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Giurisprudenza

L’autotutela parziale non si impugna
perché “innocua” per il contribuente

Intervenendo semplicemente a riduzione della pretesa già contenuta nell’avviso notificato, è espressione del rapporto di lealtà e collaborazione tra cittadino e amministrazione

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Nel contenzioso tributario, l'annullamento parziale in via di autotutela non rientra nella previsione di cui all'articolo 19 del Dlgs n. 546/1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente. L'annullamento parziale non comporta la notificazione di un successivo avviso di accertamento ovvero di avviso bonario, ma solo la comunicazione al contribuente di quanto disposto in autotutela.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27040 del 23 ottobre 2019, ha, tra l’altro, chiarito alcuni rilevanti profili processuali in tema di autotutela parziale.
Nel caso concreto, l'Agenzia delle entrate ricorreva per la cassazione della sentenza della Ctr dell'Emilia Romagna che, nell’ambito di una controversia sull’impugnazione di un provvedimento di autotutela, emesso a seguito di avviso di accertamento, aveva rigettato l'appello dell'amministrazione, confermando la decisione di primo grado, che aveva ritenuto inapplicabile il raddoppio dei termini per l'accertamento.
L’Agenzia deduceva quindi, violazione dell'articolo 19 de Dlgs n. 546/1992, affermando che il diniego di autotutela non rientrava, in questo caso, fra gli atti impugnabili. Secondo la suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano, infatti, i giudici di legittimità che la giurisprudenza di Cassazione si è già espressa sull’argomento, statuendo che “in tema di contenzioso tributario, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela, o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa” (cfr Cassazione, nn. 7511/2016, 25673/2016 e 29595/2018).

L'autoannullamento non comporta, infatti, una nuova imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce – in ambito processuale – di mera riduzione del petitum (sempre ammissibile senza violazione del contraddittorio né dei divieti di mutatio e novità). In tal caso, sottolinea la Corte, la necessità di un nuovo avviso, con conseguente possibilità di impugnazione da parte del contribuente, sortirebbe del resto un effetto eccedente rispetto al fine.
Questo tipo di annullamento parziale non richiede, pertanto, la notificazione di un successivo avviso di accertamento, ovvero di avviso bonario, ma solo la comunicazione al contribuente di quanto disposto in autotutela (articolo 4, comma 2, Dpr n. 37/1997).

Tanto premesso, in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova evidenziare quanto segue.
La fattispecie dell’autotutela ha sempre creato difficoltà interpretative, soprattutto sotto il profilo processuale.
L'autotutela nasce come istituto di diritto amministrativo e rappresenta una manifestazione del potere di riesame dell'amministrazione.
L'amministrazione competente può, in particolare, assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies (revoca del provvedimento) e 21-nonies (annullamento d'ufficio), legge 241/1990, laddove poi l’articolo 68, comma 1, del Dpr n. 287/1992, ha stabilito espressamente che gli uffici finanziari, salvo che sia intervenuto giudicato, possono “procedere all’annullamento totale o parziale dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, da comunicarsi al destinatario dell’atto”.
L’autotutela rappresenta dunque una (doverosa) manifestazione del potere di riesame dell’amministrazione.
E il decreto ministeriale n. 37/1997, all’articolo 2, con un’elencazione non esaustiva, specifica alcune “ipotesi di annullamento d'ufficio o di rinuncia all'imposizione”, sussistendo le quali l'ufficio può procedere, laddove naturalmente si sia in presenza di illegittimità dell'atto, all'annullamento o alla rinuncia (anche solo parziale) all'imposizione, senza necessità di istanza di parte e anche in pendenza di giudizio.

Anche la circolare n. 198/1998 del ministero delle Finanze ha individuato una serie di circostanze che gli uffici devono tenere in considerazione nell'espletamento dell'attività di annullamento o revoca in autotutela di atti illegittimi, laddove la stessa circolare afferma espressamente che un’attenta correzione degli errori eventualmente riscontrati rappresenta non solo un modo per evitare pericolose deviazioni nell'applicazione delle leggi e il conseguente deterioramento del rapporto di fiducia Fisco-contribuente, ma anche l'occasione per diminuire i costi derivanti dal contenzioso.
Come espressamente stabilito dalle disposizioni normative di riferimento, l'esercizio del potere di annullamento in via di autotutela trova dunque un limite insuperabile solo nell'esistenza di una sentenza passata in giudicato, che abbia pronunziato sul merito del rapporto tributario cui inerisce l'atto che si vorrebbe annullare.
Il legislatore non ha previsto altri limiti oggettivi all’autotutela.

Secondo quanto precisato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, è opportuno comunque chiarire che le fattispecie dell’autotutela integrativa, sostitutiva e parziale sono ben diverse.
Quanto alle prime due fattispecie, l’articolo 43 citato riguarda appunto l’autotutela integrativa ed è preordinato alla ripresa a tassazione di elementi reddituali incrementativi del reddito complessivo definito in precedenza e non noti al momento dell'esercizio della precedente attività accertatrice.

L'ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge, che richiede genericamente la sopravvenienza di "nuovi elementi", legittima quindi il ricorso all'avviso di accertamento integrativo, allorché, successivamente a quello originario, l’ufficio venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento dell’emissione dell'avviso originario.
Il contenuto preclusivo dell'articolo 43 del Dpr n. 600/1973 deve essere in sostanza limitato al divieto di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all'ufficio (cfr Cassazione, sentenze nn. 11421/2015 e 8029/2013).

L’accertamento integrativo non deve peraltro essere confuso neppure con l’autotutela sostitutiva.
L’avviso di accertamento emesso, con efficacia ex nunc, in sostituzione di uno precedente, viziato da un errore materiale evidente, non costituisce infatti espressione del potere di autotutela integrativa (ex articolo 43, comma 4, Dpr n. 600/1973) ma, piuttosto, del potere di autotutela sostitutivo, esperibile anche in assenza di sopravvenute conoscenze.

Anche tale possibilità, del resto, non è sempre applicabile, dato che, in ogni caso, sussistono i seguenti limiti:

  • la rinnovazione non può avvenire se è già decorso il termine di decadenza dell'azione accertatrice
  • la rinnovazione è altresì preclusa qualora sia intervenuto giudicato di merito.

In conclusione, mentre non è consentito annullare un avviso di accertamento già notificato al contribuente e sostituirlo con uno nuovo contenente una maggior pretesa impositiva, come derivante da un più attento giudizio degli elementi già disponibili al momento dell'emanazione dello stesso accertamento, nessun ostacolo impedisce invece all’amministrazione di riesaminare il proprio operato (entro i relativi termini decadenziali) e annullare i propri atti, eventualmente illegittimi, sostituendoli con altri legittimi, purché, come detto, l'ammontare dei tributi contestati sia di ammontare uguale rispetto a quello precedente.

Tra tali due istituti sussiste una notevole differenza di scopo: il potere di reiterazione della potestà di accertamento rappresenta infatti lo strumento concesso all'amministrazione finanziaria per accertare la pretesa tributaria sulla base della (necessaria) acquisizione di nuovi elementi conoscitivi.

L’autotutela sostitutiva persegue invece lo scopo di eliminare dal mondo giuridico atti caratterizzati da vizi di legittimità, perseguendo così l'interesse pubblico generale.

Mentre l’autotutela parziale, per la quale non rileva neppure il termine decadenziale, intervenendo semplicemente a riduzione della pretesa già contenuta nell’avviso notificato, è espressione, infine, del rapporto di lealtà e collaborazione tra contribuente e amministrazione.

In conclusione, solo l'integrazione o la modifica in aumento dell'originario avviso determina una "nuova" pretesa tributaria rispetto a quella originaria, dovendo formalizzarsi nell'adozione di un nuovo avviso di accertamento, che, aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, indichi gli elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza, ai sensi dell'articolo 43, comma 3, del Dpr n. 600/1973.

In caso invece di modifica in diminuzione, questa non necessita di forme o motivazioni particolari, in quanto non integra una nuova pretesa tributaria.
Poiché poi, anche nel processo tributario, le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, qualora l'amministrazione finanziaria si avveda, in corso di causa, che è corretta e da accogliere un’eccezione del contribuente, non deve rinnovare l'intero procedimento amministrativo di accertamento, avendo il potere-dovere di ridurre la domanda originaria. E tale riduzione della domanda non equivale a diverso e autonomo accertamento (cfr Cassazione, nn. 13311/2019, 22019/2014 e 937/2009).
Insomma, autotutela parziale e accertamento integrativo sono cose ben diverse.
L'atto in autotutela parziale non cancella l'avviso di accertamento, e si limita a ridurre solo il quantum, non potendo, pertanto, essere considerato un nuovo atto sottoposto al termine di decadenza.
Tale riduzione della domanda, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento in via di rettifica da parte dell'amministrazione, è del resto ammissibile anche se operata per la prima volta in grado d'appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua (cfr Cassazione, nn. 15413/2017 e 2262/2018).

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