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Giurisprudenza

L’institore con “mano libera”
è certo amministratore di fatto

I giudici di legittimità, così come affermato in altre occasioni, hanno dato prevalenza all’aspetto fattuale concreto piuttosto che a quello formale della carica soggettiva

mani aperte
L’institore può essere equiparato all’amministratore “di fatto” e, quindi, rispondere del reato di omessa dichiarazione assieme al titolare dell’impresa, in presenza di una procura institoria “amplissima”.
Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 3890 del 27 gennaio 2017.

I fatti
La Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione con la quale il tribunale della stessa città aveva condannato il titolare di una procura institoria che, al fine di evadere le imposte, non aveva presentato, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali 2005 e 2006 (articolo 5, Dlgs 74/2000).
In particolare, il giudice di primo grado indicava il ricorrente quale responsabile dei reati a lui ascritti sulla base di una procura institoria a lui conferita con atto notarile dalla madre, titolare di una ditta individuale, e con la quale gli venivano attribuiti poteri molto ampi.
La Corte, tuttavia, riteneva che la procura doveva considerarsi di carattere generale, diversamente da quanto riportato nei capi d’imputazione.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, personalmente, non condividendo l’affermazione della sentenza impugnata, perché equiparava alla figura giuridica del mandatario con rappresentanza quella dell’amministratore di fatto. Ha lamentato, quindi, (anche) violazione dell’articolo 606 cpp (in particolare, del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, stabilito dall’articolo 521 cpp e sanzionato con la nullità dal successivo articolo 522 cpp), e dell’articolo 2205 cc. A suo parere, infatti, l’aver interloquito con gli ispettori, fornendo la documentazione richiesta, non poteva costituire un elemento indiziario idoneo a evocare la figura dell’amministratore di fatto, poiché rientrava tra i compiti dell’institore previsti dall’articolo 2205 cc. Inoltre, mancando una contestazione nell’imputazione del concorso con il titolare dell’impresa, risultava evidente la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza.

La Cassazione ha respinto il ricorso e, con riferimento alla ritenuta posizione del ricorrente quale amministratore di fatto e alla mancanza nell’imputazione della contestazione del concorso con l’amministratore di diritto, ha affermato che “… la sentenza impugnata (e in doppia conforme la sentenza di primo grado) con motivazione adeguata ed immune da contraddittorietà e da manifeste illogicità individua nel ricorrente l’amministratore di fatto in relazione alla nomina quale procuratore generale della defunta madre amministratore di diritto…”.

Osservazioni
I giudici di legittimità hanno dato atto che, nel caso al loro esame, la procura institoria concedeva all’uomo tutti i poteri dell’imprenditore, “… ivi espressamente compresi quelli di fare pratiche in via amministrativa presso le autorità governative, regionali ... e fiscali e presentare ricorsi”. È di palmare evidenza che si trattava di una procura institoria amplissima che bene consentiva l’affermata equiparazione con l’amministrazione di fatto.

Per costante giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di reati tributari, la Cassazione ha affermato che, ai fini dell’attribuzione a un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto”, non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (nn. 47239/2016, 22108/2015 e 35346/2013).

La figura dell’amministratore di fatto, inoltre, è legislativamente prevista nell’articolo 2639, comma 1, cc, secondo il quale, per i reati societari, “… al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”. Con la precisazione che “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria (Cassazione, n. 43300/2005).
Si tratta, cioè di poteri che devono estrinsecarsi, comunque, nell’esercizio concreto e con un minimo di continuità delle funzioni proprie degli amministratori o una di esse, coordinata con le altre. Se, quindi, non può essere ritenuto amministratore di fatto sic et simpliciter colui che si ingerisca, genericamente o una tantum, nell’attività sociale, il giudice di merito, invece, non può prescindere dall’esame delle funzioni di rappresentanza i cui effetti si riflettono sull’attività esterna dell’ente (Cassazione, n. 1154/1991). Tali conclusioni valgono anche per i reati tributari.

La Cassazione, oltre che per i reati societari previsti dall’articolo 2629 cc, ha chiarito che l’amministratore di fatto risponde anche di altri reati commessi in tale veste (Cassazione, n. 39535/2012, per i reati fallimentari, e n. 23425/2011, per i reati previsti dal Dlgs 74/2000).
E a prescindere dalla circostanza che la procura fosse speciale o generale. Ma la sentenza non chiarisce tale aspetto, limitandosi ad affermare che l’indicazione della procura speciale del ricorrente, nell’imputazione, aggiungeva un elemento di valutazione del giudice di merito. Probabilmente perché i giudici di legittimità hanno più volte precisato, dando prevalenza all’aspetto fattuale concreto piuttosto che a quello formale della carica soggettiva, che la prova della qualifica di amministratore di fatto può trarsi anche dal conferimento di una procura generale ad negotia quando questa, per l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale (Cassazione, nn. 23031/2016 e 2793/2014), a prescindere dal nomen di amministratore.

Infine, la sentenza impugnata non è risultata viziata neppure dall’assenza di contestazione dei reati all’amministratore di diritto in concorso con il ricorrente, amministratore di fatto.
A tale riguardo, la Corte ha ritenuto non chiaro cosa lamentasse l’imputato. Se, infatti, per consolidato orientamento di legittimità il ruolo di amministratore di fatto vale a qualificarlo come soggetto attivo del reato e, come tale, quale diretto destinatario dei precetti violati, si deve ravvisare nel formale titolare dell’impresa il concorrente che non ha impedito l’evento.
Di conseguenza, l’imputazione in concorso con la madre dell’imputato, deceduta in primo grado e titolare della ditta individuale, e il riconoscimento dell’imputato quale amministratore di fatto della stessa ditta non determinavano la lamentata lesione del contraddittorio proprio per il titolo della contestazione (in concorso ex articolo 110 cp).
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