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Giurisprudenza

L’acquisto dell’auto di lusso
giustifica la verifica fiscale

L’amministrazione, una volta fornita la prova dell’esistenza di fattori-indice di capacità contributiva, la cui disponibilità integra una presunzione legale, non è tenuta ad altre incombenze

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In materia di accertamento sintetico, il giudice tributario non può escludere valenza probatoria alle spese di gestione dell’autovettura, se il contribuente non dimostra che il maggior reddito non esiste o esiste in misura inferiore a quello sinteticamente determinato dall’ufficio. La disponibilità dei fattori-indice di capacità contributiva, individuati dal legislatore, integra di per sé una presunzione legale. Di conseguenza l’amministrazione finanziaria, una volta fornita la prova dell’esistenza di tali fattori, è dispensata da qualunque ulteriore incombenza, restando in capo al contribuente l’onere di dimostrarne la provenienza non reddituale.
Sono queste le precisazioni contenute nell’ordinanza n. 26672 del 21 ottobre 2019 della Corte di cassazione.
 
I fatti
La controversia trae origine dal ricorso proposto da un contribuente a seguito della notifica di un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate ha rettificato il reddito dichiarato per il periodo d’imposta 2008, perché incongruo rispetto a quello determinato sinteticamente sulla base del possesso di beni immobiliari e di un’autovettura.
 
Le ragioni del contribuente sono state accolte sia in primo grado che in appello. Qui i giudici della Ctr hanno ritenuto che l’amministrazione finanziaria non avesse dimostrato adeguatamente l’inattendibilità della situazione reddituale esposta dal contribuente in sede di contraddittorio, tale da legittimare l’avvio di una procedura di accertamento.
A parere dei giudici di merito, infatti, l’onere probatorio in capo al contribuente doveva ritenersi assolto, considerato che gli immobili, indici di maggior capacità contributiva per l’ufficio, erano stati ricevuti alcuni in donazione e altri acquistati con proventi derivanti dalla vendita di terreni. Tuttavia, nell’ambito delle proprie valutazioni, i giudici della Ctr hanno ritenuto di non dare valenza alle spese di gestione dell’autovettura ai fini dell’accertamento sintetico, perché ritenute marginali.
 
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione lamentando, come motivo principale, violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del Dpr 600/1973 in relazione alla qualificazione dei giudici di merito sulle presunzioni poste a base dell’accertamento sintetico, con particolare riferimento alle spese di gestione dell’autovettura.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
 
La decisione
La controversia ruota attorno all’accertamento sintetico, disciplinato secondo le regole vigenti ratione temporis.
In linea generale, l’accertamento sintetico, detto anche "redditometro", rappresenta uno strumento con cui gli uffici finanziari ricostruiscono la reale capacità di spesa del contribuente-persona fisica ai fini Irpef, risalendo da un fatto noto (la spesa sostenuta quale manifestazione di capacità contributiva) a un fatto ignoto (l'esistenza di un reddito non dichiarato o di un maggior reddito).
 
All’epoca dei fatti la norma disponeva che l’ufficio finanziario, in base a elementi e circostanze di fatto certi, potesse determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, a condizione che il reddito complessivo netto accertabile si discostasse per almeno un quarto da quello dichiarato. Le modalità di determinazione induttiva del reddito, stabilite in base al possesso di specifici beni indicativi di capacità contributiva, erano determinate sulla base di un apposito decreto ministeriale.
Dal lato dell’onere probatorio la norma stabiliva, inoltre, che il contribuente avesse facoltà di dimostrare, anche prima  della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.
Per come era strutturato il “vecchio” accertamento sintetico, quindi, la “disponibilità” di determinati beni, quali ad esempio immobili e autovetture, integrava ex se una presunzione legale (relativa), in base alla quale deve ritenersi conseguente alla disponibilità del bene-indice l’esistenza di una “capacità contributiva”.
 
Tale principio è stato ribadito dall’ordinanza in commento dopo diversi interventi in tal senso (cfr Cassazione, pronunce nn. 11973/2017 e 17487/2016), sgombrando il campo dalla tesi opposta che la configuravano come presunzione semplice, con la conseguenza di doverla necessariamente associare a ulteriori elementi di supporto affinché potesse assumere i requisiti di gravità, precisione e concordanza ed essere validamente sostenuta in giudizio.
Da tale principio consegue che il giudice tributario, “una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova del contribuente in ordine alla provenienza non reddituale”.
 
In buona sostanza, il giudice di merito non può autonomamente negare l’esistenza di capacità contributiva legata a uno specifico fattore-indice individuato dalla norma, nel caso in esame le spese di gestione dell’autovettura di proprietà del contribuente accertato, ritenendo la spesa marginale ai fini della determinazione sintetica del reddito, perché in tal modo contravviene al principio per cui è proprio il possesso di tali beni a fondare legittimamente le presunzioni poste a base dell’accertamento.
Trattandosi di presunzione legale relativa, pertanto, l’amministrazione ha l’obbligo esclusivo di fornire prova adeguata dell’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva ed è dispensata da qualunque ulteriore prova, sicché è legittimo l’accertamento fondato su tali elementi e circostanze.
Resta a carico del contribuente assolvere all’onere di prova contraria e dimostrare che il maggior reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore a quello sinteticamente determinato dall’ufficio (cfr Cassazione, pronunce nn. 9941/2017 e 16912/2016).

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