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Giurisprudenza

Leasing traslativo: dai giudici istruzioni sulla contabilizzazione

Per la prima volta, un intervento sulle modalità di registrazione degli oneri accessori sostenuti dal concedente

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La distinzione giuridica fra leasing "traslativo" e "di godimento", ormai consolidata nelle argomentazioni della Corte di cassazione, permette ai giudici di legittimità di affermare le regole di corretta contabilizzazione degli oneri accessori al contratto di leasing.
Con la sentenza n. 17195 del 10 gennaio 2006, depositata lo scorso 28 luglio, la Suprema corte afferma che, in presenza di un contratto di leasing di tipo traslativo, i costi sostenuti dalla concedente sono direttamente imputabili al bene oggetto del contratto atipico e, quindi, è necessario che gli stessi siano capitalizzati, accrescendo il valore di bilancio del citato bene concesso in leasing, e assieme a esso ammortizzati.

Tipologie giuridiche di contratto di leasing individuate dalla Suprema corte
La distinzione, considerata oggi una nozione consolidata, fra le due tipologie giuridiche all'interno della macrocategoria del leasing deriva da una serie di pronunce dalla Suprema corte negli anni 1989 e precedenti, confluenti nelle argomentazioni della sentenza a Sezioni unite del 3 luglio 1992, n. 65 (depositata il 7 gennaio 1993).
Il concetto di leasing, in riferimento al valore che assume il bene al momento del riscatto e alla funzione economica dei canoni periodici, è stato bipartito dai giudici di legittimità in due tipologie. In particolare, la prima, considerata tradizionale, viene definita "leasing di godimento"; la seconda è denominata "leasing traslativo".

Leasing di godimento
La prima tipologia di leasing, si realizza quando il contratto "si inquadra, secondo la volontà delle parti, in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso, onde i canoni costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento" (Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 65 del 3 luglio 1992, depositata il 7 gennaio 1993).

Secondo le indicazioni della Corte, le principali caratteristiche strutturali del leasing cosiddetto "tradizionale" o "di godimento" sono individuabili nei seguenti elementi:

  1. ha a oggetto beni o impianti, strumentali all'esercizio dell'impresa utilizzatrice, dei quali è ragionevolmente prevedibile il superamento tecnologico prima della fine del contratto
  2. l'interesse principale dell'utilizzatore è quello di ottenere la disponibilità del bene stesso e il potere di sfruttamento, senza esborso di capitali rilevanti e fino alla pressoché totale obsolescenza di esso
  3. il valore residuale del bene è minimo e corrisponde all'altrettanto modesto prezzo di opzione per l'acquisto della proprietà allo scadere del contratto.

In particolare, la funzione economica di questa tipologia di contratto si concentra nello scopo di godimento del bene, mentre viene posto in posizione marginale l'opzione di riscatto finale che prevede un prezzo pressoché nullo del bene.
L'irrilevanza del valore di riscatto comporta che la quantificazione dei canoni periodici è effettuata tenuto conto dell'obsolescenza economica del bene, con gli stessi che non comprenderanno mai parte del valore finale del bene oggetto del contratto atipico.

Leasing traslativo
La seconda tipologia di leasing, individuata dalla Cassazione, si realizza quando "le parti al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all'uso programmato e alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l'utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicché il trasferimento del bene all'utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un'eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto" (Cassazione, sezione I, 12 luglio 2001, n. 9417; Cassazione, sezione III, 4 luglio 1997, n. 6034; Cassazione, sezioni unite, 7 gennaio 1993, n. 65).

L'elemento principale che permette di individuare questa seconda tipologia del leasing è dato dal fatto che i beni oggetto del contratto conservano allo scadere dello stesso un considerevole valore economico residuo, di norma superiore al prezzo pattuito per l'opzione.
Le principali caratteristiche di questa fattispecie negoziale sono state così individuate dai giudici di legittimità nella sentenza già citata del 3 luglio 1992, n. 65:

  1. non vi è coincidenza temporale tra il periodo di obsolescenza tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto
  2. la sproporzione tra il valore residuo del bene stesso e il prezzo di opzione costituisce la situazione di fatto che dimostra come la volontà originaria delle parti è diretta principalmente a realizzare il trasferimento della proprietà del bene al termine del rapporto
  3. l'importo dei canoni contiene anche una quota del prezzo finale, essendo le vendita elemento essenziale del contratto, e il valore globale dei canoni corrisponde al valore complessivo del bene
  4. la concessione in godimento assume una funzione strumentale rispetto alla vendita
  5. la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto indica lo scopo di garanzia rispetto alla riscossione di tutti i canoni.

La suddivisione giuridica fra le due tipologie di contratto di leasing ha permesso alla Corte di cassazione di inquadrare le numerosissime fattispecie del contratto atipico di leasing all'interno delle norme che regolano i contratti tipici.
In particolare, per mezzo della su esplicitata bipartizione, i giudici hanno affermato che, in presenza di "leasing traslativo":

  • è applicabile la norma che disciplina la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà - articolo 1526 del Codice civile - e, conseguentemente, inapplicabile il regime di cui all'articolo 1458, comma 1, c.c. (Cassazione, sentenze n. 12317 del 15 marzo 2005, n. 18229 del 9 ottobre 2003, n. 2069 del 23 gennaio 2000, n. 6663 del 19 luglio 1997,)
  • ai fini Invim, per determinare il valore di un immobile venduto che fosse stato oggetto di un leasing immobiliare, è necessario tenere conto, oltre che del prezzo di riscatto, anche di quella parte dell'importo dei canoni corrisposti nel corso della durata contrattuale, che rappresentano un parte del valore finale del bene (Cassazione, sentenze n. 12594 del 22 marzo 2006, n. 6554 del 24 aprile 2003, n. 1160 del 27 gennaio 2003, n. 6151 del 15 ottobre 2002, n. 5711 del 31 gennaio 2001, n. 12673 del 18 dicembre 1998).

Cenni di confronto con le definizioni Ias/Ifrs
E' possibile fare un parallelo fra la dicotomia generata dalle definizioni della Suprema corte e la distinzione fra leasing operativo e leasing finanziario prevista dallo Ias n. 17.
In particolare, il criterio fondamentale suggerito dai principi contabili internazionali, per distinguere le due citate tipologie di leasing è la verifica del trasferimento dell'economic ownership al soggetto utilizzatore del bene.
Il trasferimento di tutti i rischi e benefici dell'operazione può essere valutato in presenza di alcune condizioni, esplicitate all'interno dello Ias 17, fra le principali:

  1. la proprietà del bene si trasferisce al locatario al termine del contratto
  2. il locatario ha l'opzione di acquisto del bene a un prezzo che ci si attende sia sufficientemente inferiore al fair value alla data alla quale si può esercitare l'opzione, cosicché, all'inizio del leasing, è ragionevolmente certo che essa sarà esercitata
  3. la durata del leasing copre la maggior parte della vita economica del bene anche se la proprietà non è trasferita
  4. all'inizio del leasing, il valore attuale dei pagamenti minimi dovuti per il leasing equivale almeno al fair value del bene locato
  5. i beni locati sono di natura così particolare che solo il locatario può utilizzarli senza dovere apportare loro importanti modifiche.

Da questi elementi può ravvisarsi un'omologia tra il binomio della Corte di cassazione, leasing "di godimento" o "traslativo", e il binomio, operativo o finanziario, adottato invece nella redazione dei principi contabili internazionali (Ias/Ifrs).

La sentenza della Corte di cassazione n. 17195 del 10 gennaio 2006 (depositata il 28/7/2006)
La controversia trae origine dalla contabilizzazione di una serie di costi accessori ai contratti di leasing (spese su importazione beni in leasing, spese notarili immobili da recuperare, altre spese recuperabili, spese registrazione contratti, marche da bollo su contratti, spese trasporto e magazzinaggio), che la società ricorrente, immediatamente dopo il loro sostenimento, addebitava ai propri clienti con una doppia scrittura sul medesimo "conto interessi", per evitare di rimanere incisa da costi che riteneva a carico dei propri clienti.

Di contro, gli accertatori ritenevano che i citati costi fossero qualificabili quali "oneri di diretta imputazione" ai beni concessi in leasing e che, di conseguenza, dovessero essere capitalizzati e ammortizzati unitamente al cespite. Operazione contabile che, nei fatti oggetto della pronuncia, non poteva avere rilevanza ai fini fiscali, in quanto, dalla verifica effettuata, emergeva la mancata iscrizione dei beni nel registro cespiti.

Nell'affrontare il problema interpretativo posto al proprio vaglio dalla società concedente, la Corte di cassazione analizza il contratto di leasing che regola i rapporti fra la ricorrente e i propri clienti, ritenendo che lo stesso s'inquadri nella tipologia "dei contratti di leasing cosiddetto traslativo" (Cassazione, sezione I, 12 luglio 2001, n. 9417; Cassazione, sezione III, 4 luglio 1997, n. 6034; Cassazione, sezioni unite, 7 gennaio 1993, n. 65).
La principale funzione economica di questa tipologia di contratto di leasing si concretizza nel trasferimento della proprietà del bene che avviene solo al momento della conclusione del contratto, e cioè all'atto del pagamento del prezzo di riscatto.
In particolare, i giudici di legittimità ritengono che "l'oggetto materiale concesso in leasing a terzi appartiene al concedente (quindi, nel caso, alla società contribuente) sino al momento in cui viene esercitato il diritto di riscatto dello stesso da parte di tal terzo" (Cassazione, sezione I, 9 aprile 2003, n. 5552).
La corretta contabilizzazione dei costi oggetto della controversia è proprio legata all'individuazione del soggetto a cui appartiene il bene. Nella fattispecie esaminata, la Corte afferma che "per effetto dell'appartenenza alla società concedente sino al trasferimento della proprietà del bene all'utilizzatore" detti componenti negativi, recuperati dall'ufficio, "vanno considerati costi afferenti al bene specifico per il quale sono stati sostenuti, e, quindi, rappresentano "oneri di diretta imputazione" perché particolari di ciascun bene".

Inoltre, la Cassazione utilizza le scelte contabili del ricorrente ("contabilizzava le spese nel conto di interesse, annotando l'immediato riaddebito per pari importo al cliente utilizzatore nella sezione 'avere' dello stesso conto") come indizio della diretta imputabilità dei costi in esame ai singoli beni concessi in leasing.
Riassumendo, essendo il contratto di leasing stipulato dalla ricorrente un contratto di tipo traslativo, in cui la funzione principale è il trasferimento della proprietà, e tenuto conto che detto trasferimento avviene esclusivamente al momento dell'esercizio del potere di riscatto, tutti gli oneri di diretta imputazione ai singoli beni che si manifestano prima di tale momento dovevano essere capitalizzati e ammortizzati dalla società concedente.

Conclusioni
I giudici ritengono, infine, che il metodo di contabilizzazione utilizzato dalla società ricorrente alteri "il rapporto costo/ricavo relativo a tutti gli anni d'imposta nei quali quel bene è concesso in leasing", regolato dai principi di competenza sia aziendalistici che fiscali, precisando, inoltre, che "l'eventuale obbligo di riaddebito, contrattualmente assunto con il terzo, non potrebbe giammai modificare il regime giuridico fiscale dei costi previsto dalla legge", affermando, con ciò, la preminenza delle norme primarie rispetto alle previsioni contrattuali.

Il ricavo ottenuto dalla concessione in leasing di un bene è un componente positivo di reddito, i cui effetti si realizzano su più annualità successive; di conseguenza, i correlativi costi, e in particolare quelli di diretta imputazione, dovranno necessariamente essere ripartiti sulle stesse annualità per mezzo delle tecniche contabili di capitalizzazione e ammortamento.

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