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Giurisprudenza

Legittimo il ricalcolo del reddito
se agli studi segue il contraddittorio

All’ufficio spetta dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto per l’accertamento, al contribuente la possibilità di provare le condizione che giustificano l’esclusione da tale modello

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Il calcolo del reddito basato sullo studio di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idoneo a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per l’accertato, di fornire la prova contraria sia in fase predibattimentale che in sede contenziosa. Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 23252 del 18 settembre 2019.

Il fatto
Nel 2009 un contribuente, esercente attività di vendita all’ingrosso di materiale elettrico, ha impugnato innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli un avviso di accertamento relativo all'anno d’imposta 2003, con il quale l'Agenzia delle entrate, in conseguenza delle gravi incongruenze emerse nella gestione dell’impresa e dell’antieconomicità della stessa ha accertato un maggior reddito d'impresa pari a 35.214 euro.
In occasione del giudizio di primo grado, il ricorrente ha contestato la circostanza per cui l’accertamento era stato effettuato mediante l’utilizzo degli studi di settore: questi ultimi, avendo valore di presunzioni semplici, per poter rappresentare prova di maggior reddito avrebbero dovuto essere assistiti da ulteriori elementi probatori, caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, che nel caso di specie mancavano totalmente. D’altro canto, il medesimo ricorrente ha evidenziato come, nella zona commerciale in cui era svolta l'attività d'impresa, erano stati aperti numerosi “megastore” che commercializzavano prodotti elettrici e che il suo esercizio commerciale neppure disponeva di beni strumentali.

La Ctp ha accolto il ricorso.
Il Collegio di primo grado ha osservato che l’avviso di accertamento risultava basato esclusivamente sulle incongruenze di gestione riscontrate, mentre sarebbe stato necessario che l'Amministrazione finanziaria avesse fornito, in relazione a un accertamento emesso ai sensi dell’articolo 62-sexies del Dl n. 331/1993, ulteriori elementi idonei a dimostrare l'effettivo conseguimento di un maggior reddito da parte dell'impresa.

L'Agenzia delle entrate ha proposto appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, insistendo sulla legittimità del proprio operato.
La Ctr ha accolto il gravame dell’ufficio.
I giudici d’appello hanno rilevato, tra l'altro, che:

  • le gravi incongruenze evidenziatesi a seguito dell'applicazione dello studio di settore hanno comportato la non coerenza il margine operativo lordo
  • il contribuente ha ricevuto l’invito al contraddittorio, ma, in tale occasione, non ha fornito giustificazioni idonee a valutare diversamente i valori accertati.

Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della decisione adottata dalla Commissione tributaria regionale di Napoli. L'Agenzia ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo il contribuente ha lamentato erronea o falsa applicazione dell’articolo 62-sexies del Dl n. 331/1993, nonché degli 39, comma 1, del Dpr n. 633/1972 e 54 dello stesso decreto anche in relazione al profilo del vizio di motivazione
Mediante il secondo motivo di ricorso, il contribuente ha criticato la decisione adottata dalla Ctr della Campania per non aver considerato e motivato, l'inapplicabilità dei parametri adottati al caso concreto in relazione all'effettiva realtà dell'impresa e ha contestato la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell'articolo 360 cpc, n. 5, relative al riparto dell'onere probatorio incombente sull'ente impositore.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la Ctr “non si è pronunciata sull'eccezione sollevata dal ricorrente circa la mancanza di valido contraddittorio”.

La decisione
La Corte di cassazione – rifacendosi a quanto già espresso nella sentenza n. 3415/2015 – ha, innanzitutto, ribadito il principio secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l'onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell'applicabilità dello "standard" prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”.

I giudici di cassazione hanno, inoltre, rammentato che la legittimità dell'accertamento tributario fondato sugli studi di settore è stato confermato anche in sede sovranazionale (cfr Cgue 21.11.2018 in causa C-648-16).
L'onere della prova fra le parti risulta, dunque, così ripartito: all'ente impositore spetterà la dimostrazione dell'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell'accertamento, mentre al contribuente farà carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possano essere applicati tali standard o della specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo cui l'accertamento si riferisce.

Nel caso di specie, il contribuente non ha contestato l’applicabilità dello studio di settore alla concreta attività d'impresa da lui svolta, ma ha chiesto di valutare anche elementi peculiari della specifica realtà aziendale, che a suo parere inducono a ritenere inapplicabile lo studio di settore, almeno in assenza di correttivi. In particolare, egli ha affermato che l'impresa svolgeva una attività commerciale di vendita all'ingrosso di materiale elettrico, espletata con apporto prevalentemente personale e, talvolta, con l'ausilio occasionale ed estemporaneo di familiari in un contesto territoriale fortemente concorrenziale, per via della grande distribuzione organizzata di prodotti elettrici e di materiale elettronico.

I giudici di legittimità – richiamando i precedenti espressi nelle sentenze nn. 27617/2018 e 21754/2017 – hanno specificato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest'ultimo ha la facoltà di contestare l'applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l'ufficio, ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte, a integrare la motivazione dell'atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento.

Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l'ufficio non è tenuto a offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri.
Alla luce di queste considerazioni è stato ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio che, una volta instaurato il contraddittorio con il contribuente ha poi notificato l'avviso di accertamento fondandolo sulle risultanze degli studi di settore, in assenza di un'attività di allegazione e prova da parte del contribuente.
Ancora, è stato affermato che “l'omessa partecipazione attiva al contraddittorio predibattimentale del soggetto destinatario dell'accertamento tributario…non gli impedisce di far valere le proprie ragioni in fase contenziosa, ma deve allegare e provare elementi che siano sufficienti a vincere le presunzioni legali che…assistono l'operato dell'ente impositore e sono comunque idonee a fondare, anche da sole, la validità dell'accertamento” come correttamente affermato dalla decisione impugnata la quale ha comunque rilevato la circostanza per cui, in sede di contraddittorio predibattimentale, il contribuente non ha fornito giustificazioni idonee a valutare diversamente i valori accertati.

La Corte suprema ha, dunque, espresso il seguente principio di diritto: “Il calcolo del reddito effettuato mediante lo studio di settore, a seguito dell'instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idoneo ad integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare valido fondamento all'accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per l'accertato, di fornire la prova contraria, in fase predibattimentale ed anche in sede contenziosa”.

Pronunciandosi sul terzo motivo di ricorso, i giudici hanno occasione di affrontare, seppure incidentalmente, anche alcuni interessanti aspetti di natura processuale.
Il ricorrente lamenta alla Ctr, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, di non essersi pronunciata sulla contestazione relativa alla mancata instaurazione, da parte dell'Agenzia delle entrate e in suo favore, di un contraddittorio “valido”. Sul punto la Corte ha rilevato che, se avesse inteso censurare l'omessa pronuncia su una propria domanda, il ricorrente avrebbe dovuto invocare il disposto di cui all'articolo 360 cpc, comma 1, n. 4. Il ricorrente afferma che “al contribuente, in corso di contraddittorio, è stato solo chiesto di aderire o meno all'avviso impugnato, mentre gli è stata preclusa la facoltà di addurre le proprie ragioni e controdeduzioni”.
In un giudizio di natura impugnatoria, quale è per eccellenza quello di cassazione” viene osservato che “il ricorrente ha l'onere di indicare in quali atti del giudizio di merito ha proposto le proprie censure, segnalando anche, almeno in sintesi, le formule utilizzate, non mancando di indicare mediante quali atti processuali abbia diligentemente coltivato le sue contestazioni, evitando di incorrere in preclusioni e decadenze, consentendo in tal modo a questa Corte di legittimità di svolgere uno dei compiti che le sono attribuiti, provvedendo a verificare tempestività e congruità delle contestazioni proposte, ancor prima di procedere a valutarne la decisività”. Alla luce di ciò, nel caso di specie, l'affermazione del contribuente secondo cui gli sarebbe stato precluso l'accesso a un reale contraddittorio non risulta supportata da alcun ulteriore elemento, dal momento che egli non ha illustrato chi o che cosa gli abbia impedito di esporre le proprie ragioni. Il ricorrente si è limitato ad affermare che gli è stato proposto di aderire o meno all'avviso impugnato, ma non ha chiarito in qual modo gli sia stato impedito di illustrare le ragioni per cui non aveva ritenuto di aderire e neppure ha illustrato quali argomenti avrebbe inteso far valere in quella sede.

Osservazioni
L’ordinanza in commento si pone nell’ambito di un filone giurisprudenziale ormai consolidato in base al quale are opportuno rammentare la sentenza n. 4151/2016 in base alla quale “la procedura di accertamento tributario standardizzato – mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore – costituisce un sistema unitario che non si colloca all'interno della procedura di accertamento, di cui all'art. 39 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, ma la affianca, essendo indipendente dall'analisi delle scritture contabili, la cui regolarità non impedisce l'applicabilità dello standard”.
L'efficacia probatoria della determinazione induttiva dei ricavi che deriva dall’applicazione degli studi di settore non richiede che l'amministrazione sia tenuta ad un’ulteriore attività rispetto a quella che consiste nell'applicare al contribuente lo studio corrispondente alla categoria di inclusione.
L'idoneità dello strumento parametrico, ai fini di legittimare l'accertamento di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, non discende, invero, ex se, dalla mera applicazione dello studio di settore, costituendo, in realtà, gli studi di settore semplici estrapolazioni statistiche di indici di una normale redditività, “ma nasce solo in esito al contraddittorio con il contribuente, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento”. In quella sede, il contribuente ha la facoltà di provare “la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area di applicazione degli standard o la specificità della sua attività economica nel periodo considerato", fermo restando che, "se si astiene dal prendere parte al contraddittorio, assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli standard, dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito”.
Infine, con la sentenza/ordinanza n. 14787/2015 la Corte di cassazione ha sottolineato che: “i parametri o gli studi di settore previsti dall'art. 62-sexies del D.L. n. 331/93, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono i dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da part dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, ex artt. 39, primo comma lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, comma secondo, D.P.R n. 633/72, sicché, fermo restando che il relativo procedimento presuppone l'attivazione del contraddittorio con il contribuente, l'ufficio non è tenuto ad assolvere nessun ulteriore onere probatorio per dimostrare la legittimità della propria pretesa”.

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