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Giurisprudenza

Per l’agevolazione “prima casa”,
la residenza è sempre indispensabile

Non è sufficiente, per conservare i benefici fiscali, la dichiarazione di volontà, al momento dell’acquisto, di destinare l’immobile ad abitazione entro i termini previsti

dichiarazione
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 22944 del 9 ottobre, ha chiarito che è insufficiente, per conservare i benefici fiscali sulla prima casa, la dichiarazione di volontà, rilasciata al momento dell’acquisto, di destinare l’immobile ad abitazione entro i termini previsti dalla legge. A ciò deve seguire il trasferimento nell’appartamento.
 
La vicenda
Il caso concerne un contribuente che aveva donato la propria casa di abitazione per la quale aveva fruito delle agevolazioni “prima casa” senza che fosse stato acquistato entro un anno un altro immobile adibito ad abitazione principale, nonostante la manifestazione in sede di rogito della volontà di trasferirsi nel nuovo appartamento.
Qui, l’acquirente aveva soltanto provveduto all’allaccio di alcune utenze domestiche, per cui l’ente impositore ha notificato avviso di liquidazione per l’intervenuta decadenza dei benefici fiscali, recuperando le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre le relative sanzioni.
 
L’impugnazione dell’atto impositivo non ha sortito alcun effetto presso il giudice tributario, né in primo né in secondo grado, ritenendo necessario - la Commissione tributaria regionale - l’utilizzo effettivo come abitazione principale dell’immobile acquistato, in concreto non dimostrato.
 
L’interessato ha quindi proposto ricorso per cassazione, motivandolo con la circostanza con cui dimostrava che aveva acquistato – nei termini – un altro immobile, anche se abitato effettivamente solo dal mese di aprile dell’anno successivo.
Inoltre, il ricorrente sosteneva, in violazione dell’articolo 1, nota II-bis), comma 4, della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, che la disposizione normativa, secondo cui il beneficio in esame non si perderebbe nell’ipotesi in cui venisse riacquistato entro l’anno un “immobile da adibire” ad abitazione, va interpretata in senso letterale e non intendendo che tale immobile debba effettivamente poi essere “adibito” a tale utilizzo.
Infatti, l’utilizzo effettivo sarebbe, ad avviso del ricorrente, “implicito e presupposto in presenza di casa avente le caratteristiche abitative”.
 
La sentenza impugnata avrebbe altresì implicitamente richiesto un trasferimento definitivo (o comunque prolungato nel tempo) nella nuova casa di abitazione, quando, invece, non è prevista alcuna durata minima, né ha considerato idonea e sufficiente la prova dell’utenza idrica per dimostrare un utilizzo – comunque avvenuto – della nuova casa di abitazione.
 
La decisione
La Corte suprema rigetta il ricorso del contribuente, ritenendolo del tutto infondato.
In particolare, per la sezione tributaria, il permanere dell’agevolazione “prima casa” è “accordato se il contribuente entro il successivo anno proceda all’acquisto di altro immobile da adibire ad abitazione principale”, evidenziando come la dichiarazione con la quale si manifesta la volontà di procedere al riacquisto non è riferibile né a una “qualità astratta del bene”, né – tantomeno – a una “mera dichiarazione di intenti”, costituendo, al contrario “l’assunzione di un vero e proprio obbligo verso il fisco”, consistente nella decisione di adibire l’immobile acquistato ad abitazione principale.
È perciò corretto ritenere che non possa sussistere, all’atto del riacquisto successivo alla vendita, una mera intenzione di abitare l’unità immobiliare, ma che, al contrario, a esso debba corrispondere un utilizzo reale dell’alloggio, consistente nell’effettiva abitazione dello stesso.
 
Nell’ambito dell’imposta di registro, ricorda la Cassazione, il conseguimento dei benefici fiscali per l’acquisto della “prima casa” è subordinato alla realizzazione dell’intendimento – dichiarato nell’atto di compravendita – di destinare l’immobile a propria abitazione entro il termine triennale di decadenza stabilito dall’articolo 76, comma 2, del Dpr 131/1986.
La decorrenza del predetto termine per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria è stabilita nel momento in cui la manifestazione di volontà sia definitivamente decaduta per scadenza dei termini (cfr Cassazione 13491/2008).
Infatti, con la scadenza del termine triennale per l’utilizzo a scopi abitativi dell’immobile acquistato, inizia logicamente a decorrere il termine triennale entro cui l’Amministrazione finanziaria deve procedere alla revoca del beneficio (cfr Cassazione 1196/2000).
 
Per la Corte suprema, il principio vale sia nel caso di vendita infraquinquennale seguita dall’acquisto di altra abitazione entro l’anno sia nel diverso caso di mancato trasferimento della residenza nel comune entro i diciotto mesi dalla registrazione dell’atto, tenuto conto che l’agevolazione per l’acquisto della prima casa è, comunque, volta a incentivare l’acquisto di un’unità immobiliare – da destinare ad abitazione del compratore – nel comune di residenza o (se diverso) in quello ove lo stesso svolge la propria attività.
 
Peraltro, la realizzazione dell’impegno di trasferire la residenza costituisce un vero e proprio obbligo del contribuente verso il Fisco, nella cui valutazione può solo, eventualmente, tenersi conto della sopravvenienza di un caso di forza maggiore (cfr Cassazione 17249/2013).
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