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Giurisprudenza

Legittime le ritenute sulle somme risarcitorie

Per la Consulta la questione di incostituzionalità è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza

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Nel corso di un giudizio promosso da un contribuente nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso della ritenuta d'acconto effettuata ai fini dell'Irpef dal suo datore di lavoro, la Commissione tributaria provinciale di Grosseto ha sollevato, con ordinanza del 10 marzo 2004 , in riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, con il quale il regime della tassazione separata previsto dall'articolo 16, comma 1, lettera a), del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, viene esteso ai redditi riguardanti "le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro".

Il giudice rimettente ha premesso che il contribuente aveva stipulato con il suo datore di lavoro una transazione concernente la risoluzione del rapporto di lavoro, in forza della quale erano state attribuite al lavoratore, a titolo di risarcimento, somme sulle quali il datore di lavoro, quale sostituto d'imposta, aveva operato la ritenuta d'acconto ai fini dell'Irpef.

La Commissione tributaria ha ritenuto rilevante la sollevata questione, "poiché ove la norma di cui sopra venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, non vi sarebbe alcun titolo per l'Ufficio a ritenere le somme detratte a suo tempo dal sostituto di imposta per il semplice motivo che l'indennità attribuita [...] a titolo risarcitorio non sarebbe comunque imponibile e per l'effetto non è quindi possibile decidere la causa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, essendo proprio questa la questione prospettata dal ricorrente e l'unico motivo di ricorso".
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente ha assunto che la norma denunciata, nell'assoggettare a imposta le somme percepite quale ristoro per un licenziamento illegittimo, si porrebbe in contrasto:

  1. con le norme della Costituzione che tutelano il lavoro (articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38)
  2. con le norme di legge che esentano il processo del lavoro da imposte e tasse
  3. con il principio di capacità contributiva, di cui all'articolo 53 della Costituzione, data la natura risarcitoria di tali somme, "versate quale ristoro di una perdita (del posto di lavoro, della relativa retribuzione, ecc...)".

Nel giudizio incidentale di costituzionalità è intervenuto il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza della sollevata questione. La difesa erariale, quanto alla manifesta inammissibilità della questione, ha osservato:

  1. che l'imponibilità delle somme transattivamente percepite dal lavoratore dipendente quale risarcimento di un danno da lucro cessante e a definizione di una controversia concernente la cessazione del rapporto di lavoro non è stata introdotta dalla norma denunciata, ma è prevista dal combinato disposto degli articoli 6, comma 2, e 48 del Dpr 917/86, che non forma oggetto di censura
  2. che l'accoglimento della questione non inciderebbe sul disposto del parimenti non censurato articolo 16, comma 1, lettera i), del Dpr 917/86, che assoggetta a tassazione separata, in via generale, anche i proventi specificamente elencati nella norma denunciata.

Quanto alla manifesta infondatezza, l'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto:

  1. che le somme oggetto della transazione in esame, attenendo al ristoro del lucro cessante e non del danno emergente, conservano, sul piano dell'idoneità a esprimere una capacità contributiva, la medesima natura delle retribuzioni percepite per effetto della regolare prestazione del lavoro, senza che, pertanto, il loro assoggettamento a imposta comporti alcuna violazione dell'articolo 53 della Costituzione
  2. che le norme che esentano il processo del lavoro da imposte e tasse non costituiscono un idoneo tertium comparationis, perché tali esenzioni riguardano imposte d'atto concernenti l'esercizio del diritto di agire in giudizio, mentre il giudizio a quo ha a oggetto l'imposizione diretta di un reddito di lavoro o a questo assimilabile.

In definitiva , la Commissione tributaria provinciale di Grosseto ha dubitato, in riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'articolo 32, comma 1, lettera a), del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, con il quale il regime della tassazione separata previsto dall'articolo 16, comma 1, lettera a), del Dpr 917/86, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, viene esteso ai redditi riguardanti "le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro".

La Consulta, con ordinanza n. 292 del 19 luglio 2005, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32, comma 1, lettera a), del decreto legge 41/95, convertito, con modificazioni, dalla legge 85/95, sollevata, in riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto con l'ordinanza citata.
In particolare l'iter logico giuridico adottato dal giudice delle leggi può così essere puntualizzato:

  • il giudice a quo è stato chiamato a decidere sull'impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso, formulata da un lavoratore nei confronti dell'erario, della ritenuta d'acconto ai fini dell'Irpef effettuata dal datore di lavoro, quale sostituto d'imposta, sulla somma dallo stesso corrisposta in via transattiva a titolo di risarcimento del danno per la chiusura di una lite concernente il rapporto di lavoro
  • il rimettente ha motivato la rilevanza della sollevata questione affermando che, ove la norma denunciata venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, "non vi sarebbe alcun titolo per l'Ufficio a ritenere le somme detratte a suo tempo dal sostituto di imposta", in quanto "l'indennità attribuita [...] a titolo risarcitorio non sarebbe comunque imponibile"
  • tale affermazione è errata, in quanto l'assoggettamento all'Irpef delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno consegue non dalla norma censurata, bensì dall'articolo 6, comma 2, primo periodo, del Dpr 917/86, il quale, nel classificare i redditi imponibili, stabilisce che "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi [...] e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti", integrato, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, dall'articolo 48, comma 1, primo periodo, dello stesso Dpr, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, il quale a sua volta prevede che "il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro"
  • la disposizione denunciata, come sopra osservato, si limita a estendere il più favorevole regime della tassazione separata alle somme corrisposte a titolo risarcitorio, considerate imponibili dal combinato disposto dei citati articoli 6, comma 2, primo periodo, e 48, comma 1, primo periodo, del Dpr 917/86; pertanto, l'accoglimento della sollevata questione non avrebbe alcuna incidenza nel giudizio a quo e, in particolare, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, non comporterebbe il rimborso della ritenuta d'acconto chiesta in restituzione all'erario; di conseguenza, la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza (vedi, ex plurimis, sentenza n. 372 del 2003 e ordinanza n. 297 del 2000).


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