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Giurisprudenza

Lavoratore dipendente non esente
dalle indagini finanziarie del Fisco

I versamenti effettuati nell’ambito di rapporti intercorrenti tra contribuenti e operatori bancari possono essere posti a base della ricostruzione di “qualsiasi categoria reddituale”

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È legittimo l’accertamento tributario fondato su indagini finanziarie effettuate nei confronti di un titolare di redditi di lavoratore dipendente: l’accertamento bancario, infatti, è esperibile a qualsiasi tipologia di contribuente. La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 104/2019, ha rigettato il ricorso di una contribuente, confermando l’operato dell’ufficio.
In particolare, la ricorrente contestava l’avviso di accertamento basato sulle indagini bancarie, con un unico motivo, afferente al fatto che l’ufficio avrebbe dovuto individuare le operazioni finanziarie contestate in una delle categorie reddituali previste e disciplinate dal Tuir, in considerazione del fatto che la contribuente produce solo reddito di lavoro dipendente.
Al contrario, i supremi giudici hanno riconosciuto la legittimità dell’avviso, in quanto la presunzione legale posta nell’ambito delle indagini finanziarie a favore dell’ufficio, ha portata generale e non è limitata agli imprenditori e ai lavoratori autonomi.
 
Il caso e la pronuncia della Cassazione
Una contribuente contestava l’avviso di accertamento ricevuto per l’anno d’imposta 2006, scaturito dalle indagini finanziarie svolte a suo carico dal competente ufficio dell’Agenzia delle entrate. In particolare, sin dal primo grado di giudizio, la ricorrente sosteneva l’argomentazione in base alla quale l’avviso di accertamento sarebbe nullo poiché non sarebbe stato provato a quale categoria i redditi diversi apparterebbero, atteso che la stessa svolgeva attività di lavoro dipendente.
 
L’operato dell’ufficio veniva confermato sia dalla Ctp che dalla Ctr di Bologna, che osservavano come la contribuente non ha assolto l’onere probatorio, posto a suo carico nel caso specifico, in ordine agli accreditamenti rilevati sui conti correnti. Ne conseguiva, in assenza di valida giustificazione, l’assoggettamento a tassazione quali redditi diversi, categoria di tipo residuale prevista dal Tuir. Nello specifico, a fronte di puntuale richiesta di chiarimenti e giustificazioni, la contribuente non era in grado di documentare gli accreditamenti in questione.
 
I supremi giudici hanno confermato la decisione della Ctr, respingendo le doglianze della contribuente, in considerazione del fatto che “il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del D.p.r. n. 600 del 1973……dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili, dimostrazione che nel caso di specie non risulta avvenuta, senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte del D.p.r. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2……trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo”.
Ha concluso la Corte di cassazione rigettando le considerazioni della contribuente e confermando la correttezza dell’operato dell’ufficio.
 
Osservazioni
Con l’ordinanza in esame, la Corte di legittimità è tornata ad affrontare il tema dell’utilizzo dello strumento delle indagini finanziarie nell’ambito dell’accertamento dei redditi evasi dai contribuenti (articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972), affermando che l’accertamento bancario ha una portata generale in quanto riguarda qualsiasi categoria di contribuente, a prescindere dall’attività svolta.
Infatti, i versamenti a qualsiasi titolo accreditati nell’ambito dei rapporti intrattenuti dai contribuenti con gli operatori finanziari, possono essere posti a base della ricostruzione di “qualsiasi categoria reddituale” quali componenti positivi di reddito, qualora il contribuente “non dimostri” di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito stesso o che le operazioni relative sono fiscalmente irrilevanti (presunzione juris tantum).
 
Per quanto concerne la prova contraria, è prassi consolidata che il contribuente è tenuto a dimostrare in modo oggettivo e determinato la natura e l’origine delle movimentazioni finanziarie, come ad esempio documenti provenienti da amministrazioni pubbliche, da soggetti addetti a funzione certificative (come i notai) ovvero da terzi qualificati, formalmente interessati a particolari “rapporti contrattuali” con il contribuente (rimborsi, prestiti, mutui, risarcimenti danni, eccetera). In particolare, si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (cfr Cassazione, ordinanza 9731/2014).
 
È da evidenziare che la necessità di fornire una prova contraria precisa è prevista anche nel caso di rapporti finanziari intestati a terzi su cui il contribuente sottoposto ad attività ispettiva normalmente operi sulla base di delega dell’intestatario, soprattutto ove questo sia un familiare e non si dimostri che il potere di disposizione del rapporto finanziario sia stato conferito per circostanze specifiche e giustificabili (cfr Cassazione, sentenze 7957 e 23861 del 2007).
 
In conclusione, i supremi giudici hanno ritenuto legittimo l’accertamento bancario effettuato dell’Agenzia delle entrate nei confronti di un contribuente, non esercente arti e/o professioni, che non ha ottemperato all’onere della prova normativamente posto a suo carico, affermando che “…l’art. 32 del DPR n. 600 del 1973 consente di accertare il reddito (o i ricavi) del contribuente, con agevolazione probatoria in favore del Fisco”.
 
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