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Giurisprudenza

L’avvocato è un soggetto Iva:
il giudicato non ostacola i principi Ue

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra l’amministrazione finanziaria rumena e uno studio legale in merito all’assoggettamento di quest’ultimo all’imposta

studio legale

In base alla normativa comunitaria (articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/Ce) una persona che esercita la professione di avvocato deve essere considerata un “soggetto passivo” ai sensi di tale disposizione secondo la quale deve essere ricompreso chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tale attività (Sentenza Corte Ue del 16 luglio 2020, Causa C 424/2019).

La fattispecie
La domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla controversia in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva e del principio dell’autorità di cosa giudicata ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone uno studio legale all’amministrazione finanziaria rumena in merito all’assoggettamento di tale studio all’Iva.
In particolare, lo studio ha chiesto all’amministrazione finanziaria di essere cancellato dal registro dei soggetti passivi Iva e di ottenere il rimborso dell’Iva percepita da tale amministrazione, in quanto sarebbe stato iscritto per errore in detto registro. Ciò premesso la controversia è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni.

Le questioni pregiudiziali e le valutazioni della Corte Ue
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 debba essere interpretato nel senso che una persona che esercita la professione di avvocato deve essere considerata un ”soggetto passivo”, ai sensi di tale disposizione.
In forza dell’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva, si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tale attività.
I termini utilizzati in tale disposizione, in particolare il termine “chiunque”, attribuiscono una definizione ampia della nozione di “soggetto passivo”, incentrata sull’indipendenza nell’esercizio di un’attività economica nel senso che tutte le persone fisiche e giuridiche, sia pubbliche che private, e anche gli enti privi di personalità giuridica, che obiettivamente soddisfino i criteri di cui a tale disposizione, devono essere considerate soggette all’Iva.
Invece, l’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112, definisce la nozione di “attività economica” come riferita a qualsiasi attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese, in particolare, le libere professioni o assimilate.

Di conseguenza, poiché la professione di avvocato costituisce una libera professione, dall’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, risulta che una persona che esercita tale professione esercita un’attività economica e deve essere considerata come un “soggetto passivo” ai sensi di tale disposizione.
Peraltro, la direttiva 2006/112 attribuisce un ambito di applicazione molto ampio all’Iva menzionando, all’articolo 2, relativo alle operazioni imponibili, oltre alle importazioni di beni, gli acquisti intracomunitari di beni, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo
La Corte ha dichiarato che uno Stato membro non può applicare un’aliquota Iva ridotta alle prestazioni di servizi fornite dagli avvocati per le quali questi ultimi sono indennizzati totalmente o parzialmente dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio.

Orbene, tale valutazione presuppone necessariamente che tali prestazioni siano state considerate soggette all’Iva e che tali avvocati, qualificati come “enti privati che perseguono uno scopo di lucro” in tale sentenza, siano stati considerati agire in quanto soggetti passivi.
Tutto ciò premesso, la Corte Ue, con riferimento alla prima questione sollevata, perviene alla  conclusione che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che una persona che esercita la professione di avvocato deve essere considerata un “soggetto passivo” ai sensi di tale disposizione.

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario debba essere interpretato nel senso che esso osta a che, nell’ambito di una controversia relativa all’Iva, un giudice nazionale applichi il principio dell’autorità di cosa giudicata, qualora l’applicazione di tale principio costituisca un ostacolo a che tale giudice prenda in considerazione la normativa dell’Unione in materia di Iva.
A tal proposito, va ricordata l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione. Pertanto, il diritto comunitario non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con tale diritto.

In particolare, il diritto comunitario non impone che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto adottata dalla Corte, un organo giurisdizionale nazionale debba necessariamente riesaminare una sua decisione che goda dell’autorità di cosa giudicata.
In assenza di una normativa comunitaria in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in base al principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi.

Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
Pertanto, qualora le norme procedurali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere esercitata, conformemente ai principi di equivalenza e di effettività, e sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione controversa al diritto dell’Unione.

Nel caso di specie, il giudice del rinvio fa presente che il ricorrente nel procedimento principale invoca l’effetto positivo dell’autorità di cosa giudicata collegata alla sua sentenza..
Tale giudice precisa che, qualora dovesse ritenere che tale sentenza abbia autorità di cosa giudicata, le considerazioni in essa contenute sarebbero idonee a creare un precedente fiscale favorevole a detto ricorrente e a costituire il fondamento della soluzione della controversia principale.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio disponga, in forza delle norme procedurali di diritto rumeno applicabili, della possibilità di respingere il ricorso principale, sarebbe suo compito farne uso e garantire la piena efficacia del diritto comunitario, nel caso di specie quello della direttiva 2006/112, disapplicando, se necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione da esso adottata nella sua sentenza interna, in quanto tale interpretazione non è compatibile con il diritto dell’Unione.

Nell’ipotesi contraria, in cui tale giudice dovesse ritenere che l’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata osti a che una decisione giurisdizionale, sia rimessa in causa, nonostante tale decisione comporti una violazione del diritto comunitario, tale applicazione non può altresì impedire al giudice di rimettere in discussione affermazioni relative ad un punto comune deciso da una tale decisione, in sede di controllo giurisdizionale di un’altra decisione dell’autorità tributaria competente riguardante lo stesso contribuente o soggetto passivo, ma riguardante un esercizio fiscale distinto.
Infatti, una simile applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata avrebbe la conseguenza che, laddove la decisione giurisdizionale divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione erronea delle norme dell’Unione in materia di Iva, la non corretta applicazione di tali norme si riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sia possibile correggere tale erronea interpretazione.

Dunque, ostacoli di tale portata all’applicazione effettiva delle norme del diritto comunitario in materia di Iva non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati contrari al principio di effettività.

Tutto ciò premesso, la Corte Ue, con riferimento alla seconda questione sollevata, perviene alla conclusione che il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso osta a che, nell’ambito di una controversia relativa all’Iva, un giudice nazionale applichi il principio dell’autorità di cosa giudicata, qualora tale controversia non verta su un periodo d’imposta identico a quello di cui si trattava nella controversia che ha dato luogo alla decisione giurisdizionale munita di tale autorità, né abbia il medesimo oggetto di quest’ultima, e l’applicazione di tale principio costituisca un ostacolo a che tale giudice prenda in considerazione la normativa comunitaria in materia di Iva.

Data sentenza
16 luglio 2020

Numero causa
C 424/2019

Nome delle parti
Cabinet de avocat UR
contro
Administraţia Sector 3 a Finanţelor Publice prin Direcţia Generală Regională a Finanţelor Publice Bucureşti,
Administraţia Sector 3 a Finanţelor Publice, MJ NK

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