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Giurisprudenza

L’elusione alloggia in hotel

Ai fini del Registro, configura cessione d’azienda l’alienazione di tutte le quote di una società, successivamente alla sua costituzione, avvenuta con il contestuale conferimento di un albergo

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All’atto di costituzione di società, con contestuale conferimento di azienda (alberghiera), e successiva cessione dell’intera quota di partecipazione, si rende applicabile l’articolo 20 del Dpr 26 aprile 1986, n.131, con esclusivo riferimento agli effetti giuridici che l’atto è oggettivamente idoneo a produrre; con la conseguenza che una pluralità di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva.

Il fatto
A partire dall’anno 2003, l’ufficio locale di Rimini ha posto in essere una sistematica attività di controllo ai fini dell’imposta di registro, avente a oggetto le cessioni di aziende alberghiere. In particolare, l’esame critico degli atti del registro aveva messo in luce il diffuso utilizzo di una articolata modalità contrattuale, utilizzata dai contribuenti per le cessioni di tali aziende.
Si era, infatti, riscontrato che i soggetti che intendevano cedere l’azienda alberghiera, anziché effettuare la cessione diretta della stessa, procedevano secondo le seguenti modalità:

  1. il contribuente che intendeva alienare l’hotel di proprietà costituiva una società con uno o più familiari e, a copertura della quota di capitale sottoscritta, conferiva la propria azienda
  2. successivamente, i soci della neo-costituita società cedevano a un terzo, normalmente in tempi molto ristretti, la totalità delle loro quote di partecipazione.

In tal modo, le parti perseguivano lo scopo di tassare le operazioni di conferimento e di cessione di quote a tassa fissa, in luogo della tassazione prevista per la cessione d’azienda (imposta di registro proporzionale più ipotecarie e catastali per l’immobile, imposta di registro proporzionale per il rimanente valore attribuito all’azienda).
Tale modalità di trasferimento non rappresenta certo una novità nel panorama nazionale, ma a Rimini, territorio ad altissima vocazione turistica, il fenomeno aveva assunto dimensioni sicuramente rilevanti, con particolare riferimento alle aziende alberghiere.

Dall’attività di controllo dell’ufficio sono scaturiti numerosi avvisi di liquidazione, molti dei quali, tra cui quello oggetto della sentenza in commento, sono stati impugnati dai contribuenti.
Nel caso su cui si è pronunciata la Commissione tributaria regionale di Bologna, il titolare dell’azienda alberghiera aveva costituito, in data 2/5/2001, una società in accomandita semplice, con contestuale conferimento dell’azienda e, pochi giorni dopo, il 24/5/2001, era stata ceduta la totalità delle quote di partecipazione ad altri soggetti.

L’ufficio ravvisava nel comportamento posto in essere un intento elusivo, sostenendo che con il ricorso ad atti distinti, ma riconducibili a una causa unitaria, le parti avevano realizzato operazioni che configuravano gli effetti giuridico-tributari della cessione d’azienda; di conseguenza, richiamato l’articolo 20 del Dpr 131/86, con avviso di liquidazione riqualificava gli atti de quibus come cessione d’azienda, recuperando le imposte di registro, ipotecarie e catastali.

Sul ricorso proposto dai contribuenti, la Ctp, con la sentenza n. 102/03/2004 del 9 giugno 2004, si pronunciava a favore delle parti, richiamandosi a sentenze della Cassazione (n. 75/87 e n. 6902/88) secondo cui l’indagine diretta a stabilire il contenuto dell’atto presentato per la registrazione, e a individuare gli effetti che esso è idoneo a produrre, in relazione ai quali va determinato e liquidato il tributo, deve essere condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale, non essendo consentita la modifica delle risultanze attraverso la considerazione di elementi intenzionali, non emergenti dal documento, e di fatti o atti desunti aliunde.

Avverso la sentenza di primo grado, l’ufficio proponeva appello sostenendo le tesi alla base dell’avviso di liquidazione, e facendo rilevare che la pronuncia della Ctp aveva accolto il ricorso non tenendo conto dell’evoluzione della giurisprudenza di Cassazione in ordine all’interpretazione degli atti e alla portata applicativa dell’articolo 20, Dpr 131/86, che impone di tassare ogni atto in base alla sua intrinseca natura e agli effetti giuridici che esso è oggettivamente idoneo a produrre, ancorchè essi non corrispondano al titolo e alla forma apparente.

Infatti, rilevava l’ufficio, la Suprema corte, con la sentenza n. 2713 del 25 febbraio 2002, riprendendo un orientamento già espresso nella sentenza n. 14900 del 23 novembre 2001, aveva affermato che “in tema di imposta di registro, la prevalenza che l’art. 20 del Dpr n. 131/86 attribuisce, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente – in uno o più atti, e perciò il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali. Ne consegue che una pluralità di negozi strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva”.

Secondo l’ufficio, inoltre, il medesimo principio era stato ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 10660 del 7 luglio 2003, in una fattispecie relativa a due atti di alienazione, uno di vendita di immobile e l’altro di cessione di azienda, in ordine ai quali l’ufficio finanziario, per la strumentalità del bene immobile all’impresa esercitata in esso dalla venditrice, assumeva il collegamento negoziale elusivo della disciplina tributaria della cessione d’azienda. Con la citata decisione, la Corte aveva cassato la sentenza della Ctr affermando che “il richiamo all’autonomia dei soggetti ed ai requisiti del negozio non può valere ad escludere la rilevabilità fiscale degli effetti economici della regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali”.

Censurando il convincimento dei giudici di merito, proseguiva la Corte “nessun valore assorbente può conseguentemente essere attribuito alla diversità dell’oggetto e di causa per negare la ricollegabilità di due contratti ad un unico procedimento negoziale frazionato sostanzialmente elusivo di una fattispecie tributaria e per disconoscere l’efficacia degli elementi desumibili dal collegamento soggettivo, temporale e funzionale delle varie disposizioni ad evidenziare il nesso intercorrente fra le diverse prestazioni e l’unicità dell’intento negoziale”.

La sentenza
La Commissione tributaria tegionale di Bologna, con la sentenza n. 34/10/06 del 4 dicembre 2006 (depositata il 17 gennaio 2007), ha accolto l’appello dell’ufficio sulla base del principio enunciato dalla Suprema corte nella sentenza n. 2713 sopra citata, secondo cui, in applicazione dell’articolo 20 del Dpr 131/86, una pluralità di negozi strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico devono essere considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario.

Nel caso di specie, osserva la Commissione, “non può dunque negarsi l’esistenza del collegamento fra i negozi giuridici che debbono essere produttivi di un unico effetto giuridico, nonostante l’affermazione contraria dei contraenti, che sostengono che in nessuno dei due atti è contenuta la volontà di alienare l’azienda alberghiera”; infatti, proseguono i giudici, “considerando che l’azienda alberghiera era in esercizio da parte del venditore e che tale esercizio è continuato da parte dell’acquirente, non possono esservi dubbi che oggetto degli atti negoziali è stato proprio quel complesso di beni organizzato dal venditore per l’esercizio di un’impresa alberghiera”.

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