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Giurisprudenza

In lite fino alla fine

Non "definibile" il contenzioso susseguente all’impugnazione dell’avviso di liquidazione con contestazione della rendita attribuita dall’Ute, ex articolo 12, Dl n. 70 del 14/3/1988

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La Cassazione, con la sentenza in esame, ha affermato che “Il contribuente che avvalendosi della procedura istituita dall'articolo 12 della L. n. 154/1988 abbia sollecitato l'applicazione dell'imposta di registro sul trasferimento di un immobile non ancora accatastato in base alla capitalizzazione della rendita catastale, e successivamente impugni l'atto di liquidazione dell'imposta di registro contestando la rendita catastale attribuita dall'Ute, determina l'apertura di un contenzioso non suscettibile di sanatoria ai sensi dell'articolo 16 della Legge. n. 289/2002”.

L’iter processuale trae origine da un atto di divisione intervenuto tra due contribuenti, relativo ad alcuni immobili ereditati, col quale fu chiesto l’aggiornamento della rendita, nel rispetto dei dettami dell’articolo 12 della legge n. 154 del 1988, da cui scaturì, in sede Ute, un valore tabellare superiore a quello dichiarato.
L’ufficio del Registro di Livorno notificò, pertanto, un avviso di liquidazione, per la riscossione dell’imposta residuale, impugnato dai contribuenti sull’assunto della necessità di notifica di avviso di accertamento in presenza di un maggior valore venale del bene.

Le doglianze dei contribuenti non sono state accolte né in primo grado né dal giudice di seconde cure; infatti, la Commissione tributaria regionale, ha statuito, con sentenza 21 settembre 2000, che qualora i contribuenti non avessero ricevuto la notifica relativa alla nuova rendita catastale, avrebbero potuto impugnare suddetta rendita, insieme all’avviso di liquidazione, chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’organo tecnico, ma non avendo a ciò provveduto, la determinazione della rendita doveva considerarsi definitiva.

Pertanto, risultando soccombenti anche dinanzi al giudice di seconde cure, i contribuenti hanno chiesto la cassazione di tale sentenza; nel frattempo, in pendenza del giudizio dinanzi la Suprema corte, gli stessi hanno presentato istanza di definizione di lite pendente, ex articolo 16 della legge 289 del 2002, proponendo ricorso avverso il diniego di definizione, pronunciato dall’ufficio delle Entrate di Livorno, fondando tale posizione sull’assunto della non applicabilità del menzionato articolo 16 agli atti di mera liquidazione (nel caso in questione, l’avviso di liquidazione impugnato).

I giudici di Cassazione procedono dapprima all’esame del ricorso incidentale rivolto avverso il diniego di condono. Ciò in quanto il giudice investito della controversia attinente al rapporto tributario sostanziale non può ignorare l’esistenza della lite insorta a seguito di diniego di definizione agevolata da parte dell’ufficio, in considerazione del fatto che la questione concernente l’ammissibilità o meno della definizione agevolata riveste rilevanza giuridica pregiudiziale a qualsiasi decisione inerente al merito del rapporto giuridico controverso.

Premesso che l'avviso di liquidazione era stato emesso sulla base di attribuzione di rendita richiesta ex articolo 12 del Dl 14 marzo 1988, n. 70, convertito nella legge n. 154 del 1988, ai sensi del quale l'Amministrazione, nel calcolare l'imposta in base alla volontà espressa del contribuente di volersi avvalere della “definizione automatica”, di cui al citato articolo 12, non ha posto in essere alcuna attività discrezionale, ma un'attività meramente liquidatoria non suscettibile di definizione agevolata (si confrontino, in tal senso, le sentenze della Cassazione 6199/1999, 64/2000, 14244/2000) e non inquadrabile neppure nella categoria residuale, prevista con l'ampia formula descrittiva di “ogni altro atto di imposizione”, di cui all'articolo 16, comma 3, della legge n. 289/2002, e ciò a prescindere dalle contestazioni, svolte col ricorso principale, circa il contenuto del ricorso introduttivo, con cui le contribuenti avrebbero inteso impugnare anche la determinazione della rendita.
Pertanto, la doglianza relativa al diniego di definizione agevolata della lite non è stata accolta ed è stata rigettata dai giudici di nomofilachia.

E’ invece risultata fondata la posizione addotta dai ricorrenti nel lamentare l'erroneità della sentenza della Commissione regionale, laddove esclude che la base imponibile possa essere rideterminata per non essere stata investita di impugnazione la rendita catastale. Dalla formulazione del ricorso introduttivo risulta, infatti, la contestazione della rendita assegnata alla unità immobiliare censita come C/1 “in relazione all'ubicazione del bene in quartiere della città dalle caratteristiche popolari e alla vetustà delle costruzioni”, con conseguente incongruenza della classe assegnata, e della successiva liquidazione.

Era, dunque, inesatta l'affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale le appellanti si sarebbero limitate a impugnare l'avviso di liquidazione soltanto in base al profilo della necessità di avviso di accertamento per la contestazione della rendita applicata. Il ricorso introduttivo, così come riprodotto nella doglianza in esame, conteneva, infatti, insieme con l'impugnazione dell'avviso di liquidazione, la contestazione della rendita, ciò essendo consentito dall'assenza - all'epoca della liquidazione (1996) - dell'obbligo di notifica della rendita stessa da parte dell'ufficio; né può ritenersi che con ricorso al menzionato articolo 12 del Dl n. 70/1988 le parti private avessero interamente delegato all'Amministrazione la facoltà di fissare una volta per tutte valori catastali non contestabili. La determinazione del valore imponibile attraverso il riferimento alla rendita ha, infatti, costituito una semplificazione nel sistema di accertamento, al solo fine di porre un limite al potere di rettifica degli uffici, ma non ha certamente inciso il diritto del contribuente a vedersi attribuire un valore catastale corretto.


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