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Giurisprudenza

I limiti del giudizio di legittimità e l'autosufficienza del ricorso per cassazione

Nella sentenza n. 11801/2004 le precisazioni della suprema Corte, anche in tema di spese di lite

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La sentenza n. 11801 del 24/06/2004 della Corte di cassazione va segnalata all'attenzione dell'operatore tributario in quanto ha precisato, con esauriente motivazione, i limiti del giudizio di legittimità, anche in tema di spese di lite.
Secondo la suprema Corte "Nel giudizio di cassazione - che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte (Cass. n. 9097/2002) - non sono consentiti la proposizione e l'esame di (ancorché eventualmente rilevabili in ogni stato e grado del giudizio) nuove questioni di diritto quando queste presuppongono o comunque richiedano nuovi accertamenti in fatto (Cass. n. 16067/2002; Cass. n. 9812/2002); nel giudizio di legittimità, quindi, non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto e di temi di contestazione diversi da quelli proposti nel giudizio di merito, salvo che si tratti di questioni rilevabili d'ufficio ovvero, nell'ambito delle questioni trattate di profili nuovi di diritto, ma sulla premessa che le nuove questioni e i nuovi profili di diritto si debbano considerare compresi nel dibattito, perché fondati sugli elementi di fatto già dedotti (Cass. n. 13470/2002).
Ove, poi, una determinata questione - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza(1) del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazioni non trattati nella fase di merito né rilevabili d'ufficio (Cass., sez. 3, sent. n. 10902/2001). E' inammissibile la prospettazione di una situazione di fatto, allegata per la prima volta in sede di legittimità, ma non indicata nell'atto impugnato e mai sottoposta al giudice del merito il quale non è stato posto in condizione di esprimere nessun giudizio sia in ordine all'esistenza che alla rilevanza giuridica della stessa. Il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi senza obbligo di specificarli e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione atteso anche che in ordine al provvedimento di compensazione delle spese per la ritenuta sussistenza di giustificati motivi non opera il principio secondo cui ogni provvedimento deve essere motivato; l'esistenza di ragioni che giustificano la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali.
La valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica motivazione restando perciò incensurabile in sede di legittimità
".

Limiti del giudizio di cassazione
Il ricorso in cassazione è ammesso solo avverso gli errori di diritto contenuti nella sentenza che possono essere di due tipi:
a) errores in iudicando, che sono gli errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto
b) errores in procedendo (ad esempio, mancata comunicazione dell'avviso di trattazione), che sono gli errori di carattere procedurale.
Per gli errores in procedendo la Cassazione è giudice anche del fatto.

Non possono essere prospettati per la prima volta, in sede di ricorso per cassazione, questioni nuove o temi nuovi d'indagini non compiuti perché non richieste in sede di merito (Cass., sent. n. 5106/95).
L'accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto comporta rinvio in secondo grado solo se debba procedersi a ulteriori accertamenti(2) di fatto (ad esempio, occorre ripetere mezzi di prova già assunti in sede di merito, occorre assumere prove prima non esperite).
Non è consentito il mero rinvio alle difese già svolte nei precedenti gradi di giudizio e non possono essere sollevate questioni non proposte di fronte al giudice di merito.
Se è denunciato un vizio di giudizio, la Corte non può censurare gli apprezzamenti di fatto compiuti dal giudice che attengono al merito della causa.

L'interpretazione di un avviso d'accertamento effettuata dal giudice di merito costituisce una valutazione di fatto che è sottratta al controllo di legittimità qualora sia immune da vizi logici e giuridici e non violi norme giuridiche (in tal senso, Cassazione, sentenza n. 14482 del 29/09/2003).
L'attività volta ad accertare se una specifica dichiarazione, a firma illeggibile e sfornita di sigillo, sia imputabile al titolare dell'ufficio e quindi dell'organo e sia atto amministrativo esistente, costituisce accertamento di fatto precluso al giudice della legittimità (Cassazione, sentenza n. 09779 del 18/06/2003).

Non risulta consentito, in sede di legittimità, sollevare nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo, in tutti i casi in cui esse presuppongono e comunque richiedono nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto inibiti alla Corte. In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato alla violazione del principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; esula, pertanto, da tale sindacato e rientra, invece, nel potere discrezionale del giudice del merito, ex articolo 92 c.p.c., la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (da ultimo, Cass. sez. III, 2 agosto 2002, n. 11537; Sez. I, 2 agosto 2002, n. 11597).

La valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della ricorrenza di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica motivazione (Cassazione, sentenza n. 243/2004), restando perciò incensurabile in sede di legittimità, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero che a fondamento della decisione del giudice di merito di compensare le spese siano addotte ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o palese erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale (Cassazione, sentenza n. 2178/02).

La compensazione delle spese per giusti motivi può essere disposta anche nei confronti della parte totalmente vittoriosa, e la valutazione dell'opportunità della compensazione rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, salva la censurabilità della relativa motivazione quando siano addotte ragioni illogiche o erronee (ex plurimis, Cass. 27 aprile 2000, n. 5390, e Cass. 29 aprile 1999, n. 4347).
I giusti motivi(3) della compensazione devono solo essere enunciati senza necessità di un'esplicazione particolareggiata, sicché la sentenza, che giustifichi la pronuncia sul governo delle spese per "giusti motivi", non può essere soggetta a critica in cassazione (Cassazione sez. V, sentenza n. 243 del 12/01/2004).


1. Il ricorso per cassazione deve essere autosufficiente al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la portata delle censure proposta senza dover ricorrere alla lettura di altri atti, ivi compresa la sentenza impugnata, e atteso in particolare che colui che deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata, erronea o illegittima valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere "di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o mal valutate, evidenziando, in particolare, cosa consistessero le circostanze che formavano oggetto della prova e quale ne fosse la rilevanza, nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse" (Cass. sez. II, n. 12080 del 2000; Cass. sez. III, n. 7434 del 2001; Cass. sez. III, n. 7938 del 2001). Il ricorso per cassazione deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sé tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito (Cass. sez. . 3, sentenza n. 01037 del 02/02/1994).
La parte che deduce il vizio di carenza di motivazione ha l'onere di indicare in modo autosufficiente (non solo "per relationem", bensì con specificazione completa e idonea a consentire, attraverso il solo ricorso e senza rendere necessario l'esame degli atti del processo, la chiara e completa cognizione delle argomentazioni) gli elementi di cui lamenta l'omessa o insufficiente valutazione nella loro consistenza materiale, nella loro pregressa indicazione (in sede di merito) e nella loro rilevanza processuale (come potenziale idoneità a condurre a una diversa decisione) al fine di consentire al giudice di legittimità di accertare il verificarsi della carenza e di valutarne la decisività (Cass. sez. l, sentenza n. 04759 del 13/04/2000).
La parte che, in sede di ricorso per cassazione, lamenti vizi di motivazione della sentenza impugnata, ha l'onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, a una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sé tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti e alle risultanze processuali (Cass. sez. 3, sentenza n. 00849 del 24/01/2002).
In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d'appello deve essere autosufficiente, non potendosi fondare sul mero e generico rinvio al ricorso introduttivo, senza neppure alcuna trascrizione del contenuto di quest'ultimo; né può essere affidato a deduzioni meramente generali, astratte e apodittiche, tese più ad assodare affermazioni di principio che a concretamente prendere posizione compiuta - traducendola in specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità - sulle singole conclusioni tratte dalla corte territoriale in relazione alla fattispecie portata al suo esame (Cassazione sez. 1, sentenza n. 17183 del 14/11/2003).
Ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario che il ricorrente indichi in modo autosufficiente, e cioè con specificazione che consenta, attraverso lo stesso ricorso, la chiara e completa cognizione dei fatti e delle argomentazioni, gli elementi trascurati dalla sentenza impugnata, nella loro materiale consistenza, nella loro pregressa deduzione in sede di merito e nella loro processuale rilevanza, intesa quale potenzialità probatoria che consenta di giungere a una diversa decisione. (Cass., sent. 11133 del 11/06/2004).
Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, ha l'onere, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (Cass., sent. n. 1415/02).
E' principio affermato che ai fini della sussistenza del requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto a pena d'inammissibilità per il ricorso per cassazione dall'articolo 366 c.p.c., è necessario che nel contesto dell'atto d'impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perché il giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione dell'oggetto dell'impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti (in tal senso, Cass., sentenza n. 0385 del 14/01/2003). Il ricorso per Cassazione deve contenere, ai sensi dell'articolo 366, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile, l'esposizione sommaria dei fatti di causa. Tale principio può ritenersi osservato anche nel caso in cui sia inserita, nel corpo del ricorso, la fotocopia della sentenza d'appello.
L'esposizione sommaria dei fatti di causa deve considerarsi carente, con conseguente inammissibilità del ricorso, qualora la sentenza impugnata non contenga, a sua volta, una sufficiente indicazione dei fatti della causa rilevanti ai fini della decisione (Cass., sentenza n. 1957 del 3/02/2004).
2. Apice, "Le norme del cpc compatibili ed applicabili nel processo tributario" in Quaderni del Consiglio di Giustizia tributaria n. 4/2002, pag. 402, sottolinea che la fase rescissoria si può svolgere davanti alla stessa Corte di cassazione quando la decisione non comporta ulteriori indagini di fatto.
La Corte di cassazione che decide la causa nel merito in assenza di necessari ulteriori accertamenti di fatto rende una pronuncia con valenza sostitutiva di quella impugnata (in tal senso, Francesco Pistolesi, "L'appello nel processo tributario", Giappichelli 2002, pag. 46).
3. Vd. Angelo Buscema, "Sulla compensazione delle spese processuali nell'ambito del giudizio di cognizione e nell'ambito del giudizio di ottemperanza" in il Fisco n. 39/2004, pag. 6676.

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