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Giurisprudenza

L'esistenza non è prova di inerenza

Spetta al contribuente dimostrare che il costo sostenuto è relativo all'attività produttiva

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Il fatto
Una società di capitali ricorre contro l'Amministrazione finanziaria per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale, con la quale i giudici di secondo grado hanno affermato che le "note spese" dei dipendenti non costituiscono prova idonea a documentare l'esistenza e l'inerenza delle spese, dal momento che la produzione del semplice documento non prova, di per sé la sussistenza del requisito della inerenza.
La società denuncia, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell'allora vigente articolo 74 del Dpr n. 917/1986, in quanto, erroneamente e con motivazione generica, la Commissione tributaria regionale ha affermato che la società non ha dimostrato il collegamento funzionale delle spese di rappresentanza con l'attività di impresa.

Diritto e motivi della decisione
La Corte di cassazione non accoglie il ricorso del contribuente, confermando così l'operato della Commissione tributaria regionale, poiché la prova dell'inerenza dei costi deve essere fornita da chi trae vantaggio, secondo i principi generali in tema di onere della prova.
Secondo i giudici, la naturale contrapposizione di interessi fra datore di lavoro e dipendente non gioca in questo caso, "perché è ben ipotizzabile un accordo elusivo" tra i due, per rimborsare al secondo spese voluttuarie, estranee all'attività di impresa, così da dedurne i costi e, nel contempo, erogare compensi fuori busta, sottraendoli alle ritenute fiscali e previdenziali.
I giudici di merito, infatti, "non hanno ritenuto che le note spese non fossero di per sé idonee a dimostrare l'inerenza del costo"; ma la documentazione delle spese ne dimostra solo l'esistenza, non necessariamente l'inerenza, che è requisito ulteriore perché diventi un costo deducibile.

La Corte richiama un precedente pronunciamento - sentenza n. 14570/2001 - con cui aveva già avuto modo di affermare il principio secondo cui "perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l'esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l'inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall'imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l'importo, la ragione della stessa".

Anche in ordine alle doglianze di parte circa il recupero delle spese di rappresentanza (confermato dai giudici di secondo grado), la Corte di cassazione ritiene che le censure mosse siano infondate. Il punto in discussione non è la qualità della spesa (tradizionale o meno), ma il fatto che l'impresa "deve provare che la spesa sostenuta (non importa per fare cosa) avesse tale finalità". Nella specie, la società ricorrente non ha fornito tale prova né in secondo grado, né in sede di legittimità.

Analisi del pronunciamento
Gli uffici fiscali si preoccupano, in sede di controllo, di intercettare tutti quei costi che - pur regolarmente indicati in contabilità - potrebbero interessare la sfera privata dell'imprenditore; ciò si verifica più frequentemente nelle aziende di piccole e medie dimensioni, essendo, in quelle grandi, più marcate le differenze di ruolo tra management e proprietà.
La sentenza in commento si inserisce, quindi, in quel filone giurisprudenziale - da ritenere ormai costante e maggioritario - che, nel "validare" i recuperi effettuati dall'Amministrazione, afferma che grava sul contribuente l'onere di dimostrare l'inerenza di una spesa all'esercizio dell'impresa e, quindi, la deducibilità, delle somme versate, dal reddito (si segnala, da ultima, la sentenza n. 3109 del 19 dicembre 2005, depositata il 13 febbraio 2006).

Tale pronunciamento ben si adatta, perciò, a tutte le circostanze in cui la parte si limita a contestare il rilievo dell'ufficio, senza provare ciò che afferma. Non basta affermare che il costo si riferisce all'esercizio dell'impresa, ma occorre provare l'inerenza dello stesso.
Del resto, la stessa Amministrazione, attraverso la circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, nel fornire i chiarimenti in ordine all'armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali in materia di reddito di lavoro dipendente e assimilati, occupandosi di tutta la problematica relativa alla documentazione, aveva fissato lo stesso principio: il costo, superato il test della documentazione, deve essere inerente all'esercizio dell'impresa, nel rispetto delle regole del Testo unico.

Infine, in senso conforme all'indirizzo giurisprudenziale, che si è prima definito univoco(1), si attesta anche la migliore dottrina, che ha avuto modo di affrontare la problematica(2), sostenendo che, in ipotesi come quella descritta dalla sentenza in esame, "di fronte a spese di dubbio collegamento con l'attività aziendale, è il contribuente a dover addurre le circostanze che spiegano il costo nella logica imprenditoriale".

Tuttavia, questa decisione della Suprema corte va oltre il semplice e generico richiamo ai "precedenti". Forse per la prima volta, in ipotesi del genere, si parla di "accordo elusivo", per erogare fringe benefit non tassati.
Da questo punto di vista, la questione non interessa più solo piccole e medie imprese: si pensi all'autovettura data in uso all'amministratore, all'appartamento dato in uso al dipendente, eccetera.
In pratica, attraverso accordi trasversali (interesse reciproco dell'azienda e del dipendente non far emergere l'imponibilità di tali fattispecie), si pongono a carico della società costi che andrebbero tassati.
Ragione in più, quindi, per sostenere il principio in base a cui solo l'azienda può superare il convincimento dei verificatori, provando l'effettivo nesso fra costo e impresa.

NOTE
1. cfr Cassazione, sentenze n. 12330/2001, 11514/2001 e 16198/2002.

2. Crovato-Lupi, Il Reddito d'impresa, Il Sole24ore, Milano, 2002, pagina 93.

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