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Giurisprudenza

L’istanza di collaborazione volontaria
non regolarizza i capitali del defunto

La domanda presentata dopo la successione integra un fatto nuovo e comporta l’applicazione di una maggiore imposta e l’obbligo di presentare una dichiarazione integrativa

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In caso di dichiarazione di successione presentata dall’erede (legittimo o testamentario) prima di avviare la procedura di collaborazione volontaria, l’emersione postuma delle attività finanziarie o patrimoniali detenute all’estero dal defunto, occultate mediante l’artificio dell’interposizione fittizia, e ritrasferite post mortem all’erede dell’interponente, viene a configurare un incremento sopravvenuto dell’attivo ereditario. Tale incremento comporta l’applicazione dell’imposta di successione in misura maggiore e impone la presentazione di una dichiarazione integrativa. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 6081 del 28 febbraio 2023.

I fatti
Un contribuente ha presentato denuncia di successione mortis causa per il padre il 19 luglio del 2007 e ha provveduto a pagare la relativa imposta. Tuttavia, avendo omesso di inserire nell’attivo ereditario i capitali (circa 4.705.444 euro) che il genitore de cuius deteneva all’estero, ha presentato istanza di collaborazione volontaria. Proprio mediante la relazione bancaria prodotta ai fini di tale procedura, dalla quale emergeva sia l’intestazione fittizia dei capitali paterni ad una fondazione avente sede in Vaduz (Liecthenstein) presso un istituto di credito svizzero, sia il trasferimento post mortem dell’importo al figlio in qualità di erede su un conto a lui intestato, l’ufficio è venuto a conoscenza dell’esistenza dell’importo non dichiarato e, il 20 dicembre 2016, ha notificato l’avviso di rettifica al contribuente che lo ha impugnato, lamentando che l’istanza di adesione alla “voluntary disclosure”, non essendo conforme al modello predisposto dal Mef, non poteva essere considerata una dichiarazione fiscale e, quindi, era inidonea a determinare il dies a quo per il computo del termine di decadenza per l’esercizio del potere accertativo.

Di conseguenza l’avviso doveva essere annullato poiché, essendo stato notificato a distanza di circa nove anni dalla presentazione della dichiarazione incompleta, l’amministrazione finanziaria era incorsa nella decadenza per l’esercizio del potere di recupero della maggiore imposta di successione. L’ufficio, invece, ha ritenuto che i fatti emersi a seguito di presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria erano idonei a incardinare un procedimento di accertamento tributario.

Diversamente dal Collegio di primo grado che ha accolto il ricorso, il giudice d’appello, riformando la decisione impugnata, ha affermato, tra l’altro, la necessità, per il contribuente, di regolarizzare l’emersione dei capitali ereditati mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa di successione poiché l’istanza di collaborazione volontaria integrava un fatto nuovo la cui sopravvenienza avrebbe comportato l’applicazione dell’imposta di successione in misura superiore. Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra l’altro, violazione di legge poiché il giudice di appello aveva ritenuto erroneamente che la presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria, comportando l’emersione di capitali esteri pervenuti per successione ereditaria, obbligava l’erede alla presentazione di una denuncia integrativa di successione.

La Corte ha ritenuto infondati i motivi e ha affermato che «la presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria non potesse regolarizzare i capitali detenuti all’estero dal defunto padre e lasciati in eredità al contribuente anche ai fini dell’imposta di successione, ma integrasse un fatto nuovo, la cui sopravvenienza comportava l’applicazione dell’imposta di successione in misura superiore e l’imposizione dell’obbligo di presentare una dichiarazione integrativa» (Cassazione, sentenza n. 6081 del 28 febbraio 2023).

Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati a individuare gli effetti, sulla procedura di collaborazione volontaria, conseguenti al decesso dell’autore della violazione. In particolare, con una motivazione sintetizzabile in sei punti rilevanti, la Cassazione ha esaminato l’incidenza che tale opzione può avere, se esercitata dall’erede, sul trattamento fiscale dell’acquisto per successione a causa di morte degli investimenti e delle attività di natura finanziaria illecitamente costituiti o detenuti all’estero dal de cuius.
La specialità della disciplina in materia di “voluntary disclosure” ne esclude l’applicazione oltre le fattispecie previste dal legislatore, con la conseguenza che l’emersione di nuova ricchezza comporta la necessità di dichiarazione dei nuovi componenti dell’asse ereditario e l’obbligo di versamento della maggiore imposta, dovendo riconoscersi, da una parte. per il contribuente, l’obbligo di presentare dichiarazione integrativa non essendo equiparabile a quest’ultima l’istanza di “voluntary disclosure” e, dall’altra, il potere di accertamento dell’ufficio coerente con i termini correlati alle “sopravvenienze ereditarie.”

Questi, quindi, i punti rilevanti:

1) la “specialità” della disciplina ex articolo 5-quater e seguenti, Dl n. 167/1990, sulla base della quale non si può consentire l’estensione della sua efficacia sanante oltre i limiti segnati dalle violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di Irap e di Iva, nonché per le eventuali violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta. Nonostante già dal tenore letterale della disciplina il campo operativo della “voluntary disclosure” risulti ben delimitato dal legislatore alla sola sfera delle imposte dirette, l’Agenzia ha chiarito che non rientrano nell’ambito oggettivo della procedura e non sono interessate dai relativi benefici, le violazioni dichiarative (anche) in materia di imposta di successione, rispetto alle quali la norma non prevede l’applicazione automatica degli effetti premiali connessi con il perfezionamento della procedura stessa (circolare n. 30/2015)

2) gli obblighi in materia di imposta di successione, sussistenti anche con riguardo ai componenti dell’asse ereditario riconducibili alla procedura di collaborazione volontaria: al di fuori dell’ambito delle imposte dirette, cioè, il contribuente che si sia avvalso della procedura di collaborazione volontaria per l’emersione di capitali detenuti in vita dal proprio genitore (o, comunque, da un qualsiasi dante causa iure hereditario) all’estero, dopo averne acquistato la titolarità per successione (legittima o testamentaria) a causa di morte del medesimo, è comunque soggetto agli obblighi derivanti dal Dlgs n. 346/1990 per il pagamento dell’imposta di successione anche con riguardo a tale componente dell’asse ereditario

3) la necessità di una dichiarazione di successione integrativa della prima incompleta, poiché l’emersione dei capitali detenuti all’estero dal dante causa per interposta persona costituisce, a carico dell’erede il presupposto sia per la rettifica della dichiarazione (originaria o integrativa) incompleta (non essendovi indicazione di tutti i beni e diritti compresi nell’attivo ereditario), sia per la liquidazione della maggiore imposta di successione con i relativi accessori (articoli 34 e 35, Dlgs. n. 346/1990)

4) l’impossibilità di equiparare l’istanza per la collaborazione volontaria quoad effectum ad una dichiarazione integrativa (Cassazione n. 20933/2022). Al di là della carenza dei requisiti formali, che ne comportano la conseguente nullità equivalente all’omissione (articolo 28, commi 3, 6 e 8, Dlgs n. 346/1990), la specifica finalità della dichiarazione di “voluntary” è individuata nella volontà di far emergere i capitali detenuti all’estero, dovendosi escludere in radice, quindi, la possibilità di un suo utilizzo per la finalità, diversa, dell’adempimento diretto di obblighi inerenti ad altre imposte, rispetto ai quali essa può valere al più come mero presupposto della loro insorgenza

5) il termine di decadenza per rettificare la dichiarazione incompleta o infedele (e, di conseguenza, per determinare l’imposta complementare di successione) che, in generale, è di due anni dal pagamento dell’imposta principale come liquidata dall’amministrazione finanziaria a seguito della dichiarazione del contribuente e, cioè, dall’effettivo adempimento dell’obbligazione, comprensivo del versamento dell’ultima rata d’imposta (Cassazione, n. 25007/2015) non opera in maniera assoluta; in particolare, tale termine di integrazione e il parallelo potere di accertamento, visto il peculiare sviluppo della fattispecie in esame, deve essere computato ex art. 31, c. 2, lett. e), ed ex articolo 27, comma 4, Dlgs n. 346/1990 tenendo conto delle “sopravvenienze ereditarie” previste dall’articolo 28, comma 6, Dlgs n. 346/1990. Difatti, per quest’ultima eventualità, l’articolo 31 stabilisce che: «Il termine [di dodici mesi per la presentazione della dichiarazione integrativa] decorre: (…) e) dalla data (…) dell’evento di cui all’art. 28, commi 5 e 6, o dalla diversa data in cui l’obbligato dimostri di averne avuto notizia», e l’art. 27, c. 4, che  «Se è stata omessa la dichiarazione sostitutiva o la dichiarazione integrativa di cui all’art. 28, comma 6, si procede d’ufficio, rispettivamente, alla riliquidazione dell'’imposta o alla liquidazione della maggiore imposta. L’avviso deve essere notificato entro il termine di decadenza di cinque anni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione omessa»

6) la nozione normativa di «evento che dà luogo ad applicazione dell’imposta in misura superiore». Tale nozione può estendersi anche ai beni e ai diritti che, sebbene inclusi nella consistenza originaria dell’asse ereditario per l’appartenenza al de cuius al momento di apertura della successione, siano stati occultati in vita dallo stesso (e, dopo la sua morte, anche dagli eredi) agli occhi dei terzi (ivi compreso il Fisco), attraverso l’escamotage di compiacenti intestazioni (secondo lo schema, ad esempio, della simulazione, dell’interposizione fittizia o reale di persona ovvero del pactum fiduciae) a prestanomi o fiduciari. Di conseguenza l’effettiva e reale appartenenza al defunto (e, quindi, per successione a causa di morte, agli eredi) viene riconosciuta o accertata soltanto dopo l’apertura della successione, quando la consistenza del relictum ereditario sia stata reintegrata con il ripristino della titolarità sui beni e sui diritti celati dal de cuius e restituiti agli eredi.
Nella fattispecie, la Cassazione ha affermato che l’«evento», la cui sopravvenienza avrebbe comportato l’obbligo per l’erede della dichiarazione integrativa e, in caso di inadempienza, il prolungamento del termine di decadenza per l’accertamento dell’amministrazione finanziaria, è venuto coincidere proprio con l’istanza presentata dal contribuente il 15 giugno 2015 per avvalersi della procedura di collaborazione volontaria, dovendosi riconoscere, in tale momento di “emersione” dal precedente occultamento, la piena conoscibilità per l’amministrazione finanziaria dei capitali detenuti all’estero dal defunto padre per interposta persona (la fondazione di diritto liechtensteinese) e ritornati nella piena titolarità dell’erede, anche ai fini dell’assoggettamento ad imposta di successione.

In conclusione, quindi, l’avviso di rettifica e liquidazione è stato tempestivamente notificato al contribuente il 20 dicembre 2016, non essendo ancora decorso all’epoca il termine quinquennale di decadenza (decorrente dal 15 luglio 2015, data di presentazione dell’istanza di “voluntary disclosure”).

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