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Giurisprudenza

Iva versata in più: ammesso il rimborso "anomalo"

Il contribuente può recuperare l'imposta erroneamente addebitata in fattura anche oltre il termine fissato per l'emissione della nota di variazione

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Con la recente sentenza 2 marzo 2005, n. 4416, la sezione V della suprema Corte di cassazione è nuovamente tornata a pronunciarsi sull'applicabilità dell'istituto del rimborso "anomalo" di cui all'articolo 16 del Dpr n. 636/72 (attualmente previsto dall'articolo 21 del Dlgs n. 546/92), in caso di erronei versamenti dell'Iva addebitata in rivalsa al cessionario o committente.

Nel caso esaminato dai giudici di legittimità, una società contribuente aveva erroneamente determinato l'imposta da addebitare in fattura sulla base di un'aliquota superiore a quella da applicarsi concretamente alla cessione soggetta all'Iva. Per ottenere la restituzione della maggiore imposta versata, la società non emetteva nota di variazione secondo le modalità e i termini previsti dall'articolo 26 del Dpr n. 633/72, ma presentava all'ufficio finanziario competente istanza di rimborso ai sensi dell'articolo 16 del Dpr n. 636/72.
Tale istanza, che non trovava accoglimento presso l'ufficio, veniva invece considerata legittima dalle commissioni tributarie in entrambi i due gradi di giudizio di merito.

L'Amministrazione finanziaria, nel proporre ricorso per cassazione, ha evidenziato come "il contribuente ha preteso il rimborso della somma de qua lasciando inalterati gli effetti della fattura emessa, che pure aveva consentito al cessionario di operare la detrazione dell'imposta pagata in rivalsa ai sensi dell'art. 19 D.P.R. n. 633/1972" in quanto "in tal modo ottiene un effetto cumulativo tra la detrazione operata ed il rimborso della stessa somma già portata in detrazione, con alterazione del principio di neutralità de1l'imposta e con indebito arricchimento del cedente e cessionario ai danni del fisco" per cui "nelle suddette circostanze, non può che ritenersi che la domanda di rimborso è inibita dall'omesso ricorso alla specifica procedura stabilita dall'art. 26 D.P.R. n. 633/1972".
La Cassazione ha respinto il ricorso dell'Amministrazione finanziaria affermando la piena alternatività delle modalità di restituzione dell'imposta (rimborso anomalo e nota di variazione) sul presupposto che "la mancata attivazione della speciale procedura di variazione dell'imposta e dell'imponibile di cui all'art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 non preclude la possibilità di ottenere il rimborso della maggiore imposta, indebitamente versata, avvalendosi dell'azione generale di rimborso disciplinata dall'art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636" (in senso conforme Cass., sez. V, 6 febbraio 2004, n. 2274, 10 gennaio 2001, n. 272).

Per quanto riguarda la questione dell'alterazione della neutralità dell'imposizione che verrebbe a manifestarsi per effetto del rimborso dell'imposta e del non contestuale disconoscimento della detrazione in capo al cessionario, la Cassazione giustifica la legittimità del ricorso al rimborso "anomalo" sulla base delle disposizioni contenute negli articoli 17, 18 e 19 del Dpr n. 633/72, dalle quali emerge che ogni operazione imponibile genera tre distinti e autonomi rapporti: uno di diritto tributario tra il cedente (contribuente di diritto) e l'Amministrazione finanziaria in ordine al pagamento dell'imposta, uno di diritto tributario tra il cessionario (se soggetto passivo dell'imposta) e l'Amministrazione finanziaria in ordine alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa, uno di diritto privato tra il cedente e il cessionario in ordine alla rivalsa (cfr., tra le altre, Cass., sez. I, 10 giugno 1998, n. 5733, sez. V, 15 ottobre 2001, n. 12547).

In particolare, nella sentenza n. 5733 del 1998, la Corte di cassazione ha puntualizzato che "allorché un'operazione erroneamente è stata assoggettata ad IVA sono privi di fondamento il pagamento dell'imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest'ultimo operata nella sua dichiarazione IVA e pertanto: il cedente ha diritto di chiedere all'Amministrazione il rimborso dell'IVA; il cessionario ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell'IVA pagatagli in rivalsa; l'Amministrazione ha il potere (dovere) di escludere la detrazione dell'IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario (in qualità di soggetto passivo Iva, n.d.r.)".

Per completezza, si rileva che in altre pronunce la Cassazione ha giustificato l'indipendenza dell'azione di restituzione avanzata dal cedente-soggetto passivo rispetto alla rettifica della posizione del cessionario, basandosi su quelle disposizioni con le quali il legislatore, dopo aver modificato l'ammontare delle aliquote e volendo escludere ogni incidenza delle variazioni apportate sulle operazioni già concluse, non si è limitato d escludere la possibilità di apportare le variazioni di cui all'articolo 26, secondo comma, del Dpr n. 633/72, ma ha ritenuto di dover precisare, altresì, che era del pari esclusa la possibilità di ottenere rimborsi di imposte pagate. In altre parole, i giudici di legittimità hanno evidenziato che "quando si è inteso condizionare (eccezionalmente) il suo accoglimento (della domanda di restituzione, n.d.r.) all'esistenza di un pregiudizio del solvens (come in tema di restituzione di somme versate in pagamento di diritti erariali riscossi su merci importate, in violazione dei principi del diritto comunitario) lo si è detto espressamente (art. 19, d.l. 30 settembre 1982, n. 688, convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 1982, n. 873; art. 29, legge 29 dicembre 1990, n. 428)" (cfr. Cass., sez. V, 28 aprile 2000, n. 5427; conforme Cass, SS.UU., 7 novembre 2000, n. 1147).

La sentenza n. 4416 del 2005 va ad aggiungersi alle molteplici sentenze che ammettono l'esperibiltà dell'azione di rimborso anomalo per la restituzione dell'Iva erroneamente versata.
A tale filone giurisprudenziale, se ne contrappone un altro altrettanto motivato (cfr. Cass., sez. I, sentenze 25 novembre 1996, n. 10405, e 11 dicembre 1996, n. 11047) secondo cui il procedimento di cui all'articolo 26 del decreto Iva "abbraccia tutte le possibili ipotesi di variazioni dell'imponibile e della imposta" e il ricorso a tale procedimento "non costituisce una facoltà per il contribuente, bensì un obbligo, come si evince dall'uso, per tutte le ipotesi, del verbo dovere".
Da ciò la conseguenza che non è possibile far ricorso al procedimento generale di rimborso previsto dall'articolo 21 del Dlgs n. 546/92 qualora sia applicabile l'articolo 26 del Dpr n. 633/72.

Inoltre, l'esperimento dell'azione di rimborso anomalo non sarebbe possibile in quanto, senza la necessaria correzione di un errore materiale mediante annotazione della variazione in diminuzione nel registro di cui all'articolo 25 del Dpr n. 633/72, si darebbe al contribuente la possibilità di ottenere il rimborso di una imposta dovuta e che secondo la disciplina dell'Iva potrebbe essere soltanto portata in detrazione, atteso che il meccanismo applicativo di tale imposta non prevede il rimborso di quanto detraibile, ma soltanto il rimborso dell'eccedenza di imposta pagata dal contribuente in alternativa alla detrazione di tale eccedenza nell'anno successivo.

Tale tesi sembrerebbe avvalorata dalla recente sentenza n. 22567 del 1° dicembre 2004 in materia di rettifica della dichiarazione Iva, con la quale la Cassazione ha affermato che la rettifica "deve essere effettuata esattamente nelle stesse forme della dichiarazione; sostanzialmente, quindi, mediante la sostituzione, nei termini, della dichiarazione inesatta, con altra completa ed emendata (cfr. Cass. nn. 9240/1990, 1901/1992). Come è stato rilevato già da questa Corte, conduce a tale conclusione una serie convergente di indicazioni normative, emergenti dalla disciplina dell'Iva, quali: a) la minuziosa regolamentazione delle rettifiche delle annotazioni inesatte, ispirata a innegabili criteri formali (vedi art. 26, commi 2 e 4, del D.P.R. n.633/1972); b) le stesse prescrizioni formali che accompagnano la dichiarazione annuale (art. 28) anche per quanto riguarda il veicolo obbligato (apposito modello) della sua presentazione; c) la configurazione della fattispecie di "inesatta dichiarazione" come infrazione di astratto pericolo, sanzionata, come tale, a prescindere dal concreto, pregiudizio, effettivo o virtuale, dell'Amministrazione".
Anche se la sentenza n. 22567 del 2004 fa riferimento alla diversa ipotesi della rettificabilità della dichiarazione Iva, appare interessante nella parte in cui viene evidenziato come le rettifiche delle inesatte annotazioni sono legate al particolare meccanismo della nota di variazione, idoneo a evitare che vi siano alterazioni della neutralità dell'imposta.

Pertanto, anche se nella giurisprudenza di legittimità si è consolidato quell'orientamento che prevede la possibilità di utilizzare, per la restituzione dell'imposta sul valore aggiunto indebitamente assolta, sia la nota di variazione sia l'istituto del rimborso anomalo, non altrettanto pacifiche sono le conclusioni in merito al mantenimento della neutralità dell'imposizione.
In altri termini, se da una parte vi è quella giurisprudenza, rappresentata dalla sentenza n. 4416 del 2005 in commento, che non considera le eventuali perdite di gettito erariali a cui l'Amministrazione finanziaria sarebbe esposta a seguito della restituzione dell'imposta erroneamente assolta dal soggetto passivo senza che sia stata rettificata la detrazione operata dal cessionario, dall'altra vi sono pronunce, aderenti alla giurisprudenza comunitaria, più attente a salvaguardare il meccanismo di neutralità dell'imposta e, di conseguenza, a evitare perdite di gettito all'erario.

Per queste ultime, si fa particolare riferimento alla sentenza 15 ottobre 2001, n. 12547, che richiamando una pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 13 dicembre 1989, C-342/87, Genius Holding BV c. Staatssecretaris van Financién), ha posto l'accento sulla possibilità della restituzione dell'imposta mediante il rimborso "anomalo" a condizione che "colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali".
L'eliminazione del rischio, nel caso di istanza di rimborso anomalo, potrebbe aversi qualora il cedente abbia restituito al cessionario l'imposta esatta in via di rivalsa (cfr., in particolare, P. Russo - Giurisprudenza della Corte e garanzie del contribuente in Rassegna Tributaria 4/2001, pag. 1079 e segg.), ad esempio attraverso l'azione civilistica di indebito esperita con successo dal cessionario nei confronti del cedente (cfr. Cassazione, sezione I, 10 giugno 1998, n. 5733).

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