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Giurisprudenza

L’affitto non si incassa? E’ reddito lo stesso

Va imputato pro quota a tutti i comproprietari di un immobile anche se di fatto il canone di locazione è intascato da uno solo di essi

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Il reddito di immobili è imputabile pro quota ai singoli comproprietari, ancorché di esso si sia appropriato uno solo di essi. Ciò in quanto gli altri acquisiscono un diritto di credito nei confronti del gestore infedele.
Questa la laconica pronuncia – n. 19217 del 6 settembre 2006 – con cui la Corte di cassazione torna a occuparsi dell’imponibilità del reddito fondiario (che si distingue - ex articolo 25 nuovo Tuir - in reddito dominicale dei terreni, reddito agrario e reddito di fabbricato), disciplinato dall’articolo 26 del nuovo Tuir (articolo 23 del vecchio Tuir).

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del giudice d’appello che, in riforma della sentenza di prime cure, aveva accolto le doglianze degli appellanti annullando gli avvisi di accertamento Irpef, ritenendo provata la mancata percezione pro quota dei redditi fondiari accertati e relativi a un immobile posseduto in comproprietà con altro soggetto.

Con l’unico motivo di ricorso, l’ufficio finanziario lamentava la violazione e la falsa applicazione - da parte del giudice del gravame - dell’articolo 23, Dpr n. 917 del 1986 (ora articolo 26), nella parte in cui non riconosceva, in capo ai contribuenti, il reddito di locazione accertato dall’ufficio ma “di fatto” dagli stessi non percepito, in quanto trattenuto per intero da altro comproprietario, titolare della quota di maggioranza.

In tal modo - proseguiva l’Amministrazione ricorrente - la Commissione tributaria regionale avrebbe violato il citato articolo 23, secondo cui i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla loro percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altro diritto reale (tanto è vero che il reddito dominicale del terreno viene tassato anche se tale terreno non è coltivato).

I giudici romani di piazza Cavour hanno accolto le doglianze dell’ufficio finanziario.
Per la Cassazione, infatti, il principio enunciato dal più volte citato attuale articolo 26 del Tuir - rubricato “Imputazione dei redditi fondiari”, che al comma 1 dispone che “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà…” - comporta che il reddito fondiario derivante da un immobile in comproprietà sia imputato pro quota ai diversi comproprietari, indipendentemente dal fatto che ciascuno di essi abbia effettivamente percepito la quota di propria spettanza.

Tale interpretazione, concludono i giudici di legittimità, non determina una violazione dell’articolo 53 della Costituzione - come il giudice di merito sembrava ritenere - in quanto “…ciascuno dei comproprietari, nel caso di mancata percezione, diviene evidentemente titolare di un diritto di credito, corrispondente all’ammontare della propria quota, nei confronti del comproprietario che abbia in ipotesi trattenuto l’intero importo della locazione”.

La sentenza appena commentata appare, in verità, in contrasto con un’altra pronuncia, la n. 6911, resa dalla Cassazione in data 7 maggio 2003, con la quale, in buona sostanza, era stato riconosciuto ai locatori - che non percepivano l’affitto dai conduttori morosi o in ritardo coi pagamenti - di dichiarare, come reddito di fabbricato, soltanto la rendita catastale.
In quella circostanza, la Corte aveva precisato come non fosse applicabile l’articolo 35 del vecchio Tuir (ora articolo 38) - secondo cui il reddito di fabbricati è costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti - quando, secondo i criteri di capacità contributiva (ex articolo 53 della Costituzione) e buona fede (ex articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente), sussiste la prova, anche desunta da elementi indiziari ritenuti congrui dal giudice di merito con insindacabile e non contestato giudizio (nel caso di specie procedura di sfratto per morosità), che gli stessi canoni non sono stati concretamente percepiti dai proprietari.

Così argomentando, la Cassazione - non accogliendo le argomentazioni difensive del Fisco, secondo cui il reddito imponibile degli immobili locati è quello risultante dal contratto di locazione, senza che a nulla rilevi la concreta percezione dei canoni - aveva ritenuto di allinearsi al filone giurisprudenziale divenuto prevalente (cfr Cassazione – sezioni unite - sentenze n. 17394 del 6 dicembre 2002 e n. 15063 del 25 ottobre 2002), che assume a valido fondamento l’articolo 53 della Costituzione, in virtù del quale il carico fiscale deve essere ragguagliato alla “capacità contributiva”, intesa come effettiva ricchezza a disposizione del contribuente.

Con la sentenza del 2003, la Corte non ammetteva la tassazione di quelle ricchezze indicate (magari per errore) in dichiarazione, ma non realmente possedute dal contribuente, puntualizzando come il disposto dell’articolo 53 della Costituzione avesse trovato ulteriore conferma nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), sancente il principio di buona fede che impone all’Amministrazione di far riferimento a dati di ricchezza reali.

Per completezza di trattazione, si ricorda che l’articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ha aggiunto all’articolo 26, comma 1, del nuovo Tuir, la seguente disposizione: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore”. Alla luce di tale modifica normativa, la sentenza del 2003 assume una particolare rilevanza perchè fissa un principio di carattere generale di più ampia portata, tale da estendere gli effetti dell’articolo 26 del Tuir anche ai proprietari di locali concessi in locazione a uso diverso da quello abitativo, altrimenti esclusi, come detto, dalla disciplina dell’articolo in commento.

In conclusione, dall’analisi delle citate sentenze della Cassazione – la n. 19217 del 6 settembre 2006 e la n. 6911 del 7 maggio 2003 – appare evidente un contrasto giurisprudenziale in materia.
Nel primo caso, infatti, è tassabile il reddito di fabbricato ancorché non percepito direttamente dal comproprietario, a nulla rilevando la circostanza che lo stesso è stato percepito esclusivamente da un altro contitolare del diritto; nella seconda fattispecie, invece, la mancata percezione del canone di locazione esonera il proprietario dalla dichiarazione del relativo reddito.


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