Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Per l’eccezione è confermata la regola

Inammissibili le censure introdotte per la prima volta in appello

_1043.jpg

Le nuove censure che il contribuente introduca per la prima volta in appello, richiamandosi a situazioni non evocate in primo grado, comportano l’esame di una nuova causa petendi, incorrendo, pertanto, nel divieto previsto dall’articolo 57 del Dlgs n. 546/1992, in forza del quale, nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove né nuove eccezioni e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Questo è quanto deciso dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 17059 del 26 luglio 2006.

Il fatto
Il contribuente propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva rettificato sinteticamente il reddito, ai sensi dell’articolo 38, comma 4, Dpr n. 600/73, chiedendone la nullità per intervenuto condono. La Commissione tributaria provinciale respinse il ricorso.

In secondo grado, l’appellante dedusse la nullità dell’avviso di accertamento in quanto fondato su elementi insufficienti.
L’ufficio, costituitosi, chiese allora che l’appello venisse dichiarato inammissibile, considerato che l’eccezione posta dal contribuente, con cui deduceva la nullità dell’avviso di accertamento per violazione del predetto articolo 38, non era stata sollevata in primo grado, sede in cui il contribuente aveva unicamente opposto l’intervenuto condono.

La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello del contribuente e, di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per avere ignorato quanto dedotto in appello.

La sentenza
La Cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, ribadendo il principio secondo cui non è possibile proporre domande o eccezioni nuove nelle fasi successive al primo grado.
A tal proposito, è opportuno precisare brevemente che il primo comma dell’articolo 57 del Dlgs n. 546 del 1992, concernente “domande ed eccezioni nuove”, prevede che “nel giudizio di appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio”. Possono, tuttavia, essere chiesti gli interessi maturati dopo la sentenza impugnata. Il secondo comma della medesima disposizione dispone che “non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio”.

Con riferimento al citato articolo, la circolare ministeriale n. 98/E del 23/4/1996, ha precisato che, pur non essendo possibile proporre domande nuove non proposte in prima istanza, è consentito al giudice di appello pronunciarsi su domande proposte in prime cure sulle quali il giudice non si sia pronunciato.
Per verificare quando si è in presenza di una domanda nuova, occorre fare riferimento agli elementi costitutivi di essa, vale a dire ai soggetti, al petitum e alla causa petendi.

L’eccezione è il mezzo di cui una parte si avvale per contrastare le domande della controparte.
La stessa circolare evidenzia che la proposizione delle eccezioni di merito comporta un ampliamento dell’oggetto del giudizio, cosa vietata in quanto la nuova eccezione comporta un ampliamento del thema decidendum derivante dalla conoscenza da parte del giudice di appello di fatti nuovi rispetto a quelli prospettati in prima istanza.

Tanto precisato, i giudici di legittimità, uniformandosi all’indirizzo rilevabile nelle sentenze n. 9754 del 18/6/2003 e n. 4335 del 26/3/2002, hanno ribadito che il giudizio tributario è caratterizzato da “un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti”.
Ciò comporta, conclude la Corte, che le nuove censure che il contribuente introduca per la prima volta in appello, richiamandosi a situazioni non evocate in primo grado, comportano l’esame di una nuova causa petendi, incorrendo, pertanto, nel divieto previsto dal sopra menzionato articolo 57 del Dlgs 546/1992.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/leccezione-e-confermata-regola