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Giurisprudenza

L’acqua da tavola in bottiglia
sconta l’aliquota Iva ordinaria

La sentenza della Commissione tributaria di Torino rispecchia l’orientamento dell’Agenzia delle entrate e della direttiva Ue 2006/112/Ce che prevede la tassazione light solo a specifici casi

rubinetto e bicchiere

L’aliquota agevolata Iva al 10% deve intendersi riservata al solo servizio pubblico di erogazione, spettando invece quella ordinaria a tutte le acque commercializzate in bottiglia, soprattutto se con indicazioni che inducano il consumatore a ritenere che l’acqua in esse contenuta abbia caratteristiche ben diverse da quelle della semplice acqua del rubinetto. È quanto, in sintesi, sostiene la Commissione tributaria provinciale di Torino con la sentenza n. n. 1333/03/19 dello scorso 12 novembre.
 
Il fatto
La vicenda processuale in esame trae origine dai ricorsi proposti da una società avverso tre avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle entrate ai fini Iva, con i quali è stata contestata la maggiore imposta dovuta sulle cessioni di acqua da tavola imbottigliata.
Secondo quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 11/2014, l’aliquota Iva agevolata del 10% può applicarsi soltanto ai corrispettivi dovuti per la erogazione di acqua “potabile” e “non potabile” erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni mediante l’allacciamento alle condotte idriche della rete idrica comunale. Di conseguenza, le cessioni di acqua imbottigliata devono necessariamente scontare l’aliquota ordinaria.
La società si era difesa affermando che il legislatore aveva limitato l’applicazione dell’Iva ordinaria soltanto alle cessioni di acque minerali (articolo 5, comma 3, del Dl n. 261/1990), mentre le cessioni delle comuni acque da tavola, in base a quanto disposto al n. 81 p. III, Tabella A, allegata al Dpr n. 633/1972, dovevano ritenersi agevolabili.
 
La normativa di riferimento
La questione controversa ruota intorno alla corretta interpretazione del termine “ acqua” riportato al n. 81 della Tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/1972, secondo il quale l’aliquota ridotta del 10% può applicarsi alle cessioni di “acqua, acque minerali (v. d. ex 22.01)”.
La portata dell’agevolazione è stata infatti successivamente ristretta dal legislatore, il quale, con l’emanazione dell’articolo 5, comma 3, del Dl n. 261/1990, ha stabilito l’applicazione dell’aliquota ordinaria alle cessioni di acqua minerale.
La corretta definizione del termine “acqua” di cui al richiamato n. 81, che interessa ai fini dell’imposizione indiretta, è ulteriormente complicata dal fatto che la legislazione italiana distingue e disciplina diversamente le acque minerali e le acque di sorgente, le cui caratteristiche sono definite nel Dlgs n. 176/2011, dalle acque destinate, in generale, al consumo umano, le cui caratteristiche sono invece delineate nel Dlgs n. 31/2001, che si distinguono dalle prime in termini di purezza e di conservazione.
Il vero tema è, quindi, stabilire se ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, la distinzione operata dal legislatore, a ben altri fini, tra acqua minerale e comune acqua da tavola, debba considerarsi di per sé dirimente, oppure se le modalità di distribuzione e di commercializzazione del prodotto rappresentino il vero discrimine ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta in luogo dell’ordinaria.
 
La decisione
Con la sentenza n. 1333/03/19 dello scorso 12 novembre, la Commissione tributaria provinciale di Torino ha respinto i ricorsi proposti dalla società, facendo propria l’interpretazione resa dall’Amministrazione finanziaria nella citata risoluzione n. 11/2014.
In primo luogo, i giudici hanno affermato che ai fini della corretta applicazione della normativa di settore debbono ritenersi rilevanti sia il tipo di acqua oggetto di commercializzazione che le modalità di distribuzione del prodotto. Secondo il Collegio, infatti, l’acqua distribuita dalla società, per quanto “potabile” e “destinata al consumo umano”, non può certo assimilarsi a quella erogata tramite servizio pubblico cui fa riferimento il n. 81 più volte richiamato.
La Commissione, inoltre, pone in evidenza come le modalità di distribuzione del prodotto non possano che comportare delle conseguenze sul piano della tassazione, posto che l’agevolazione prevista dalla direttiva europea n. 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, mira a tutelare “l’erogazione di acqua” intesa come “servizio generale di erogazione idrica”, realizzato attraverso una diffusa rete idrica pubblica, diretta a soddisfare un’esigenza di primaria importanza, sia per i singoli utenti sia per i servizi pubblici destinati all’intera collettività. Al contrario, affermano sempre i giudici di primo grado, non pare neanche lontanamente paragonabile a tale tipo di distribuzione quella realizzata tramite la normale rete commerciale che risponde, più che a pubbliche esigenze di consumo, a dinamiche di sfruttamento commerciale e a logiche di profitto.
 
Osservazioni
In tema di agevolazioni, ricordiamo, vige il principio per cui, trattandosi di ipotesi eccezionali rispetto alle regole ordinarie di tassazione, ai fini della loro applicazione debbono rigorosamente sussistere tutti i presupposti previsti dalla normativa di riferimento. Se tale principio vale in generale per qualunque settore impositivo, sappiamo che questo vale ancora di più in tema di imposta sul valore aggiunto, trattandosi di un’imposta di natura europea nata con lo scopo di uniformare l’imposizione indiretta all’interno dell’Unione.
Nella fattispecie posta all’attenzione della pronuncia in oggetto, la società ricorrente ha reso un’interpretazione troppo ampia del termine “acqua” riportata al n. 81 p. III, Tabella A, allegata al Dpr n. 633/1972, che si pone in contrapposizione alla ratio sottesa all’agevolazione.
Come precisato dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 11/2019 citata, l’aliquota ridotta consente, infatti, di ridurre i costi a carico della collettività per ottenere un  servizio primario quale è l’erogazione dell’acqua, in conformità alla normativa dettata a livello europeo, con la conseguenza che l’agevolazione non può essere applicata a forme diverse di distribuzione dell’acqua.
Nel documento di prassi si evidenzia, a tale riguardo, come la stessa direttiva del Consiglio 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, all’articolo 98, precisa che l’aliquota ridotta può essere applicata unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III, tra cui, in particolare al numero 2), è espressamente richiamata la “erogazione di acqua”.
La sentenza in commento riveste particolare importanza poiché, nel cogliere questo aspetto legato alle modalità di distribuzione dell’acqua, si pone in contrasto con le precedenti pronunce di merito che, nel disattendere l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, hanno ritenuto che l’unico discrimine rilevante sia la tipologia di acqua commercializzata, con la conseguenza che soltanto la distribuzione delle acque minerali deve scontare l’aliquota ordinaria.
La pronuncia, invece, non solo coglie la ratio sottesa alla disciplina specifica in materia di erogazione dell’acqua, ma si pone in linea con le più recenti indicazioni fornite dalla Commissione europea, che in generale ha ricordato agli Stati membri come l’applicazione delle aliquote Iva ridotte debba essere limitata soltanto alle ipotesi restrittivamente previste dalla Direttiva, così garantendo l’applicazione della regola ordinaria, volta a tutelare l’uniformità di trattamento dell’imposizione indiretta all’interno del mercato unico.

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