenzia delle Entrate è ricorsa per cassazione evidenziando, tra i motivi del gravame, che i giudici di merito erano caduti in errore nel sostenere il mero carattere formale dell’omessa registrazione delle fatture e che tale violazione comporta la perdita del diritto alla detrazione dell’imposta a credito.
L’ufficio, poi, ha precisato come la contribuente aveva provveduto alla sola registrazione delle fatture nel personal computer e non anche alla stampa dei documenti contabili su cartaceo che, secondo quanto previsto dal Dm dell’11 agosto 1975, deve avvenire entro 60 giorni dalla data di emissione. Pertanto, il caso di specie, secondo la ricorrente, non ricadrebbe nella fattispecie normativa prevista dal Dl 357/94, che prevede “la regolarità dell’inserimento dei dati nel pc in difetto di trascrizione su supporti cartacei purché questi possano essere stampati con immediatezza a richiesta degli organi accertatori” (vedi articolo “Contabilità a prova di cartaceo: meccanografico a tempo limitato”, FiscoOggi, 27 giugno 2013), perché la verifica riguardava esercizi precedenti.
 
Secondo le memorie degli avvocati della società, prevedere la non detraibilità dell’imposta a credito avrebbe violato il principio di legalità, in quanto sanzione non prevista dall’ordinamento, dopo l’abrogazione dell’articolo 43 del Dpr 633/72. Inoltre, per la difesa, la registrazione (senza stampa) nel pc delle fatture in perfetto ordine cronologico rappresenterebbe violazione formale degli adempimenti fiscali, con conseguente mantenimento del credito di imposta con diritto alla detrazione.
In ultimo, gli avvocati evidenziano che, essendo l’esercizio oggetto di verifica fiscale concluso, non si sarebbe prospettato neppure il pericolo di modifica delle scritture contabili, anche se non stampate, perché registrate correttamente in formato digitale, tanto più che la verifica riguardava l’anno di imposta 1994, anno in cui era stato abrogato l’obbligo di vidimazione dei registri.
 
La sentenza
La Corte, con la sentenza 3107/2013, ha voluto immediatamente evidenziare la “centralità” di cui gode la registrazione delle fatture nel nostro sistema tributario, sulla quale si fonda la detrazione dell’imposta a credito, così da garantire il principio fiscale della neutralità dell’Iva.
La richiesta dell’ordinamento della registrazione contabile, secondo il Collegio e la giurisprudenza più recente, è dunque ben lungi dal ledere i canoni della legalità, come erroneamente sostenuto dalla difesa nelle memorie aggiuntive, essendo espressamente prevista dalla normativa comunitaria, ai sensi della sesta direttiva Cee.
In particolare, l’articolo 18, numero 1, lettera d) della direttiva, stabilisce che, per esercitare il diritto alla detrazione, il soggetto passivo deve assolvere le formalità previste dal relativo Stato membro, mentre l’articolo 22, numero 2, lettera a), impone che la tenuta delle scritture deve essere sufficientemente particolareggiata al fine di consentire gli opportuni controlli da parte dell’Amministrazione fiscale del Paese.
 
Il sistema giuridico tributario detta specifici adempimenti, al fine della fruizione della detrazione dell’imposta, stabilendo tempi e modalità della registrazione delle fatture Iva: l’articolo 23 del Dpr 633/72 dispone che “il contribuente deve annotare entro quindici giorni le fatture emesse, nell'ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione, in apposito registro”, mentre l’articolo 25, comma 1 del medesimo decreto gli impone la numerazione “in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione, … e deve annotarle in apposito registro anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta”.
 
Dunque, la sentenza in esame ricalca fedelmente il quadro normativo citato, ribadendo l’onere a carico della contribuente di adempiere alle prescrizioni previste per la regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili, in modo da poter operare la detrazione dell’imposta a credito e, al tempo stesso, fornire all’organo controllante la documentazione necessaria per verificarne la legittimazione.
 
I diversi richiami giurisprudenziali, sia interni che comunitari, evidenziati nelle memorie dalla difesa, non hanno trovato accoglimento dai giudici di legittimità, perché riguardanti obblighi di documentazione diversi dalla registrazione delle fatture, aventi natura sostanziale.
Anche la modifica apportata dalla Finanziaria 2008 sui termini per la stampa dei registri contabili, previsti dall’articolo 7, comma 4-ter, del Dl 357/1994, addotta a difesa della contribuente, non trova applicazione al caso di specie, perché, come più volte evidenziato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, la normativa “non prevede l'istituzione di un registro informatico alternativo a quello cartaceo, ma si limita a consentire un differimento temporale nella registrazione cartacea, restando irrilevante l'assenza di pregiudizio all'Erario e l'intrinseca veridicità dei dati, con la conseguenza che l'omessa trascrizione dei dati relativi alle fatture di acquisto di beni e servizi, annotati solo su supporti informatici determina la perdita del diritto alla detrazione, previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 - Cass. n. 20442/2011 e Cass. n. 22245/11”.
 
La Cassazione afferma e ribadisce che la scelta della registrazione “meccanografica” prevede sempre e comunque la trascrizione delle fatture su cartaceo, mentre la parificazione degli effetti dalla registrazione meccanografica non trascritta a quelli della registrazione cartacea è espressamente limitata nel tempo (ai dati riferiti all’esercizio di competenza in corso) e condizionata alla stampa immediata dei dati inseriti nell’archivio, non essendo pertanto neppure necessaria alcuna espressa previsione normativa per escludere il diritto alla detrazione in relazione a dati emergenti da registri la cui tenuta, sulla base di quanto sopra esposto, non può essere considerata regolare.
L’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972, riconosce il diritto alla detrazione Iva relativa ai beni e servizi acquistati o importati nel momento in cui l’imposta diviene esigibile, sempreché vengano rispettate le modalità previste dallo Stato per l’esercizio di detto diritto (stampando le fatture e non anche registrandole solamente sul supporto informatico).
Pertanto, il Collegio ha respinto in toto le tesi difensive della contribuente, dichiarando indetraibile l’Iva esposta in dichiarazione per errata registrazione delle fatture.
 
Conclusioni
Attualmente, la quasi totalità delle imprese utilizzano sistemi contabili informatizzati perché l’automazione permette di svolgere immediatamente e più semplicemente computi contabili che un tempo richiedevano molto tempo e molte risorse.
La Cassazione, con la sentenza 3107/2104, ribadisce il principio secondo il quale, se si sceglie il sistema “meccanografico”, informatizzato, per la tenuta dei conti, il contribuente deve essere in grado di poter stampare su carta tutti i dati immagazzinati nell’archivio contabile, per consentire all’Amministrazione finanziaria di poter effettuare tutti i controlli fiscali.
 
E’ altresì importante rilevare, come chiarito dal Collegio, che la perdita del diritto alla detrazione non determina il venir meno del diritto a ottenere la restituzione dell’imposta effettivamente versata per acquisti di beni e servizi inerenti l’esercizio della propria attività. Detta somma (imposta non dovuta) può essere recuperata dal contribuente per mezzo di istanza di rimborso, da presentare all’Amministrazione finanziaria ai sensi degli articoli 30 e 38-bis del Dpr 633/1972.
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