Un’operazione dichiarata nulla, sulla base del diritto civile nazionale, non perde necessariamente il diritto alla detrazione. Occorre, infatti, dimostrare anche che sussistono elementi in grado di qualificare l’operazione, sulla base del diritto unionale, come simulata, oppure, qualora sia stata effettivamente realizzata, di dimostrare che trae origine da un’evasione Iva o da un abuso di diritto (Corte Ue, Causa C- 365/2022).
La fattispecie e la questione pregiudiziale
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 167, 168 - lettera a), 178 - lettera a) e 273 della direttiva Iva 2006/112/Ce ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone l’amministrazione tributaria polacca a una società (B) in merito al diritto alla detrazione dell’Iva indicata in una fattura a essa indirizzata.
In particolare, la società A ha emesso una fattura per una cessione di marchi a B soggetta a Iva, che è stata dichiarata e assolta da quest’ultima.
È quindi sorta una controversia derivate dal fatto che l’amministrazione tributaria ha respinto il ricorso della società B contro la decisione che ha messo in discussione il diritto alla detrazione dell’imposta, in ragione del carattere simulato dell’operazione di cessione di marchi effettuata a monte, fondandosi su una disposizione della disciplina sull’Iva, che ha l’effetto di escludere un tale diritto qualora all’operazione imponibile si applichi una norma del codice civile, secondo la quale la manifestazione di volontà simulata nei confronti dell’altra parte con il suo consenso è nulla.
Il contenzioso è approdato dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue una questione con cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i richiamati articoli della direttiva 2006/112, in combinato disposto con i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in base alla quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte, per il solo fatto che tale operazione è considerata simulata e viziata da nullità ai sensi delle disposizioni del diritto civile nazionale, senza che sia necessario dimostrare che essa trae origine da un’evasione dell’Iva o da un abuso di diritto.
Le valutazioni della Corte Ue
Il diritto alla detrazione Iva è subordinato al rispetto di requisiti o condizioni sia sostanziali sia formali elencati all’articolo 168 della direttiva 2006/112.
Per poter beneficiare di tale diritto, occorre, da un lato, che l’interessato sia un “soggetto passivo”, e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a fondamento del diritto alla detrazione siano impiegati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, come precisa la lettera a) di tale articolo, tali beni siano ceduti o tali servizi siano resi da un altro soggetto passivo.
Inoltre, in base all’articolo 167 della stessa direttiva, il diritto alla detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile, mentre l’esigibilità di tale imposta si verifica, ai sensi dell’articolo 63 della direttiva, nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi. Ne consegue, che il diritto alla detrazione è in linea di principio subordinato alla prova della realizzazione effettiva dell’operazione. Pertanto, in mancanza di un’effettiva realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto alla detrazione.
La Corte ha, peraltro, già dichiarato che è inerente al meccanismo dell’Iva il fatto che un’operazione di acquisto simulata non possa dare diritto ad alcuna detrazione di imposta, in quanto non può avere alcun collegamento con le operazioni tassate a valle.
In tal senso, in primo luogo, il rifiuto di concedere a un soggetto passivo il diritto alla detrazione può essere giustificato dalla constatazione che non è stata fornita la prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione invocata a fondamento del diritto.
Infatti, per poter stabilire l’esistenza, in linea di principio, del diritto alla detrazione in tali circostanze, è necessario verificare se la cessione di marchi sia stata effettivamente realizzata e se gli stessi marchi siano stati impiegati dal soggetto passivo ai fini delle sue operazioni soggette a imposta.
A tal riguardo, l’onere della prova grava sul soggetto passivo, che è tenuto a fornire prove oggettive del fatto che beni e servizi gli siano stati effettivamente ceduti o prestati a monte da un altro soggetto passivo, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette a Iva e con riguardo alle quali l’imposta sia stata effettivamente assolta.
Per quanto riguarda la valutazione delle prove prodotte al fine di dimostrare l’esistenza dell’operazione imponibile, essa deve essere effettuata dal giudice nazionale in linea con le norme nazionali sull’onere della prova, procedendo a una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso concreto.
Qualora, nella controversia, da tale valutazione, che spetta al giudice del rinvio effettuare, risulti che la cessione di marchi invocata non è stata effettivamente realizzata, non può sorgere alcun diritto alla detrazione.
In tale contesto, il giudice potrà prendere in considerazione la circostanza che, nonostante l’apparente conclusione di un contratto di cessione, le parti avrebbero in realtà continuato a operare come se il cedente fosse sempre il titolare dei marchi, mentre B ne era solo la detentrice precaria.
Qualora, invece, da tale valutazione globale risulti che la cessione è stata effettivamente realizzata e che i marchi ceduti sono stati impiegati a valle dal soggetto passivo ai fini delle sue operazioni soggette a imposta, il diritto alla detrazione non può, in linea di principio, essergli negato.
Tuttavia, tale diritto può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che esso viene invocato in modo fraudolento o abusivo.
Infatti, la Corte osserva che la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112 e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto unionale.
Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto alla detrazione, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo.
Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante, il beneficio del diritto alla detrazione deve essere negato non soltanto quando un’evasione dell’Iva sia commessa dal soggetto passivo, ma anche qualora si dimostri, sulla base di elementi obiettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava a un’operazione di evasione.
Poiché, argomenta la Corte Ue, deve ritenersi che il diniego del diritto alla detrazione costituisce un’eccezione, spetta alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’Iva o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di tali elementi oggettivi.
Per quanto riguarda l’abuso di diritto, con riferimento alla questione, se lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di un vantaggio fiscale, in materia di Iva, la Corte Ue ha dichiarato che, quando il soggetto passivo può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a scegliere quella che comporta un maggiore pagamento di Iva.
Al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consente di ridurre la sua contribuzione fiscale.
I soggetti passivi sono liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali.
Pertanto, il principio del divieto di pratiche abusive, che trova applicazione in materia di Iva, vieta le costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica, realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria agli obiettivi della direttiva 2006/112.
Inoltre, le misure che gli Stati membri possono adottare, per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva ed evitare le evasioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi e non possono quindi essere utilizzate in maniera tale da mettere sistematicamente in discussione il diritto alla detrazione dell’imposta e, pertanto, la neutralità dell’Iva.
Nella controversia all’attenzione della Corte Ue, da un lato, non risulta che gli elementi in base ai quali un atto giuridico, relativo a un’operazione soggetta all’Iva, può essere qualificato come simulato e quindi dichiarato nullo, in forza delle norme del diritto civile nazionale, coincidano con gli elementi che, consentono di qualificare, alla luce del diritto unionale, un’operazione economica soggetta a Iva come operazione simulata e quindi di giustificare il rifiuto di concedere al soggetto passivo il diritto alla detrazione.
Tale nullità non può quindi, in linea di principio, giustificare il rifiuto.
Dall’altro lato, risulta che la normativa nazionale oggetto della controversia in esame riguarda, in generale, qualsiasi situazione in cui il soggetto passivo abbia compiuto un atto giuridico considerato simulato e quindi nullo ai sensi del codice civile, senza che sia necessario dimostrare, indipendentemente dalle norme di diritto civile applicabili e alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto è stato invocato in modo fraudolento o abusivo.
Ebbene, se è vero che il carattere simulato, ai sensi delle disposizioni di diritto civile nazionale, del contratto stipulato tra il soggetto passivo e l’emittente della fattura può costituire un indizio di una pratica fraudolenta o abusiva ai sensi e ai fini dell’applicazione della direttiva 2006/112, tale pratica non può essere desunta soltanto dalla predetta circostanza.
Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che gli articoli 167, 168 - lettera a), 178 - lettera a) e 273 della direttiva Iva 2006/112/Ce, letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in base alla quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte per il solo fatto che un’operazione economica imponibile è considerata simulata e viziata da nullità ai sensi delle disposizioni del diritto civile nazionale, senza che sia necessario dimostrare che sussistono gli elementi che consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, tale operazione come simulata oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’Iva o da un abuso di diritto.
Data sentenza:
25 maggio 2023
Numero sentenza:
Causa C- 365/2022
Nome delle parti:
Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie
contro
W. sp. z o.o.