La Ctr ha ritenuto che sussistono i presupposti di legge per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni e, conseguentemente, delle imposte ipotecaria e catastale, precisando che ogni possibile dubbio al riguardo è fugato dalla prescrizione dell'articolo 2, comma 47, del Dl 262/2006, che recita “è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del Testo Unico concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.
L’istruttoria
Nel luglio 2010, i contribuenti avevano istituito un trust, trasferendovi la proprietà di una serie di immobili siti in Follonica, Castiglione della Pescaia e Firenze. Nell’atto di costituzione veniva nominato un trustee, che avrebbe dovuto amministrare i beni in questione, attribuendone i frutti, in base a una sua valutazione discrezionale, ai cosiddetti “beneficiari del reddito dei sottofondi” e “beneficiario finale”. L’atto non individuava i beneficiari, rimandando a una separata disposizione.
Lo scopo dell’operazione veniva così individuata: “conservare ed incrementare il valore dei beni in trust, assicurando il godimento dei frutti e dei beni capitali del trust fund ai beneficiari dei sottofondi convenzionalmente indicati come “sottofondo N-1”, “sottofondo N-2””. La scadenza veniva fissata al 31 dicembre 2050 ovvero al momento in cui il suo scopo fosse divenuto irraggiungibile. In tal caso, i beni a esso trasferiti sarebbero passati al cosiddetto beneficiario finale, qualora questi fosse stato ancora in vita.
Le imposte di donazione, ipotecaria e catastale venivano liquidate e versate in misura fissa.
Con successive scritture private autenticate, venivano poi individuati, analiticamente per ciascun sottofondo, i “beneficiari del reddito” e i “beneficiari finali”, mantenendo un potere discrezionale di attribuzione in capo al trustee.
In sede di istituzione del trust e nelle successive scritture private non erano stati esplicitati eventuali rapporti di parentela sussistenti tra i molteplici beneficiari e le disponenti del trust.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto illegittima la tassazione in misura fissa.
A parere dell'Amministrazione, infatti, l’atto de quo, che prevedeva contestualmente l’attribuzione di beni a favore di determinati soggetti, avrebbe dovuto scontare l’imposta di successione e donazione, nonché ipotecaria e catastale, in ossequio alle disposizioni normative e alle indicazioni contenute nella circolare 48/2007.
Veniva pertanto emesso avviso di liquidazione a carico del notaio rogante, il quale presentava istanza di autotutela all’ufficio, contestando la legittimità e fondatezza della ripresa a tassazione. In quella sede, il notaio chiariva l’esistenza di rapporti di parentela tra le disponenti e i beneficiari.
L’Amministrazione confermava la propria tesi circa l’applicabilità delle imposte in misura proporzionale e, in considerazione delle aliquote agevolate previste per i casi di devoluzioni effettuate a favore del coniuge o dei parenti in linea retta, in parziale accoglimento delle richieste di parte, annullava il precedente atto e rideterminava con nuovo avviso di liquidazione l’imposta dovuta.
Il trust proponeva comunque impugnazione avverso il nuovo provvedimento.
Il giudizio di primo grado
La parte ricorrente contestava il recupero effettuato dall’Amministrazione finanziaria lamentando l’illegittima applicazione delle imposte di donazione, ipotecaria e catastale sul presupposto che l’atto di istituzione del trust, non avendo determinato alcun trasferimento né arricchimento a favore del beneficiario finale, non avrebbe concretizzato il presupposto di imposta.
Per il ricorrente, solo ove si fosse realizzata la condizione sospensiva prevista nell’atto istitutivo del trust, ovvero la sopravvivenza dei beneficiari alla data del 31 dicembre 2050, questi ultimi avrebbero acquisito la proprietà dei beni dei sottofondi, così dando luogo a una circostanza da assoggettare a tassazione.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio a difesa della legittimità del recupero.
La Ctp di Firenze respingeva le argomentazioni addotte nel ricorso, compensando le spese.
Il trust impugnava dunque la sentenza della Commissione di primo grado, chiedendone la riforma.
Il giudizio di secondo grado e la pronuncia della Ctr
L’appellante sosteneva anche in secondo grado che l’imposta di donazione si applica soltanto quando vi è un trasferimento a favore di un soggetto. Nel caso di specie, invece, a suo dire, non risultava integrato il presupposto dell’imposta, in quanto l’attribuzione dei beni devoluti non era ancora avvenuta perché sottoposta a condizione sospensiva.
L’Agenzia delle Entrate ribadiva che:
- il trust dà luogo a un vincolo di destinazione di beni (articolo 2 della legge 286/2006)
- all’atto dell’istituzione, si accompagnava l’attribuzione di beni al trust
- nel caso de quo, era stata applicata l’aliquota agevolata per i casi di devoluzione dei beni a favore del coniuge o dei parenti in linea retta.
La Ctr, infine, conclude aggiungendo che “nel caso di specie sussistono anche gli elementi dell'abuso di diritto in quanto i poteri attribuiti al trustee e l'assenza di qualsiasi controllo effettivo sul suo operato induce a ritenere che il trustee sia il reale beneficiario dell'operazione e la forma del trust sia stata scelta appunto allo scopo di sfuggire alle imposte sui trasferimenti”.
Considerazioni sulla sentenza della Ctr
Il trust è un istituto di common law che ha avuto ingresso nel nostro ordinamento con la ratifica della Convenzione dell’Aja (in vigore dall’1 gennaio 1992). Non è, pertanto, oggetto di una specifica disciplina interna in ambito civilistico, mentre risulta destinatario di una serie di disposizioni fiscali.
In particolare, con il Dl 262/2006, che ha reintrodotto nel nostro ordinamento l’imposta di successione e donazione, sono state dettate alcune norme che possono ritenersi direttamente riferibili anche a tale istituto. L’articolo 2, comma 49, del decreto stabilisce, infatti, che l’imposta in questione trova applicazione anche alla costituzione di vincoli di destinazione e che la disciplina di riferimento è quella contenuta nel Tu sulle donazioni e successioni (Dlgs 346/1990) nella versione in vigore al 24 ottobre 2001.
È indubbio che l’uso della locuzione “vincoli di destinazione” risponda a un’esigenza di ordine pratico/sistematico del legislatore, rinvenibile anche dai lavori parlamentari che hanno portato all’approvazione della legge di conversione del Dl 262/2006.
In particolare, l’utilizzo dell’espressione “atti costitutivi di vincoli di destinazione” va riguardato alla luce dell’esigenza di ricomprendere in un’unica formula molteplici tipologie di negozi giuridici, evitando così i limiti derivanti da un’elencazione tassativa. Con l’utilizzo della locuzione “vincoli di destinazione” il legislatore ha incluso del resto non soltanto il trust, ma anche i vincoli di destinazione disciplinati dagli articoli 2447-bis e seguenti del codice civile, nonché il fondo patrimoniale e il negozio fiduciario. In tutti questi casi, come giustamente concluso dalla Ctr, tali strumenti sono del resto a rischio di elusione e abuso del diritto.
Volendo enunciare sinteticamente quelli che possono essere gli usi difformi dell’istituto (non solo ai fini delle imposte indirette), si sottolinea come una forma impropria dei trust è per l’appunto quella in cui il rapporto fiduciario viene costituito per nascondere l’esistenza di attività all’Amministrazione finanziaria, ai creditori, all’ex coniuge, ovvero per occultare l’identità dell’effettivo beneficiario: i trust possono essere del resto utilizzati anche con finalità di riciclaggio di capitali di illecita provenienza.
E ancora, tali negozi possono essere usati al fine di perpetrare frodi di natura fiscale: ad esempio, un disponente, nel tentativo di evadere le imposte, potrebbe decidere di trasferire, naturalmente in maniera simulata, le proprie attività patrimoniali o economiche in un trust e successivamente attestare, falsamente, di averne ceduto il controllo. Per creare tale apparenza, lo stesso porrà in essere tutte le formalità caratteristiche di un trust valido ed efficace, come la sua irrevocabilità, nominerà trustee un terzo e non designerà se stesso come beneficiario.
Ciononostante il disponente, pur comportandosi solo in apparenza conformemente alle prescrizioni e formalità previste (o tipiche), potrebbe ancora esercitare il controllo attraverso l’uso di lettere di desiderio (letters of wishes). Egli può, ancora, trasferire le sue attività o i suoi beni in un trust offshore, al fine di tenerli fuori della portata dei creditori o sottrarli ai controlli dell’Amministrazione finanziaria. Una volta che le attività sono state trasferite in un trust offshore, chi abbia interesse ad “aggredirle” troverà infatti molto difficile localizzarle e identificare il loro effettivo beneficiario.
Poiché, dunque, la caratteristica essenziale dell’istituto in esame è la netta distinzione tra i soggetti:
- il settlor, o disponente, che si spoglia dei propri beni
- il trustee, o amministratore, che li gestisce, senza diventarne proprietario
- i beneficiaries, che sono i destinatari dei beni o dei redditi, sulla base delle decisioni del disponente,
Elementi di prova della “fittizietà” del trust possono quindi essere i seguenti:
- il settlor è al tempo stesso anche il beneficiario delle utilità prodotte dal trust
- il negozio è revocabile a totale discrezione del disponente
- il contenuto dell’atto istitutivo è tale da relegare il trustee in un ruolo passivo, senza alcuna facoltà decisionale
- il settlor continua a esercitare con pienezza e in totale autonomia i poteri per la gestione dei beni.
- risultati di indagini bancarie o finanziarie, che consentono la ricostruzione di collegamento stretto fra i vari soggetti
- reperimento di documentazione relativa alla costituzione del trust simulato
- dichiarazioni rese da persone informate sui fatti.
Su questo quadro di riferimento, tornando allo specifico oggetto della sentenza, s’innestano poi le circolare 48/2007 e 3/2008, che hanno inteso fornire istruzioni agli uffici sulla “nuova” imposta di donazione e successione e, in particolare, anche sul trust, specificando appunto che con l’istituzione di tale istituto (e, in generale, con la creazione di qualunque vincolo di destinazione) si determina un effetto segregativo, ovvero si fanno confluire dei beni del disponente in un patrimonio a se stante, di cui risulta formalmente intestatario il trustee.
In sostanza, i beni, in tal caso, costituiscono un patrimonio con una specifica autonomia giuridica rispetto a quello del disponente e a quello del trustee. Alla base vi è, pertanto, un’attribuzione patrimoniale che giustifica l’assoggettamento a imposta. Ne consegue che:
- l’imposta dovuta sulla costituzione del trust deve essere corrisposta al momento della “segregazione” del patrimonio che avviene con la costituzione dello stesso trust
- soggetto passivo d’imposta è il trust, in quanto immediato destinatario dei beni oggetto della disposizione segregativa
- nel caso in cui i beni venissero effettivamente devoluti al beneficiario finale della disposizione, tale ulteriore atto non verrebbe assoggettato al tributo, avendo già scontato l’imposta in sede di costituzione del vincolo.
Dal punto di vista fiscale si deve, infine, considerare che gli atti inter vivos riconducili nell'ambito dell'imposta sulle successioni e donazioni, che comportino il trasferimento di beni immobili o diritti reali immobiliari, sono sottoposti anche all'applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, che sono dovute per le formalità della trascrizione degli atti e per la loro voltura catastale.
Concludendo, all'istituzione del trust si accompagna un’attribuzione patrimoniale che si sostanzia nel trasferimento della titolarità dei beni devoluti al trust fund, in capo al trustee.
Si deve altresì ritenere che la costituzione del vincolo di destinazione avvenga sin dall’origine a favore del beneficiario e sia espressione di un unico disegno volto a consentire la realizzazione dell’attribuzione liberale.
Il trust, quindi, alla luce degli elementi che lo contraddistinguono, può essere annoverato tra i vincoli di destinazione, con la conseguenza che all’atto di dotazione patrimoniale del trust (oggetto dell'avviso di liquidazione su cui ha statuito la sentenza in commento) torna applicabile il citato articolo 2, comma 47, del Dl 262/2006, e ciò indipendentemente dalla forma scelta, dato che la norma non fa alcuna distinzione.
La peculiarità dell’istituto, rispetto ad altri vincoli di destinazione, deriva, in sostanza, solo dalla causa giuridica unitaria a esso sottesa.
In definitiva, stante l’effetto segregativo e la sua riconducibilità nell’ambito dei vincoli di destinazione, in ossequio alla previsione dell’articolo 2, comma 47, del Dl 262/2006, deve concludersi nel senso che il trust rientra nell’ambito applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni, non perché ha natura liberale, ma quale diretta conseguenza della segregazione dei beni che esso produce sia rispetto al patrimonio personale del disponente sia rispetto a quello dell’intestatario di tali beni.