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Giurisprudenza

L’istanza d’interpello a “cose fatte”
non vincola l’ufficio finanziario

La richiesta di chiarimenti deve necessariamente precedere la condotta tributaria cui si riferisce, altrimenti la risposta non “impegna”, in nessun modo, né fisco né contribuente

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Con sentenza n. 16331 del 17 luglio, la Corte di cassazione ha statuito che “La risposta all’interpello del contribuente è vincolante per l’Amministrazione Finanziaria soltanto se ha preceduto la commissione dell’irregolarità fiscale.
 
Evoluzione processuale della vicenda
Con avviso di rettifica Iva, emesso nei confronti di un’associazione teatrale, l’Amministrazione finanziaria contestava maggiore imposta dovuta per omessa fatturazione di contributi ricevuti in relazione allo svolgimento di attività commerciale.
La contribuente ricorreva dinnanzi alla Ctp, contestando che l’atto impositivo era stato adottato in violazione della risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di interpello dell’associazione ex articolo 11 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente).
 
A seguito dell’accoglimento del ricorso, l’Agenzia ricorreva in appello.
La Commissione tributaria regionale delle Marche accoglieva l’appello, dichiarando legittimo l’avviso di rettifica. I giudici territoriali ritenevano, infatti, che le prestazioni rese dall’associazione ai Comuni associati integrassero lo svolgimento di attività commerciale, in quanto le stesse erano remunerate in parte dagli enti locali in adempimento delle convenzioni stipulate (in conto spese) con l’associazione e in parte con la vendita al pubblico dei biglietti di ingresso agli spettacoli. Quanto all’istanza di interpello, la stessa era stata presentata in data successiva alla omessa fatturazione contestata.
 
Avverso la sentenza di appello l’associazione proponeva ricorso per cassazione, deducendo due motivi: violazione dell’articolo 4, comma 4, del Dpr 633/1972, in quanto la Ctr avrebbe ritenuto che le prestazioni erogate dalla contribuente non fossero riconducibili agli scopi indicati nello statuto dell’ente, e violazione dell’articolo 11, comma 2, dello Statuto del contribuente, in relazione all’articolo 360, n. 3, del codice di procedura civile.
 
Pronuncia della Cassazione
La qualificazione dell’attività commerciale svolta dall’ associazione
Quanto alla qualificazione dell’attività dell’associazione come attività commerciale, la Corte suprema afferma che dalla sentenza impugnata emerge l’esistenza di una convenzione, tra i Comuni e l’associazione, nella quale l’ente associativo assumeva l’obbligazione “della gestione e realizzazione di attività teatrali” dietro versamento da parte dei municipi di “un contributo di quote di partecipazione alle spese”.
Tale rapporto obbligatorio è stato qualificato dai giudici di merito come prestazione di servizi dietro corrispettivo, inquadrabile nell’esercizio di impresa commerciale e, dunque, come operazione assoggettabile a Iva.
 
Gli elementi considerati dal giudice di merito sono ricompresi nello schema giuridico previsto dall’articolo 4, commi 2, n. 2), e 3, del Dpr 633/1972, che assoggetta all’imposta sul valore aggiunto anche le prestazioni di servizi fatte dalle associazioni (che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole) ai propri associati considerandole “in ogni caso effettuate nell’esercito di imprese”.
L’articolo 4, comma 4, del Dpr 633/72, infatti, con riferimento agli enti associativi “che non abbiano per oggetto esclusivo e principale l’esercizio di attività commerciali...”, dispone che “si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati, o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni culturali....anche se rese nei confronti dei rispettivi soci, associati o partecipanti....”.
 
A giudizio della Cassazione, l’associazione ricorrente, da un lato, non ha impugnato la sentenza di appello in relazione a vizio motivazionale sulla rilevazione e valutazione di tale elemento in fatto e, dall’altro, non ha ottemperato all’onere di dimostrare la sussistenza del presupposto che l’attività commerciale di organizzazione e gestione degli eventi teatrali non era svolta in modo esclusivo o principale.
 
Carattere preventivo dell’interpello
Il decreto del ministero delle Finanze 209/2001, in esecuzione dell’articolo 11, comma 5, della legge 212/2000, dispone espressamente:
 
  • all’articolo 1, comma 2, che “il contribuente dovrà presentare l'istanza di cui al comma 1, prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello”
  • all’articolo 3, comma 3, prescrivendo i requisiti di ammissibilità della istanza d’interpello, che “l’istanza deve, altresì, contenere l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare”.
 
A giudizio della Corte suprema, dall’esame delle norme emerge chiaramente che “il carattere preventivo dell’interpello è connaturale alla stessa ratio legis dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente, in quanto mezzo attuativo dei principi di chiarezza, imparzialità, affidamento e cooperazione che informano lo Statuto del contribuente e che convergono verso lo scopo di fornire a quest’ultimo le informazioni indispensabili a conformare la propria attività alla corretta interpretazione delle norme fiscali, nonché di prevenire la insorgenza di controversie tributarie”.
Ne segue, logicamente, che l’acquisizione delle informazioni richieste all’Amministrazione finanziaria deve necessariamente precedere la condotta tenuta dal contribuente nell’esercizio della propria attività economica, solo in tal caso potendo giustificarsi una efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, della interpretazione fornita dall’Agenzia delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta.
 
Diversamente opinando, l’istituto dell’interpello verrebbe a risolversi in una mera richiesta di “consulenza giuridica” avente a oggetto un rapporto tributario già insorto che, se da un lato non potrebbe raggiungere gli scopi voluti dalla norma, dall’altro non potrebbe precludere il potere di accertamento impositivo della pubblica amministrazione, “atteso che la verifica della corretta applicazione della norma che regola lo specifico tributo – si legge in sentenza – deve attuarsi in base allo strumento tipico predisposto dall’ordinamento tributario fondato sull’attività di controllo (ex post) demandata agli Uffici finanziari competenti”.
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