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Giurisprudenza

L’accertamento sintetico vince ancora

Ennesima pronuncia a sostegno della sua legittimità, a dispetto delle “solite censure”

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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 2656 del 7 febbraio 2007, ha confermato l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che reputa pienamente legittimo il ricorso all’accertamento sintetico, qualora risulti evidente l’incompatibilità tra una rilevante capacità contributiva, comprovata da una serie di evidenze obiettive, e una dichiarazione dei redditi del tutto inadeguata rispetto a tali manifestazioni di ricchezza. I massimi giudici di legittimità, accogliendo il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria, hanno ritenuto che l’unico onere che grava sull’ente impositore è rappresentato dalla necessità di individuare elementi certi, indicatori di capacità di spesa, mentre i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati anche retroattivamente, sia al fine di accertare la incongruità del reddito dichiarato che per determinare sinteticamente il reddito da accertare.

Fatto
La vicenda processuale prende le mosse da un ricorso avverso un avviso di accertamento sintetico per l’anno d’imposta 1990, fondato sul possesso di beni indicati dallo stesso contribuente sul questionario inviato dall’ufficio finanziario (un’auto a gasolio di 23 Hp attribuita al 100 per cento, un’abitazione principale di 125 mq, un mutuo di 14.934.000 lire e un premio di assicurazione di 522mila lire, attribuiti al 50 per cento). Il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’atto perché fondato acriticamente solo sui criteri stabiliti dai decreti ministeriali 10/9/1992 e 19/11/1992. Mentre la Ctp respingeva il ricorso, i giudici del riesame accoglievano l’appello proposto dal contribuente. Ricorre per cassazione l’Amministrazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 4, del Dpr n. 600/1973, in relazione all’articolo 360, n. 3, cpc.

Com’è noto, l’accertamento sintetico (articolo 38, comma 4, Dpr 600/1973) è previsto in materia di imposte dirette per le sole persone fisiche: mentre nel procedimento accertativo analitico vengono individuate e valutate le singole componenti reddituali del contribuente persona fisica, nell’accertamento sintetico l’ufficio finanziario determina direttamente il reddito complessivo netto del contribuente non da fonti di reddito, bensì da altri elementi economicamente rilevanti, che denunciano l’esistenza di un reddito superiore a quello dichiarato. Gli elementi e le circostanze rilevanti per la ricostruzione sintetica del reddito sono i più diversi, ma tutti caratterizzati dall’esprimere una capacità di spesa incompatibile con il reddito dichiarato e dai quali, quindi, si può desumere un reddito ulteriore.

L’intervento giurisprudenziale in commento prende in esame e respinge alcune ricorrenti censure riguardanti l’accertamento sintetico, e precisamente:

  1. illegittimo utilizzo di coefficienti presuntivi contenuti in decreti emanati successivamente all’anno d’imposta cui si riferisce l’accertamento
  2. violazione della riserva di legge ex articolo 23 della Costituzione nell’approvazione dei decreti dei coefficienti presuntivi
  3. violazione del principio di irretroattività della legge di cui all’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale, sempre con riferimento al primo motivo.

In proposito, la Corte ha rammentato che, per ormai costante giurisprudenza (ex multis, Cassazione nn. 16420/2003, 14161/2003, 12731/2002, 8738/2002, 11607/2001, 11366/2001, 8372/2001, 15045/2000, 13972/2000, 13415/2000, 11300/2000, 2510/2000), è legittima l’applicazione ad anni anteriori dei coefficienti presuntivi di reddito, adottati ai sensi dell’articolo 1 della legge 413/1991, posto che, sul piano dell’accertamento e delle prove, l’applicabilità degli indici presuntivi deve ritenersi insita nello stesso articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973.
In particolare, il massimo organo di legittimità giustifica il primo motivo di censura citando, a sostegno, la sentenza della stessa Corte n. 16420/2003, nella quale il riferimento a redditometri contenuti in regolamenti emanati successivamente al periodo d’imposta da verificare non pone problemi di irretroattività "poiché il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, sul quale non viene ad incidere il momento della elaborazione".

Pertanto, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, deve essere legittimato il riferimento a redditometri, anche se contenuti in decreti ministeriali successivi, vertendosi in materia non di applicazione retroattiva di disposizioni normative, ma di valutazione di pertinenza nel caso in esame, in mancanza di circostanze di segno contrario, di parametri e calcoli statistici di provenienza qualificata e di attitudine indiziaria indipendente dal tempo dell’elaborazione.

Ulteriore sostegno verso tale interpretazione si ricava dalla sentenza della Cassazione n. 11611/2001, nella quale è stato osservato come tale impostazione meritasse di essere condivisa, dal momento che "il decreto ministeriale contenente il redditometro (che ha la sua legittimazione in una norma primaria, valutata positivamente anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 283/1987), più che espressione di un potere normativo, costituisce espressione di una funzione amministrativa di indirizzo, giustificata dalla necessità di garantire una valutazione trasparente ed imparziale su beni che indicano inevitabilmente una capacità contributiva per una ricchezza consumata, e che potrebbero, in mancanza di strumenti di carattere generale, essere valutati arbitrariamente".

La sentenza prosegue osservando che "la valenza del c.d. redditometro, allora, si coglie propriamente sul piano della valutazione probatoria, ove nulla impedisce che il contribuente possa fornire una prova contraria o che il giudice possa ridimensionare il risultato dell'accertamento, per cui in un tale contesto nessun ostacolo può seriamente configurarsi alla applicazione retroattiva di questo strumento, che si limita ad individuare determinati beni ed a fornirne una valutazione tendenzialmente oggettiva, trasparente ed uniforme".

Proprio rammentando le particolari caratteristiche della metodologia sintetica contenute nel comma 4 dell’articolo 38, i giudici di piazza Cavour non hanno trascurato di rilevare che, contrariamente all’assunto della Commissione tributaria regionale, "l’unico onere dell’ufficio è quello di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa (nella fattispecie: auto, immobile, mutuo etc…) …, ferma restando la possibilità per il contribuente oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa (nella fattispecie peraltro dichiarati dallo stesso contribuente), di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta".

In forza delle predette motivazioni, la tipologia dell’accertamento sintetico acquista una modernità particolarmente significativa, interamente soddisfacendo la recente tendenza del legislatore tributario verso l’utilizzo di presunzioni relative (iuris tantum) piuttosto che assolute (iuris et de iure), avverso le quali i contribuenti, esercitando il diritto di difesa costituzionalmente garantito, sono ammessi a fornire la prova contraria, anche in ottemperanza ai principi in tema di tutela dell’affidamento e della buona fede dettati dallo Statuto dei diritti del contribuente.

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