Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Per l'Amministrazione nessun obbligo dalle sentenze di mero accertamento di un diritto. Anzi sì

Ammissibile il ricorso per ottemperanza in seguito all'annullamento di un provvedimento di esenzione

_855.jpg

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 28323 del 21/12/2005, ha riconosciuto l'ammissibilità di un ricorso per ottemperanza con il quale è stata chiesta l'esecuzione di un rimborso, in seguito a un giudicato di annullamento di un provvedimento di diniego all'esenzione decennale Irpeg.
Con questa decisione, i giudici di legittimità tornano nuovamente (cfr Cassazione n. 4126/2004) ad affrontare il tema delle tipologie di sentenze suscettibili di esecuzione con il giudizio di ottemperanza, prendendo posizione sull'estensione dei poteri di cognizione del giudice dell'ottemperanza, nella interpretazione del petitum su cui si è formato il giudicato e nell'individuazione dei conseguenti diritti del contribuente da reintegrare.

La Suprema corte era stata chiamata a giudicare sulla legittimità di pretendere, in sede di ottemperanza, un diritto al rimborso da giudicato, formatosi non su un silenzio rifiuto o un diniego a istanze di rimborso di somme indebitamente pagate, ma su una pronuncia di mero accertamento della spettanza di un'esenzione.

La sentenza, nel negare che dal giudicato potesse derivare il diritto al rimborso dell'Irpeg per tutte le annualità per le quali era stata chiesta l'esenzione (l'estensione del rimborso a tutto il decennio per il quale il diritto all'esenzione era stato accertato avrebbe comportato la violazione dei limiti oggettivi del giudicato), solo apparentemente fornisce un'interpretazione eccessivamente rigorosa del giudicato, limitativa per il contribuente, visto che i giudici di merito gli avevano riconosciuto il diritto all'esenzione decennale, e non per la sola annualità nella quale era stata presentata l'istanza di esenzione.

A ben vedere, infatti, tale decisione è tutt'altro che penalizzante per il contribuente, anzi apre l'ingresso, nel giudizio di ottemperanza, a tipologie di sentenze il cui contenuto precettivo non implica affatto l'esecuzione di un'ulteriore attività amministrativa. Sentenze, cioè, che non prevedono obblighi a carico dell'Amministrazione e a fronte delle quali non è ipotizzabile alcun inadempimento da parte degli organi preposti, e per le quali non si rende necessario l'intervento di un organo giurisdizionale in funzione cognitivo-esecutiva.

Come si è detto, la controversia traeva origine dall'impugnazione di un provvedimento di diniego di esenzione decennale Irpeg al 50 per cento. I giudici di prima istanza avevano annullato tale diniego; l'annullamento era stato confermato sia in secondo grado, sia dalla Commissione tributaria centrale, con decisione che passava in giudicato per mancata impugnazione.

Sulla base dell'annullamento del diniego, i contribuenti pretendevano che l'Amministrazione provvedesse al rimborso delle somme versate a titolo di Irpeg nelle more della controversia. A tal fine, avevano presentato richiesta di rimborso, a cui era seguita la messa in mora dell'Amministrazione; data l'inerzia di quest'ultima, veniva instaurato il giudizio di ottemperanza prima di fronte alla Commissione tributaria regionale della Campania, dichiaratasi incompetente, poi presso la Ctp di Napoli, che accoglieva il ricorso e nominava un commissario ad acta per l'esecuzione del rimborso di tutte le somme versate a titolo di Irpeg in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi. Su questa sentenza, l'ufficio instaurava il giudizio di fronte alla Suprema corte.

La tesi dei contribuenti per l'ammissibilità del ricorso in ottemperanza, tesi accolta dai giudici di legittimità, si fondava sul presupposto che la domanda di agevolazioni tributarie valesse inequivocabilmente come domanda per la restituzione delle somme già indebitamente versate in via cautelativa. Il diritto al rimborso, infatti, seppure distinto rispetto a quello di esenzione, dipende necessariamente dall'accertamento della spettanza dell'agevolazione.

Da questo principio, fissato dalla Cassazione con la sentenza n. 1004/2001, in un contesto estraneo a quello del giudizio di ottemperanza e inerente la tempestività della presentazione della domanda di rimborso rispetto alla presentazione della domanda di agevolazioni fiscali, i contribuenti ne deducevano che la decisione dei giudici di merito sulla spettanza delle agevolazioni fiscali implicasse, di per sé sola, il riconoscimento del diritto al rimborso delle somme versate in via cautelativa.
In questo modo, venivano ritenute coincidenti la logica dell'attività amministrativa, e quindi il legame teleologico sussistente fra atti e procedimenti, con la logica del giudizio tributario, che invece si instaura su singoli atti, della cui legittimità sono chiamati a pronunciarsi i giudici di merito.

Il giudicato ha come oggetto il solo provvedimento di diniego di agevolazione; è quindi il risultato di un giudizio volto ad accertare la sussistenza, in capo al contribuente, dei presupposti di legge per usufruire di un determinato beneficio. La sentenza, perciò, si sostanzia nella mera dichiarazione di un diritto, conseguenza unica dell'accertata illegittimità del diniego. Proprio nell'eliminazione della situazione di incertezza sulla spettanza dell'agevolazione, la decisione esaurisce il proprio contenuto precettivo: la sua natura meramente dichiarativa non consente di dedurne in via interpretativa obblighi ulteriori a carico della parte soccombente.

Ben diversa è la natura del giudizio sul diniego all'istanza di rimborso: in quel caso, e solo in quello, il petitum è finalizzato al rimborso; il giudicato di annullamento del diniego comporterà la condanna dell'Amministrazione alla restituzione delle somme, indipendentemente dalla formula usata dai giudici. In quel giudizio, infatti, la fase cognitiva è meramente strumentale alla reintegrazione del contribuente nella situazione antecedente a quella dell'indebito versamento.

Con questo non si vuol sostenere che l'ambito di applicazione del giudizio di ottemperanza comprende esclusivamente le sentenze in cui il dispositivo prevede un'espressa condanna dell'Amministrazione inadempiente: è ormai giurisprudenza consolidata che unica condizione per l'ottemperanza è l'inerzia dell'Amministrazione di fronte a un giudicato o un comportamento difforme rispetto a quanto stabilito dalla sentenza (cfr Cassazione n. 4126/04), indipendentemente dalla formula usata dai giudici nel redigere il dispositivo. Si segnala, piuttosto, la perplessità di fronte alla possibilità, riconosciuta dalla Corte di cassazione, di dedurre obblighi a carico dell'Amministrazione sulla base dell'interpretazione di una sentenza dichiarativa di un diritto, riconducibile alla categoria delle sentenze autoesecutive.

Tali perplessità sono tanto più giustificate dal fatto che in altre occasioni, la Suprema corte ha fornito un'interpretazione più restrittiva dei poteri di cognizione dei giudici di ottemperanza. Così nella sentenza n. 22188 del 24/11/2004 viene fissato il principio, già affermato dalle sezioni unite, che in sede di ottemperanza "l'indagine deve essere condotta entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia. Il giudice può enucleare e precisare il contenuto di tali obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato chiarendone il reale significato ma non può attribuire un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire".
In questa ottica, erano state dichiarate inammissibili, in sede di ottemperanza, sia le domande di corresponsione degli interessi anatocistici, non formulate in sede di giudizio di cognizione (su tutte cfr sentenza n. 11867/2003), sia le domande di applicazione dell'istituto della compensazione (sentenza n. 13681/2005). In entrambi i casi, l'accoglimento della domanda avrebbe consentito l'ingresso nel giudizio di ottemperanza di aspetti nuovi e ulteriori rispetto a quelli derivanti in modo diretto dal contenuto precettivo del giudicato.

In controtendenza, la decisone annotata fornisce un'interpretazione estensiva dei poteri di cognizione dei giudici di ottemperanza, consentendo di estendere il petitum limitato alla richiesta di accertamento della spettanza di un'agevolazione fiscale, sino a comprendervi la domanda di restituzione di somme indebitamente versate. Domanda, quest'ultima, mai formulata dal contribuente.

Il fatto che i giudici limitino l'ammissibilità del diritto al rimborso alla sola annualità d'imposta nella quale la richiesta di esenzione era stata formulata attenua, ma non elimina, la difficoltà di fronte a una tale estensione dei poteri di cognizione del giudice dell'ottemperanza.
Si auspica, quindi, una rivisitazione di tale orientamento giurisprudenziale, nel senso del riconoscimento dell'eterogeneità del giudizio sul diniego di un'agevolazione che sfocia in una sentenza dichiarativa, e del giudizio sul diniego di rimborso che sfocia in una sentenza di condanna.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/lamministrazione-nessun-obbligo-dalle-sentenze-mero-accertamento